L’agricoltura ha fame di futuro
Eppure, negli ultimi decenni l’economia delle campagne italiane sembra ripercorrere gli stessi tragitti dei secoli che sono alle nostre spalle. Ciò che oggi occorre, è mettere insieme persone e apporti diversi per fare in modo che si possa innovare. Per far questo è necessario creare nuove forme collaborative, un associazionismo diffuso che aggreghi l’offerta di prodotti e servizi e la domanda di mezzi tecnici
Intervenendo in un convegno svoltosi a Roma nel 1998, il sociologo rurale Corrado Barberis raccontò che, mentre scriveva la sua monumentale storia delle campagne italiane (pubblicata da Laterza in due volumi 1997-1999), era rimasto colpito dalla scarsità di informazioni che aveva potuto estrapolare dagli archivi familiari.
Sembrerebbe – annotava il sociologo – che gli archivi delle grandi famiglie riguardasse soprattutto la parte agricola. Invece, è noto che l’economia delle famiglie signorili era solo in parte un’economia agricola. Per tutto il Medioevo e fino alla Rivoluzione francese, era un’economia plurireddito. Ad esempio, i nobili esercitavano anche attività giurisdizionali, di cui però ci sono scarse tracce negli archivi familiari.
Barberis invitava, pertanto, gli studiosi a riprendere la ricerca storica in tale materia in un’ottica di entrate diversificate del patrimonio.
Negli ultimi decenni, l’economia delle campagne italiane sembra ripercorrere gli stessi tragitti dei secoli che sono alle nostre spalle.
Sul totale delle aziende agricole (1.114.300 censite dall’Istat nel 2020), il part time è ancora esteso e il numero dei piccoli appezzamenti di terra per l’autoconsumo familiare rimane anch’esso rilevante. Benché, tra i censimenti 2010 e 2020, questi due fenomeni si siano ridimensionati, aziende part time e quelle per l’autoconsumo sono ancora oltre 900 mila (la fetta più rilevante del totale).
Tali attività sono comunque attività economiche perché producono economie. E i rapporti giuridici che nascono da strutture produttive finalizzate all’autoconsumo sono comunque regolati dai principi e dalla disciplina generale del diritto agrario. Solo che non si potrà loro applicare ciò che è proprio della disciplina dell’impresa. In altri termini, gli appezzamenti di terra su cui si svolge un’attività agricola finalizzata all’autoconsumo non sono imprese agricole, ma costituiscono pur sempre rapporti giuridici agrari.
Per quanto riguarda la concessione di questi terreni da parte di chi ne detiene la proprietà ad altri soggetti, se non vuole ricorrere all’affitto, ha a disposizione solo il comodato d’uso. Il quale però non ha l’impianto collaborativo, aperto cioè ad apporti diversificati, peculiare dei vecchi contratti agrari associativi, vietati per legge. E le regole sulla sicurezza alimentare e la tutela ambientale, dal momento che sono calibrate per le imprese, difficilmente si adattano a chi svolge un’attività agricola non imprenditoriale.
La cultura economica e le istituzioni solo negli ultimi tempi stanno prestando attenzione all’apporto di tali attività alla composizione dei consumi alimentari familiari, al consumo di mezzi tecnici e di servizi professionali necessari per svolgerle, alla promozione dello spirito civico e di comunità, alla salvaguardia del territorio e al benessere psico-fisico delle persone. Ma ancora resta molto da fare.
È cresciuto, invece, tra i due ultimi censimenti, il numero delle aziende di medie e grandi dimensioni: le prime sono passate da 59.400 a 65.600 e le seconde da 29.200 a 36.400. Non è dato sapere, però, se queste aziende sono prevalentemente a carattere familiare o condotte in forme societarie, verso cui affluiscono risorse extra agricole.
Inoltre, va considerato il numero in crescita delle aziende multifunzionali. Esse sono più di 65 mila. Le percentuali più elevate riguardano le aziende che si dedicano alla produzione di energia rinnovabile (+198%) e alle attività agrituristiche e sociali (+16%).
Insomma, guardando attentamente questi dati censuari, emerge un settore agricolo multiforme, in cui operano figure diversificate di professionisti, non più riconducibili alle tipologie tipiche del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale.
In che modo queste nuove figure professionali possono rendere le aziende più produttive? Cosa fare affinché queste aziende acquisiscano maggiori spazi nei mercati dei prodotti e dei servizi?
Ci vogliono più innovazione, a partire da quella genetica, e più agricoltura 4.0.
Ma alla base bisogna creare nuove forme collaborative: reti d’imprese, reti d’imprese e non imprese, reti per la gestione territoriale, un associazionismo diffuso per aggregare l’offerta di prodotti e servizi e la domanda di mezzi tecnici. Solo così si possono rendere produttive risorse agricole ed extra agricole ed evitare che queste si sprechino.
Chi si dedicherà, nei prossimi anni, a svolgere la funzione di mettere insieme persone e apporti diversi in un settore così frastagliato e complesso?
In apertura, foto di Olio Officina
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