Saperi

La petite chinoise

Narrazioni. L’aveva sposato perché lui glielo aveva chiesto, come spesso succede, ma di emozioni e sentimenti nemmeno l’ombra. Così, dopo aver deposto volentieri in un cassetto il suo diploma di maestra, aveva iniziato la sua vita coniugale. Poi era venuta Priscilla...

Mariapia Frigerio

La petite chinoise

Gli aprì direttamente l’idraulico.

«Allora, Toschi, risolti i problemi con la caldaia?».

«Sì, sì. Tutto a posto, Gino».

Gino Guarducci sembrava soddisfatto. E anche la coppia di cinesi a cui aveva dato in affitto la casa gli sorrideva riconoscente.

I due uomini stavano per andarsene quando, sulla porta di una stanza, comparve una bambina.

«E questa?» chiese il Guarducci all’idraulico.

«Occupa l’altra camera insieme alla madre e al padre. Insomma, sono in subaffitto. Almeno così mi sembra d’aver capito».

La madre, una donna piccola e insignificante, cercò di richiamarla, ma Sofia Lam Nang andò spedita verso Gino: «Tu Gino padlone qui?».

«Padrone… che parola! Certo… la casa è mia, ma io ve l’affitto volentieri. E tu come ti chiami?».

«Mio nome Sofia Lam Nang. Mio velo nome altlo, ma pel Italia nome italiano. Pel scuola italiana bene Sofia».

«Che classe fai?».

«Faccio telza».

«E sei brava?».

«No… molto difficile capile vostlo modo di sclivele. La maestla dice che Sofia non bene a scuola».

«Vedrai che le faremo cambiare idea. Una bambina che si chiama Sofia non può non essere brava a scuola. Sofia vuol dire sapere. Allora tu studia, mi raccomando, e se ti serve qualcosa questo è il mio numero» e Gino Guarducci, prima di uscire, consegnò il suo biglietto da visita alla madre.

La donna lo guardò allibita. Poi con un gesto frettoloso lo mise nella tasca del grembiule.

Il Toschi, che lo conosceva da una vita, rimase pure lui esterrefatto.

«Ma che ti prende, Gino, ti vuoi mettere a fare opere di bene? Non si può neppure pensare che tu lo faccia per le due donne. Brutte entrambe. Non so chi più delle due, se l’affittuaria o la subaffittuaria… ».

«E come ti è venuta la storia delle opere di bene?».

« “…se ti serve qualcosa questo è il mio numero” non è che proprio lo si dice per… ».

«Toschi, ascolta. Abbiamo sempre lavorato insieme. Io mi fido di te più di qualsiasi altra persona. Ma su quello che riguarda la mia vita privata non voglio che nessuno ci metta bocca. Neppure mia moglie, lo sai».

«D’accordo, scusa. Comunque ti va sempre bene se vado domani dai Mezzetti?».

«Certo. Ciao, Toschi. Ci vediamo».

Gino Guarducci camminava verso casa. A passo spedito. Ogni tanto rallentava, però, per guardarsi riflesso in qualche vetrina. Si guardava e pensava di sé: «Per gli anni che ho non sono da buttar via. Non fosse per questa pancia…».

A casa trovò Anna. Come sempre stava leggendo.

«La cinese ha detto che tra dieci minuti è pronto in tavola».

«Ma è possibile che tu ti esprima in questo modo? “La cinese”! La cinese ha un nome: Lin».

«Non lo dicevo per offenderla… ».

«Già! Saresti contenta di essere chiamata l’italiana anziché Anna?».

«Non ci ho mai pensato… ».

Anna era disarmante. O, almeno, lo era per Gino. Non una cattiva donna, ma una donna a cui la vita scivolava addosso senza lasciare traccia.

«E allora pensaci, invece di stare sempre a leggere! Ti servissero almeno a qualcosa tutti quei libri… ».

«Hai ragione, Gino, starò più attenta».

Per giunta era una donna arrendevole. Sempre pronta a dar ragione agli altri, mai a difendere le proprie di ragioni. Sempre che di ragioni ne avesse. Ma, anche questo, era un modo di farsi scivolare la vita addosso.

Gino pure gli era scivolato addosso. L’aveva sposato perché lui glielo aveva chiesto, come spesso succede, ma di emozioni e sentimenti nemmeno l’ombra. Così, dopo aver deposto volentieri in un cassetto il suo diploma di maestra, aveva iniziato la sua vita coniugale. Poi era venuta Priscilla, la loro unica figlia, una bambina che non aveva mai creato problemi fino a che anche lei si era sposata… E qui qualche problema era venuto fuori, a dire il vero, soprattutto per Gino.

A tavola mangiarono in silenzio, come sempre. Solo Gino, quando Lin portava le pietanze, non tralasciava mai di ringraziarla.

Poi Anna quasi d’improvviso, come se si fosse svegliata dal suo torpore: «Domani viene Priscilla a portarci i bambini. Ce li lascia tre giorni».

«Questa sì che è una buona notizia» fu il commento di Gino.

I nipotini. Marta sei anni, Matteo quattro. Chi l’avrebbe detto che Gino sarebbe stato un nonno modello? Paziente e amoroso. E anche Anna non era da meno. Quando aveva i bimbi con sé abbandonava i suoi libri e tutto il suo tempo lo dedicava a loro.

«Certo che non mi sarei mai aspettato che ti piacesse tanto fare la nonna!» fu quanto disse Gino alla moglie alzandosi da tavola.

Passò poi dal salotto prima di andare a riposare. Gettò uno sguardo alla piccola libreria.

Composte e in bell’ordine vide tutte le edizioni Mursia: “Rosella”, “Violetta la timida”, “Priscilla”. Sbottò: «Chiamare la figlia come la protagonista di un romanzo per signorine!». Continuò a leggere i titoli sulle costole dei libri: “Uccelli di rovo”, “Va’ dove ti porta il cuore”, “I ponti di Madison County”, “Il codice da Vinci”.

Scosse la testa. Non era un lettore e non capiva nulla di letteratura. Capiva, però, che quella doveva essere roba di serie B.

Sul letto rimase un po’ ad occhi aperti. Nella sua mente ai pensieri degli impegni pomeridiani – lo scarico dei Mazzetti… no, per quello ci va domani il Toschi. Oggi è il tetto dei Floris che va fatto rivedere… – si alternavano quelli per Sofia. Quella bambina lo aveva cercato. Non era stata timidamente (altro che “Violetta la timida”!) al fianco della madre. O, addirittura, chiusa nella stanza. Era uscita. Aveva voluto vedere. … Otto anni. Due più di Marta. Quattro più di Matteo. E a loro – i suoi nipotini – cosa mancava? Avevano una bella casa, due nonni benestanti, un futuro. E se non l’avessero avuto, per via del padre, lui, Gino, avrebbe provveduto a tutto.

Sovrappose l’immagine di Marta, così bella, bionda all’immagine della piccola cinese. Immaginò Marta chiusa in uno di quei locali malsani dove le donne cinesi cuciono ore e ore, pagate una misera. Dove prima o poi anche Sofia sarebbe finita. Allora nella sua testa ci fu una ribellione: «Eh, no! Stavolta c’è di mezzo il Guarducci, cara maestra. Sofia avrà chi pensa a lei!».

La sera, a cena, chiese ad Anna se fosse disposta a seguire una bambina cinese che aveva difficoltà con la lingua italiana.

«Dopotutto sei una maestra… ».

«Non ho mai insegnato, lo sai, e nella scuola tante cose sono ormai cambiate con l’avvento della multietnicità… No, non credo proprio che ne sarei all’altezza». Poi ci ripensò – a quella curiosa richiesta del marito – e aggiunse: «Si può sapere chi è questa bambina? Non abbiamo già i nostri nipoti da seguire?».

«Appunto. Proprio perché adesso abbiamo dei nipoti mi sento maggiormente in dovere di fare qualcosa per lei. Ho paura che finisca come la madre chiusa in uno stanzone a cucire… ».

«In fondo è il loro destino… ».

«Destino un corno! Non dimenticare che anche Marta e Matteo sono, a modo loro, multietnici, come dici tu, visto che quella scema di Priscilla non ha trovato di meglio che non sposare un mio operaio albanese. Ardi Smoqi. Il più lazzarone e il più furbo. Ma tu ti sei subito entusiasmata all’azzurro dei suoi occhi. Credi abbia dimenticato? “Che ragazzo dolce! E come si amano”. E ora? Chi li campa quei quattro?».

Anna, remissiva, tacque. Del resto cosa avrebbe potuto rispondere? Il marito aveva ragione.

Quando Priscilla lasciò i figli alla madre ebbe inizio la festa a quattro. Perché, tutto sommato, era una vera e propria festa per i coniugi Guarducci avere quei piccolini. C’era la gioia del bagnetto serale nell’enorme vasca con idromassaggio (manie di grandiosità del Guarducci visto che né lui né la moglie ne avevano mai fatto uso) riempita di pesci, rane, barchette di plastica colorata. Poi il borotalco… nuvole di Roberts dappertutto. La lettura nel lettone delle fiabe. Le cene cucinate per loro appositamente da Anna e non da Lin. I solitari. I giochi dell’oca. I giri sulle giostre. I pranzi in bei ristoranti. L’acquisto di abiti (c’era sempre, secondo i Guarducci, qualcosa che mancava nel loro abbigliamento…). Insomma un’atmosfera di grande serenità.

Quella sera, dopo che già Marta e Matteo si erano addormentati, Gino rimase a letto con la luce del comodino accesa.

«Non dormi?» gli chiese Anna.

«No, non ancora». Non pensò che la luce potesse darle fastidio. La vide girarsi dall’altra parte e la sentì dire sommessamente: «Notte!».

Non le rispose. Era una vita che non le rispondeva. E lei non se n’era mai lamentata. La immaginò immergersi in qualche sogno cretino come i libri che leggeva. Pensò a quel suo corpo senza più alcuna attrattiva. Cercò di ricordare l’ultima volta che avevano fatto l’amore… Vent’anni prima o di più? Avevano smesso tutto sommato piuttosto presto… Priscilla era ancora una ragazzetta. Ne sentiva la mancanza? No, no. Era sempre stata una cosa meccanica sia per lui che per lei. Nulla di emozionante. Neppure le prime volte. Lui si era, in ogni caso, arrangiato diversamente.

Guardò di nuovo Anna. Dormiva. Lui ne percepiva il suo sonno quieto. Allora, quasi per invidia, decise di abbandonarsi anche lui a un sogno. E il suo sogno avrebbe avuto un nome: Sofia.

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Non ci volle molto prima che la piccola cinese si facesse viva. Era lei direttamente che lo chiamava al cellulare. Non la madre.

Sempre qualcosa che le serviva. Aveva iniziato con le cose per la scuola: quaderni, astuccio, blocchi per disegnare. Gino non le aveva mai detto di no. Poi c’era stata la piscina… la tessera andava rinnovata trimestralmente.

E la recita scolastica? Chi se non lui le poteva procurare una tunica bianca per la parte dell’angelo? Quella volta aveva chiesto aiuto a sua moglie che, tra vecchie camicie da notte, ne aveva trovata una che faceva proprio al caso.

Non aveva neppure perso tempo per quanto riguardava un’insegnante che la seguisse. Sofia aveva avuto così, due volte la settimana, l’aiuto della vecchia Nora, in pensione chissà da quanto.

Ugualmente la bambina faticava molto e c’era bisogno dell’intervento di Gino per convincerla ad applicarsi.

Dal canto suo Anna, che mai si era interessata della vita fuori dalle mura domestiche di suo marito, iniziò a nutrire una sottile gelosia per tutto quell’interesse.

Così, quando questa la pungeva un po’ troppo, lei s’informava di cosa facesse di nuovo la petite chinoise.

«Questa poi! Adesso ti metti a parlar francese? Credi che non senta una punta di sarcasmo nella tua voce?».

E, in questi casi, Anna non ribatteva, ma neppure si giustificava.

“La piccola cinese” era per lei un pericolo potenziale per i suoi nipotini oltre ad essere la prima donna che le avesse smosso della gelosia. Perché, lo dovette ammettere con se stessa, ne era effettivamente gelosa.

Con gli anni la gelosia non la abbandonò, anzi andò sempre più prendendo piede nel suo cuore.

Prese talmente piede che le fece abbandonare i suoi libri, la fece divenire sempre più insofferente con la povera Lin (che nessuna colpa aveva a parte l’essere anche lei cinese) e possessiva e piena di pretese con i nipoti. Quasi li volesse mettere in competizione con Sofia.

Impose a Gino che questi prendessero ripetizioni e lezioni. Volle che praticassero tutti gli sport più esclusivi con l’unico risultato di diventare da nonna amata, una nonna a fatica sopportata.

Ora, quando Priscilla per essere libera li voleva portare da sua madre, sia Marta sia Matteo facevano storie. Diverso era il loro attaccamento al nonno.

Gino era felice di spendere per loro così come lo era di spendere per l’educazione di Sofia. Anzi, proprio perché amava loro, sentiva delle responsabilità anche nei confronti di lei.

Così alle difficoltà delle elementari seguirono i successi della scuola media. Gino era orgoglioso di quella sua “creatura” tanto da volere che frequentasse il liceo, né più né meno di come avrebbe voluto, dopo soli pochi anni, per Marta e Matteo.

Ma il tempo della grande serenità sua, di Anna, e dei nipoti era finito. Per sempre.

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Quando Sofia si iscrisse a Economia e Commercio, Anna si ammalò. Fu, il suo, un lento deperire. I medici (Gino non badò a spese per la salute della moglie) non ne trovarono mai la ragione. Forse la donna era in preda a un malessere psicologico che non era facile diagnosticare. La vita non le scivolava più addosso. Ora trovava ostacoli in tutte le sue nevrosi. Sofia sempre più importante per suo marito. I nipoti che l’abbandonavano e non rispondevano – come la petite chinoise– alle sue aspettative. Il matrimonio di Priscilla con quell’albanese – che ora non vedeva più come l’Ardi Smoqi dagli occhi azzurri e tanto innamorato – che faceva acqua da tutte le parti. Smise di camminare. Di leggere aveva già smesso da tempo. Quando si pensò a una clinica psichiatrica fu troppo tardi. Anna si spense, inaspettatamente, nel sonno.

Gino ormai era solo. Non era più giovane. Non si fermava più a guardarsi riflesso nelle vetrine. La solitudine gli pesava. Anna gli mancava. Era la mancanza di un inutile soprammobile – neanche di gran pregio – a cui però ci si è abituati. Che è una parte della nostra vita. Marta e Matteo erano studenti mediocri e si scordavano di andarlo a trovare. Priscilla aveva iniziato una nuova relazione con un uomo più vecchio di lei e non si curava più di tanto dei figli. Meno ancora del padre. Ardi Smoqi gli aveva chiesto un “prestito” e poi era sparito dalla circolazione.

Lui se ne stava sempre con la fedele Lin, che sembrava, per certi aspetti, aver preso il peggio da Anna. Era una cinese a cui la vita scivolava addosso.

Quasi ogni sera, però, il campanello suonava e Lin accompagnava in salotto, dove Gino passava la maggior parte del suo tempo, Sofia.

Sofia non si era dimenticata di lui. Sofia era l’unica per cui ancora avesse un senso vivere.

«Allora, ma petite chinoise, cosa mi racconti?».

«Sai, Gino, allo studio c’è molto da fare, ma mi dà grandi soddisfazioni. Il dottor Giuntoli mi ha chiesto di diventarne socia… una piccola quota… ».

«E ti servono soldi?».

«No, no, grazie. Ce la faccio da sola».

Quella sera Sofia non se ne stava seduta sulla sua poltrona, come sempre. Girava per il salotto. Come se cercasse qualcosa… Poi chiese a Gino: «Non vedo nessuna foto di tua moglie… Ci pensi che non me l’hai mai fatta conoscere?».

«La foto c’è, ma è sul mio comodino. Ora mando Lin a prenderla. E comunque non è che non te l’ho fatta conoscere. È lei che non ti ha mai voluto conoscere».

«E perché?».

«Perché era gelosa di te».

«Gelosa di me?».

«L’animo delle donne è misterioso. Anch’io non l’ho capita per lungo tempo. Gelosa di una bambina! Poi ho scoperto che non aveva del tutto torto. Anzi, a pensarci bene, aveva proprio ragione. Non c’è mai stata una donna per quanto bella, intelligente, affascinante che mi abbia distolto da lei. E… tanto ormai sei grande… di donne ne ho conosciute, sai? Ma tu sei stata l’unica che mi ha occupato la mente e il cuore».

«Ma se ero solo una bambina rispetto a lei e rispetto a te… ».

«Eri quello che lei chiamavala petite chinoisecon una punta di gelosia e, piccola cinese che tu fossi, eri sempre una donna… e su questo aveva ragione».

«E i tuoi nipoti? È un po’ che non me ne parli».

«Due scapestratelli. Ho speso l’ira di Dio per fargli finire il liceo. Naturalmente privato. Sai, quei diplomifici a pagamento. Poi hanno iniziato l’università, ma non c’è stato verso di fargliela finire. Ora gli ho posto un aut aut: o vi trovate un lavoro o non venite più a batter cassa da me. I cordoni della borsa sono definitivamente chiusi. Anzi, se mi permetti, ti chiederei un favore…».

«Dimmi, Gino, con tutto quello che hai fatto per me…».

«L’ho fatto perché te lo meritavi. Non per altro. Comunque adesso che diventi socia del Giuntoli se magari tu potessi far fare qualcosa a quei due… Anche cose da poco… manovalanza spicciola».

«Stai tranquillo. Farò tutto quello che mi è possibile. Tu mandameli quanto prima».

«E soprattutto non ti dimenticare di me. Sei l’unica persona che mi è rimasta…».

«E come potrei?» gli disse mentre si infilava il cappotto e si chinava a baciarlo.

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Due giorni dopo i nipoti di Gino Guarducci, Marta e Matteo Smoqi, suonarono al numero 5 di via Verdi. Accanto al campanello una grossa targa in ottone lucido con la scritta in corsivo inglese “Dottor Riccardo Giuntoli – Commercialista” e, poco più sotto, “Dottoressa Sofia Lam Nang – Commercialista”.

Fiumetto, 16 agosto 2010

La foto di apertura è di Mariapia Frigerio

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