La mia infanzia “nordica” a pane e burro
La giornalista Monica Sommacampagna oggi apprezza, negli extra vergini, la freschezza e al tempo stesso la consistenza, la delicatezza e il sentore deciso che spesso arriva al piccante. Anche se l’olio è importante – dice – mi piace sentirmi libera di abbondare
Monica Sommacampagna è giornalista specializzata nel settore enogastronomico, ama la letteratura e la contaminazione tra diverse discipline scientifiche e umanistiche. Nata a Verona, dopo una laurea in lingue e letterature straniere a Milano e un Master in Comunicazione d’impresa si è divisa tra due fronti: la bellezza e l’enogastronomia. Ha frequentato corsi di scrittura creativa con Giuseppe Pontiggia, Stefano Benni e Jacopo Fo. È sommelier, oltre che socia dell’associazione Le Donne del Vino. Da anni collabora con testate giornalistiche locali e nazionali e oggi scrive per “Civiltà del Bere”, “Origine” de “L’informatore Agrario” e “Olio Officina Magazine”.
Quale idea di olio lei si è fatta nel corso dell’infanzia? L’olio di quegli anni è stato quello ricavato dalle olive o un olio di semi?
La mia infanzia “nordica” si è alimentata a pane e burro. Ma l’olio di oliva – quello extra, quello “buono”, come si dice nel Veronese – si è fatto presto apprezzare al palato, complici alcuni amici di mio padre che lo producevano per uso familiare sul Garda. Se assaggi quello buono, è difficile che non ti rimanga impresso. A me capitò negli Anni Settanta/Ottanta, proprio quando imperversavano le campagne pubblicitarie sugli oli di semi super-leggeri che ipotizzavano di restituire tonicità all’organismo. Io conoscevo quello “mio” e, come ogni bambino, la memoria di un gusto tanto piacevole aveva fatto da spartiacque culturale tra i “buoni” e i “meno buoni” che avevo poi avuto occasione di assaggiare. Oggi gli oli extra vergine “buoni” sono davvero tanti perché il comparto sta valorizzando molto le tipicità, gli stessi chef blasonati che ho intervistato nel tempo me lo hanno confermato: la carta degli “ori” italiani è importante e molto nutrita, spesso anche al ristorante.
Una curiosità: i sapori e i profumi dell’olio della sua infanzia coincidono con quelli che invece percepisce e apprezza oggi?
Da bambino i sensi sono acuti, la memoria è abilissima a radicare le impressioni positive, ma spesso non sai descrivere in modo dettagliato perché qualcosa ti piace tanto. Le immagini più grezze che mi tornano alla mente sono quel profumo quasi pungente di oliva o di foglia di olivo, il colore leggermente verde, la consistenza poliedrica che in bocca crea mille riverberi gustativi. Ma insieme balzano anche – e questa è una conferma dell’eccellenza dei contesti territoriali in cui l’olio italiano si produce e che vanno sempre fatti apprezzare nella comunicazione dell’olio – immagini di paesaggi, oliveti dall’alto di colline che si affacciano sull’azzurro del Garda. E quell’oliva appena colta che sembra quasi sorriderti nel sole.
Cosa apprezza di più di un olio extra vergine di oliva?
Al gusto aspetti che possono apparire contraddittori: la freschezza e al tempo stesso la consistenza, la delicatezza e quel sentore deciso che spesso arriva al piccante. Dipende dai contesti, sono d’accordo che gli oli extra vergine vadano accuratamente scelti per armonizzarsi con i diversi piatti. Un po’ come i vini…
Quanto sarebbe disposto a spendere per una bottiglia di extra vergine?
Sui 12 euro, ma tutto dipende da quanto l’olio extra vergine mi convince.
A tal proposito, per lei la bottiglia che frequentemente acquista di quant’è? Da 250, 500, 750 ml o da litro?
Da litro, anche se l’olio è importante mi piace sentirmi libera di abbondare. Ad esempio, nelle insalate non tollero di metterne un solo cucchiaio.
In tutta sincerità, senza alcuna senso di colpa o imbarazzo, qual è il suo condimento preferito tra tutti i grassi alimentari?
Ieri era il burro, che mantengo rigorosamente per certi piatti. Oggi uso l’olio extravergine a più ampio spettro.
Basta olio. Veniamo al suo lavoro. A cosa sta lavorando?
Sto avviando contatti per pubblicare il mio primo romanzo, “L’uomo senza etichetta”. Un tributo molto particolare ai profumi e ai sapori della vita, a chi lotta per affermare i propri ideali e al mondo del vino. Tra le curiosità: la conclusione del libro si rivela un punto di partenza, niente e nessuno ha un solo volto, il caso offre sempre opportunità e, soprattutto, le etichette sono fatte per essere… tolte.
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