Saperi

Le leggi della grammatica applicate al gusto

La coniugazione dei metodi di cottura, la sintassi degli accostamenti, i ruoli principali e subordinati degli abbinamenti e la punteggiatura della presentazione diventano oggetto di un’analisi gustologica. Non tutto è alla portata di tutti. La frittura, per esempio, è tanto difficile quanto l’uso del congiuntivo

Giovanni Staccotti

Le leggi della grammatica applicate al gusto

L’analisi gustologica esamina le fasi elementari, su basi semplici e precise, di una cucina che i cuochi eseguono con maturata professionalità e con la modestia di chi è padrone del suo mestiere, per passare poi ad un approfondirle al ginnasio e a perfezionarle all’università nella discussione accademica.

Discorrere, nel senso primitivo della parola di correre qua e là, passato poi al vagare con le parole riunendole correttamente nelle proposizioni, ciascuna costituita dal soggetto, predicato e complementi con elementi accessori come, attributi e apposizioni di un periodo.

Si può trasferire questo concetto grammaticale alla gustologia per conoscere i metodi di cottura che esprimono un modo di essere delle vivande completate dai condimenti, qualificati dalle salse e graduati dalle spezie.

L’analisi gustologica esamina ogni singola portata, intesa come una proposizione dove il verbo: la parola più importante del discorso, è il metodo di cottura, che esprime un modo di essere del soggetto inteso come alimento che si completa con il complemento visto come condimento, determinato dalle salse e graduato dalle spezie, rispettivamente aggettivi e avverbi.

Alcuni metodi di cottura sono rimediabili ma non la frittura, tanto difficile quanto l’uso del congiuntivo. Friggere – secondo Piero Antolini, mastro oleario – significa cuocere gli alimenti nel grasso a temperatura abbastanza elevata perché essi riescano dorati e croccanti, evitando che siano imbevuti del grasso di cottura.

Il complesso di proposizioni, collegate fra loro in modo da formare un tutto organico e con senso compiuto costituisce il periodo, assimilabile al pasto costituito dalle portate in giusto accostamento fra loro e abbinate alle bevande che meglio esaltano le singole qualità organolettiche evitando la prevaricazione delle une sulle altre. Il pasto, servito a pranzo o a cena, nella sua quotidianità è simile alla prosa che, quando si veste a festa, diventa poesia nei banchetti delle grandi occasioni.

Lo spuntino o la cenetta s’identificano nell’aforisma che compendia, in forma concisa e suggestiva, il risultato di una meditazione, o in un epigramma: componimento poetico, di solito ferocemente satirico.

Le vocali, assimilabili ai sapori fondamentali: acido, dolce, salato e amaro, variano in funzione delle diverse pronunce regionali o nazionali. Le consonanti che, per avere un suono, debbono necessariamente accompagnarsi ad una vocale, sono assimilabili agli aromi e ai profumi Queste diversificazioni indicano inequivocabilmente l’origine di una parlata, così come stanno ad indicare l’origine di un alimento o di una vivanda

Il cibo va inteso come una proposizione dove il verbo, la parola più importante del discorso, è il metodo di cottura, che esprime un modo di essere del soggetto inteso come alimento che si completa con il complemento visto come mezzo di cottura, determinato dalle salse e graduato dalle spezie, rispettivamente aggettivi e avverbi.

I mezzi di cottura possono essere costituiti da acqua, brodo, vino, distillato; grassi animali come burro, strutto o vegetali: oli da olive o di semi.

Il periodo è assimilabile al pasto costituito da tante proposizioni quanti sono i verbi che devono concordare fra loro. Un cibo importante è la proposizione principale del pasto mentre il vino costituisce la proposizione subordinata; facendo sempre attenzione a concordare il verbo della proposizione principale: il metodo di cottura, con il verbo della proposizione subordinata: il metodo di vinificazione, prescindendo dal colore del vino.

Nel periodo esistono proposizioni principali e subordinate, in ciascuna delle quali si colloca la vivanda o la bevanda secondo l’intendimento di evidenziare l’una o l’altra, ma sempre collegate fra loro in modo da formare un tutto organico.

Quando si vuole dare risalto ad una preparazione cucinaria gli si assegna il ruolo principale, riservando alla bevanda il ruolo subordinato; quando, invece, si vuole presentare una rarità enoica, questa assume il ruolo principale e la vivanda quello subordinato.

Si può considerare un vino di gran classe e valore come proposizione principale e il cibo come proposizione subordinata intesa come mezzo di esaltazione delle qualità del vino al quale si abbina.

Sono sempre valide le regole prese in considerazione per concordare i verbi della proposizione principale con quelli delle proposizioni subordinate del periodo che, come indicava Aristotele “deve essere di tale grandezza da abbracciarlo con un’occhiata “nel senso che deve essere abbastanza conciso da esprimere compiutamente un concetto senza scadere negli sbrodolamenti arcadici”.

Il vino si considera come una proposizione dove il soggetto è l’uva, il verbo è il metodo di vinificazione, da quella in bianco per ottenere vini bianchi da uve bianche ma anche da uve nere, alla macerazione e invecchiamento in botte e affinamento in bottiglia per i vini rossi sempre più di corpo, mentre il complemento oggetto si identifica nelle 300 e più componenti del vino.

Così come il periodo è costituito da tante proposizioni quanti sono il pasto, ed è formato da tanti cibi che devono concordare fra loro, il servizio a tavola è assimilabile alla punteggiatura, costituita da tredici segni d’interpunzione, indispensabili per la precisa lettura e comprensione del testo, che si collocano fra l’una e l’altra parola al fine d’indicare le pause, il tono di una frase, fa tutt’uno con lo stile di chi scrive, così come la presentazione delle elaborazioni cucinarie denota lo stile di chi le propone.

La punteggiatura non esisteva nei testi antichi, così come non esisteva il metodo di servizio delle vivande che venivano proposte senza la sequenza armonica della nostra lista delle vivande in corretto abbinamento ai vini e combinate con i condimenti.

C’é chi punteggia molto, chi poco, chi pochissimo; chi preferisca spezzare i periodi con un gran seguito di punti fermi, chi ricorre piuttosto a periodi complessi, ricchi di punti e di virgole così come si può presentare una serie di piccoli assaggi, una portata importante o un piatto unico; una cosa è certa: punteggiar bene è tanto difficile quanto scrivere bene analogamente al servizio che può valorizzare o annullare le vivande preparate con la massima attenzione.

Famoso è l’episodio di Martino, il frate che spostando il punto sconvolse il significato della frase subendo gravi conseguenze.

Per un punto Martino perdé la cappa è una locuzione che si usa per riferirsi a chi, per un nonnulla, ha perduto una grande occasione, a chi vede sfuggire lo scopo ormai raggiunto.

Il modo di dire è legato alla storiella dell’abate Martino, il quale, per dare il benvenuto agli ospiti, diede l’ordine di fare incidere sulla porta del convento i seguenti versi latini:

Porta pàtens esto. Nulli claudàris honesto,

Porta, stai aperta. Non ti chiudere a nessuna persona onesta.

Ma lo scalpellino fece un grossolano errore: invece di mettere il punto dopo honesto, lo mise dopo nulli.

Porta pàtens esto nulli. Claudàris honesto,

Porta, stai aperta a nessuno. Chiuditi alle persone oneste.

E a pagare il banale errore fu il povero Martino, che ci rimise la cappa, cioè la veste e la carica di abate.

Dizionario dei modi di dire di Giuseppe Pittàno – Zanichelli

Si racconta che Luigi Arnaldo Vassallo, noto con lo pseudonimo di Gandolin, collaboratore di Capitan Fracassa e fondatore del Don Chisciotte nel 1887 a Roma, divenne celebre per i suoi racconti sulla vita privata di una famiglia della piccola borghesia provinciale, raccolti nel libro La famiglia de’ Tappetti, del 1903. Un giorno ricevette un manoscritto dove l’autore aggiungeva, in cale, una serie di punti e di virgole con l’indicazione “se ne manca qualcuna provveda lei a metterle al posto giusto”. Esprimendo il suo fine umorismo, Gandolin restituì il manoscritto con l’appunto “la prossima volta mi mandi le virgole, che al testo ci penserò io!”

Ricapitolando: il pasto, dunque, servito a pranzo o a cena, nella sua quotidianità, è simile alla prosa che, quando si veste a festa, diventa poesia nei banchetti delle grandi occasioni. Così come lo spuntino o la cenetta s’identificano nell’aforisma che compendia, in forma concisa e suggestiva, il risultato di una meditazione, o in un epigramma. Bene, tanto gli orari quanto la composizione dei pasti sono in Italia molto diversi da quelli dei paesi anglosassoni dove, ai quattro pasti tradizionali si aggiungono il brunch (break+lunch) in orario tra la colazione ed il pranzo e il lunner, dopo l’orario del pranzo e prima di quello della cena (lunch+dinner).

I pasti per gli italiani sono quattro: due principali (il pranzo e la cena, mai prevista prima delle otto) e due più leggeri (la colazione e, soprattutto per i bambini, la merenda) e ciascuno ha una sua fisionomia particolare.

E, per concludere, ecco un ulteriore chiarimento su alcuni punti chiave.

L’etimologia indaga e studia l’origine e il vero significato delle parole, analizzando l’etimo che contiene il significato fondamentale della parola. E’ utile, se non indispensabile, conoscere l’etimo di ciascun alimento per poter comporre correttamente la vivanda prima e durante la sua preparazione.

La grammatica è l’arte del correttamente parlare e scrivere senza errori di pronuncia o di ortografia e si divide in tre parti: fonologia, morfologia e sintassi.

La fonologia studia i suoni e la loro pronuncia, come scrivere correttamente le parole del discorso formate da una o più sillabe, costituite da una sola vocale o da una vocale con una o più consonanti pronunciate in un sol fiato.

La morfologia è lo studio della forma delle parole delle quali osserva le trasformazioni e i mutamenti cui vanno soggette con la declinazione dei nomi e la coniugazione dei verbi. La declinazione è l’allontanamento dalla forma naturale di una parola analogamente a quanto avviene per un alimento nella sua elaborazione cucinaria che lo allontana dalla sua forma primitiva conferendo aromi e profumi diversi da quelli primitivi.

La sintassi studia l’ordinamento delle parole, il loro accordo e collegamento nella proposizione e nel periodo, analogamente a quanto avviene nell’accostamento delle diverse portate per comporre la lista delle vivande in un’armonia studiata per offrire le migliori sensazioni al gusto e all’olfatto, oltre che alla vista nella loro presentazione e nel servizio.

La foto è di Luigi Caricato

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