Saperi

Le conseguenze dell’olivo

La venerazione nei confronti di una pianta quasi immortale, ha forse costituito – addirittura - un ostacolo per la ricerca volta ad approfondire le conoscenze sulle sue caratteristiche più intime. La ricerca in agricoltura è ridotta al lumicino. La nostra olivicoltura non può e non deve essere solo custodita come un dipinto antico in un museo

Eddo Rugini

Le conseguenze dell’olivo

Il professor Eddo Rugini sarà a Olio Officina Food Festival 2015 il giorno venerdi 23 gennaio, dove terrà una relazione insieme con il professor Salvatore Camposeo, sul tema “Chi ha paura di una olivicoltura moderna?”.

In attesa di ascoltarlo, vi proponiamo un suo articolo pubblicato nell’annuario olioofficinaalmanacco 2014. Per chi vorrà approfonsdire l’argomento, segnaaliamo la pubblicazione di un suo articolo, insieme con Camposeo, sull’annuario olioofficinaalmanacco 2015. Non resta che presenziare a Milano e ascoltarlo nel suo intervento. (Luigi Caricato)

Oggi tutta l’olivicoltura italiana è considerata un museo, anche se, a differenza di questo, non tutte le aree olivicole sono in grado di assolvere alla funzione estetica a causa della presenza sul territorio di oliveti abbandonati, costituiti da vecchie piante, malate e di frequente sopraffatte da piante infestanti, non più in grado di fornire un reddito oltre né di svolgere alcuna funzione ambientale.

Il dono di Minerva, libro di grande formato edito da La Rocca, di cui sono autori Fontanazza, Gentilini, Manna, è una densa ma chiara sintesi della storia dell’olivo e del suo prodotto olio, svolta sotto forma di review, che solo chi ha lavorato tanto a lungo con questa difficile pianta, chi l’ha amata e chi ha una sensibilità innata per l’arte, può rappresentare in modo così efficace.

Quest’opera traccia l’evoluzione della olivicoltura e delle tecniche di estrazione dell’olio con dovizia di particolari, citando autori anche poco conosciuti, con senso critico e senza risparmiarsi nel fornire spiegazioni di natura scientifica circa le tecniche empiriche applicate all’olivo nell’antichità per costringerlo ad essere più generoso (come il nobile perugino Corniolo della Corgna che, all’inizio del XV secolo, utilizza la tecnica di fori riempiti con terra, tecnica già praticata dai Romani) o le tecniche utilizzate per produrre oli di qualità, frutto anche di una rivisitazione in chiave moderna di quelle già conosciute e applicate dagli stessi romani e che nel corso dei secoli si sono perse, smentendo autori moderni che affermano il contrario.

Nell’opera viene tracciata, in italiano con testo a fronte in inglese, l’evoluzione della olivicoltura dalle sue origine ai giorni nostri, servendosi di citazioni storiche parallelamente alle rappresentazioni artistiche (sculture, affreschi, dipinti) che rappresentano l’olivo o i suoi prodotti dall’antichità ad oggi. E’ un modo, questo, di veicolare ai posteri un ulteriore messaggio culturale che senza dubbio risulta più efficace delle sole parole, per una pianta che tanto ha stimolato lo spirito, i sentimenti e l’interesse figurativo in generale, anche se non ha avuto assieme all’olio quella notorietà, che hanno avuto per esempio la vite e il vino, malgrado anche l’olivo e l’olio possano senz’altro gloriarsi di altrettanta “nobiltà”, come afferma l’autore. Per questo motivo egli si rammarica e auspica che si metta più cura con progetti architettonici degli oleifici, così come nella organizzazione di mostre e nell’allestimento di musei, similmente a quanto è stato fatto per la vite e il vino.
Auspica altresì che un maggior impegno venga profuso per rendere la coltivazione dell’olivo più redditizia, dopo che tanto è stato fatto per consolidare la valenza alimentare e salutistica dei suoi prodotti e che ne ha determinato un incremento nella coltivazione a livello mondiale. L’olivo è un protagonista indiscusso nella rappresentazione iconografica, almeno quanto la vite e il vino, non per un solo aspetto ma per tutto quello che esso rappresenta: per la sua presenza nel paesaggio, per l’aspetto di pianta sempreverde, per la straordinaria capacità di rigenerarsi, per le attribuzioni di innumerevoli significati oltre che per le proprietà nutraceutiche e salutistiche del suo prodotto.

L’olivo è stato, fin dall’antichità, sempre onorato e protetto laddove l’agricoltura, il commercio e l’arte erano fiorenti. Ha suscitato tanta venerazione ed è stato tanto rappresentato in ogni forma di arte, dalla pittura alla scrittura, da arrivare quasi a considerarlo come una pianta straordinaria. Tale venerazione, nei confronti di una pianta quasi immortale, ha costituito forse addirittura un ostacolo per la ricerca volta ad approfondire le conoscenze sulle sue caratteristiche più intime. Ma l’autore, con le sue ricerche a tutto tondo, non ha esitato a sfidare l’olivo, ha voluto conoscerlo meglio per renderlo ancora più generoso di quanto già non sia stato e sia ancora: cioè una pianta che ha sfamato intere popolazioni e che oggi si tenta di importare in aree povere dell’Asia e dell’Africa con le stesse finalità.

Il professor Giuseppe Fontanazza sin dall’inizio della sua attività di ricercatore si è reso conto che era necessario costituire nuove varietà più produttive e non alternanti. I difetti che descriveva già Pietro Vettori nel 1569, come la scarsa allegagione anche dopo una abbondante fioritura, è un difetto che ancora oggi si riscontra frequentemente, e la causa va cercata proprio nelle caratteristiche delle varietà conosciute, le stesse descritte dal Vettori nel Rinascimento e, più tardi, nel 1809, dal Tavanti. Quest’ultimo ha tentato anche una iniziale classificazione morfologica, ripresa poi da vari autori moderni quali Ciferri, Marinucci, Morettini, Baldini, Scaramuzzi, e altri; i padri, insomma, della arboricoltura moderna. Una classificazione che è stata tentata anche dallo stesso autore con i suoi collaboratori utilizzando tecniche molecolari. Di fatto le cultivar attuali sono rimaste più o meno le stesse del passato, a parte qualche piccolo miglioramento operato con la selezione clonale.

L’autore aveva però già intuito la necessità di intraprendere una via nuova, quella del miglioramento genetico per incrocio, oltre a quella clonale e grazie a questo impegno che sono state selezionati nuovi genotipi, quasi gli unici (FS17, Famosa, in particolare), al momento, in grado di opporsi al dilagare di due, tre cultivar straniere sulla scia della intensificazione colturale, con l’obbiettivo di accrescere il reddito per la indiscussa produttività e costanza produttiva, ma che non si distinguono certo, per nostra fortuna, per la resa in olio e le caratteristiche organolettiche e qualitative del prodotto. D’altro canto oggi la qualità non premia il produttore e quindi non lo incoraggia a produrre oli qualitativamente superiori, abbiamo perso la tradizione e gli insegnamenti degli antichi romani. Apicio, gastronomo romano, riporta nei suoi scritti che l’olio da olive verdi aveva un valore di cinque volte superiore a quello da olive nere, ovviamente perché la qualità di quest’ultimo era assolutamente inferiore rispetto a quello prodotto con olive verdi. Era sin d’allora noto che da una stessa varietà di olivo si potesse ricavare oli di diversa qualità.

Oggi ci rendiamo conto come questa carenza di nuovi genotipi o di portinnesti capaci di ridurre la vigoria di varietà tradizionali con elevate caratteristiche organolettiche degli oli, incoraggi coloro che, già poco inclini all’innovazione e allo sviluppo della ricerca, come varie associazioni e certi politici, frenano qualsiasi tipo di rinnovamento della nostra olivicoltura per timore che un cambiamento possa compromettere la tipicità dei nostri oli. La ricerca in agricoltura è ridotta al lumicino e i prezzi dell’olio definiti in base ad una classificazione che non tiene conto della qualità all’interno della categoria degli extra vergini, hanno come conseguenza estrema l’abbandono di oliveti in aree disagiate, perché la coltivazione non è più remunerativa. Tutto ciò finisce inoltre per favorire l’importazione da paesi in via di sviluppo di olive e oli di dubbia qualità, cosicché alcuni dei nostri oli, di qualità eccellente, spesso finiscono nei blends col risultato della sempre maggiore diffusione di un olio di mediocre qualità, che non aiuta a trasmettere al consumatore la corretta percezione della qualità sensoriale che possa sconfiggere quella di affezione, acquisita dal consumatore con il consumo abituale di oli non propriamente di qualità.

L’olivicoltura italiana deve essere rinnovata, e in fretta, laddove possibile, magari inizialmente facendo anche ricorso all’uso di portinnesti nanizzanti per mantenere la tipicità del suo prodotto, senza venir meno, al ruolo fondamentale che l’olivo esercita su alcuni paesaggi definiti storici, per il mantenimento dei quali, però, l’onere non deve ricadere solo sulle spalle dell’agricoltore. L’olivo “umanizza” il paesaggio che viene comunque modellato dall’agricoltore, anche se spesso condizionato dal pianificatore architetto-paesaggista che è portato per la sua preparazione culturale più verso aspetti puramente estetici che verso quelli produttivi e funzionali. Certamente si potrebbe fare meglio con la formazione di figure professionali altamente qualificate con forti competenze agronomiche e artistico-architettoniche che l’autore, forte della sua spiccata sensibilità a queste tematiche, sembra auspicare.

La nostra olivicoltura, quindi, non può e non deve essere solo custodita come un dipinto antico in un museo. Si deve tenere presente nell’operare le scelte, che anche le opere d’arte antiche sono servite, oltre che ad appagare i desideri del momento, anche a fornire spunti agli artisti che si sono succeduti nel tempo per presentare magari gli stessi soggetti, ma in forme e colori differenti, per creare nuove rappresentazioni che rispecchiassero i gusti dell’epoca pur mantenendo la loro funzione di suscitare emozioni e sentimenti spesso anche superiori a quelli del passato

Lo avevano percepito anche artisti in passato, che la olivicoltura è soggetta a cambiamenti; basti osservare l’acquerello del Dürer riportato in questa opera per renderci conto dell’adeguamento della coltivazione dell’olivo alle necessità del momento. In questo disegno acquarellato si osservano le diverse forme di allevamento, inclusa quella naturale a monocono, originata forse dopo una devastante gelata. Forma di allevamento questa sostenuta da sempre dall’autore e che, se non ha trovato un largo consenso presso agricoltori e divulgatori, ciò è dovuto essenzialmente a un difetto di comunicazione; oggi tuttavia questa forma di allevamento è tornata alla ribalta prepotentemente, perché adatta agli impianti intensivi e super-intensivi, ovviamente solo per genotipi che a questa forma si prestano, come più volte ribadito nel corso degli anni dall’autore.

Per capire tutto ciò è necessario non solo studiare e sperimentare, ma confrontarsi con le esperienze di altri paesi, magari molto lontani, che tuttavia fanno oggi parte ineluttabilmente di un unico sistema di mercato. Dall’opera si evince chiaramente che i contenuti sono frutto di esperienze scientifiche, progettuali e editoriali profonde maturate dall’autore non solo in Italia e nei paesi tradizionalmente olivicoli, ma anche in altri continenti. Esperienze servite a semplificare per rendere più economiche e accessibili a tutti certe tecniche, come quella della propagazione per talea in semplici cassoni a quella dell’allevamento in vaso delle piante in vivaio, alle forme di allevamento degli olivi in campo adatte ad operazioni colturali integralmente meccanizzabili, come la potatura e la raccolta in continuo, o la realizzazione di impianti intensivi ad alta densità. Esperienze fatte anche sperimentando le proprie varietà brevettate (oltre la citata FS 17, Favolosa, la don Carlo e la Giulia, di più recente costituzione), frutto di un lungo e scrupoloso lavoro di miglioramento genetico. Varietà che non hanno nulla da invidiare a quelle straniere impiegate attualmente in impianti intensivi e super-intensivi, anzi queste sono in grado di produrre più olio di qualità decisamente superiore. L’uso di queste, congiuntamente ad altre in via di sperimentazione e all’impiego di portinnesti capaci di ridurre la vigoria di molte cultivar di pregio, si spera servano a costituire oliveti produttivi e con costi di gestione ridotti, in aree attualmente occupate da oliveti oramai improduttivi, abbandonati o in fase di abbandono, con l’auspicio di un inizio di sblocco di questo deprecabile immobilismo della olivicoltura italiana.

Non poteva mancare nella trattazione, infine, la messa in luce della importanza della raccolta di germoplasma di olivo, operata dal nostro autore nella maggior parte delle aree olivicole più significative del mondo, nonché della sua conservazione e successiva caratterizzazione, per predisporre un serio piano di miglioramento genetico, supportato da tecniche molecolari e biotecnologiche avanzate, in ambito di Istituzioni scientifiche pubbliche.

Leggendo questo libro sono ritornato indietro con la memoria di alcuni decenni quando insieme all’autore si alternavano discussioni sul futuro della olivicoltura ad argomenti relativi all’arte. E mi rendo conto che molti di quelli che appena qualche decennio fa erano desideri, auspici, progetti, oggi si sono concretizzati, con la tenacia, caparbietà e lungimiranza di alcuni ricercatori, ma in modo particolare dell’autore, piegando spesso la resilienza della specie. Sin da allora egli era attento alla ricerca di dipinti antichi raffiguranti l’olivo. Oggi finalmente con molto piacere, in parte, li possiamo vedere raccolti in questa straordinaria opera che celebra la cultura e la coltura di questa meravigliosa pianta.

L’olivo e l’olio sono stati senza alcun dubbio protagonisti della storia, tanto che oggi vengono utilizzati per promuovere ed esaltare immagini promozionali in vari settori, dalla moda alla cosmesi, all’oreficeria; per fini ornamentali, dal bonsai alle decorazioni di giardini anche con piante monumentali, ai mobili e agli oggetti ricavati dal suo legno. Ma non è ancora sufficiente: questa pianta merita una valorizzazione maggiore e come maggior dovrà essere il riconoscimento a chi lo coltiva e lo studia.

Con l’olivo e i suoi prodotti la cultura e la coltura si fondono inscindibilmente e l’auspicio è che l’uno e gli altri continuino a suscitare l’ interesse di naturalisti, scienziati, agronomi, artisti, letterati, ebanisti e artigiani come finora è avvenuto. Non credo ci siano motivi perché questo interesse venga meno. Già si è avverato ciò che Pietro Vettori auspicava nel suo trattato nel secolo XVI “Delle lodi e della coltivazione degli Ulivi” , dove si legge: … “che venga in maggior honore o meglio si conosca la bontà e la virtù di lei (pianta) ….. e che può nascere agli huomini utilità maggiore”, che è anche l’auspicio degli autori. Infatti molti ricercatori hanno iniziato ad esaminare questa pianta nel suo intimo (con le biotecnologie e la biologia molecolare) e già sono apparse novità interessanti, per ora peculiari, che non lasceranno indifferenti scienziati ed artisti e che ridaranno un nuovo impulso alla coltivazione dell’olivo e al consumo dell’olio, come auspicava ancora lo stesso Vettori oltre 400 anni fa: … maggior vaghezza prenderà loro di piantare e di governar bene quello che furono poste dai nostri antecessori.

Spero che anche il mio auspicio si concretizzi: che questa opera, diventata ora un “dono degli autori ai lettori”, abbia un seguito; cioè che gli autori, prendendo spunto dalle recenti novità colturali, biologiche, biotecnologiche e molecolari, congiuntamente alle recentissime opere artistiche di questo inizio secolo raffiguranti l’olivo, offrano a tutti noi un “Nuovo dono di Minerva”.

Auspico altresì che le autorità amministrative e politiche, che sono spesso permeate di ideologie e di discutibili etiche che ostacolano il progresso scientifico e culturale, favorendo la concentrazione degli interessi nelle mani di pochi, che ne fanno monopoli di idee e di prodotti, possano trovare il coraggio di fare e di lasciar fare ciò che è esclusivamente utile al progresso dell’umanità.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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