Saperi

Le parole

Si parte da un film, che si titola “The Words”, ed è il racconto di un uomo che scrive, colpito dagli eventi della famiglia che si è costruito e che lo hanno portato a una profonda e intima disperazione. Si tratta di un romanzo, scritto tutto d’un fiato. Quel che conta sono le parole, solo le parole. Queste si susseguono senza sosta, finché appare la parola “fine”, ma non è mai la fine

Massimo Cocchi

Le parole

Sembra strano, improbabile, come un occasionale squarcio di film, che altrettanto improbabilmente, fra i tanti, ti scivola sotto gli occhi, possa indurti a riflessioni che, in quel momento, sembrano scorrere immagini profondamente radicate nell’intimità del pensiero che hanno accompagnato, a volte come incubo, a volte come piacevole sensazione, la tua vita.

Avevo già visto le immagini che scorrevano ma non ne ricordavo nessuna, soprattutto non ne riuscivo a ricordare la morale che man mano si costruiva e scaturiva dalle parole del protagonista.

Il film si titola “The Words” ed è il racconto di un uomo che scrive, colpito dagli eventi della famiglia che si è costruito e che lo hanno portato a una profonda e intima disperazione, un romanzo tutto d’un fiato.

Due settimane nelle quali la sua vita si perde sui tasti di una macchina da scrivere per produrre il suo capolavoro, lui non sa se lo sarà o meno, scrive senza pensare alla grafica della copertina in una sfavillante vetrina di una libreria, è il suo ultimo pensiero, quello che conta sono le parole che si susseguono senza sosta sui fogli bianchi finché appare la parola “fine”.

Chi per primo deve leggere quelle pagine? La persona che ama, certamente, a testimoniare che quando si scrive con l’anima e non si costruiscono i libri come se fossero un progetto industriale, il cuore prende il sopravvento e dirompe il desiderio di condividere ciò che hai prodotto con la persona che occupa il tuo cuore.

Non pensi al successo del libro ma pensi alle parole che saranno lette da chi ti sta vicino e che solo dalla sua reazione dipenderà se quelle parole si potranno anche tradursi nella famosa copertina esposta agli occhi della gente comune.

Lui non vedrà mai quel libro perché il manoscritto va perso e, con quel manoscritto perso, tutto gli sfuma, famiglia, identità e speranze.

Quel libro non è andato perduto, perché lo rivede, con uno sciocco titolo, nella famosa vetrina luccicante, lo prende, lo legge e capisce che qualcun altro si è impossessato della sua anima, sì, perché rubare le tue parole significa rubarti l’anima.

Il libro diventa un capolavoro e lui, provato dalle disperazioni della sua vita, non può non raccontare al falso autore la storia delle parole che aveva scritto, ma la stanchezza della vita e l’anima che aveva prodotto quelle inimitabili parole non gli consentono la vendetta, tuttavia, le sue parole hanno infiltrato il cervello del fedifrago e quando la parola ti arriva non la dimentichi più per la vita, questa può anche essere la vendetta della parola.

Non riesce a godere della disperazione di chi si era appropriato di quelle parole, anzi, sollecita l’autore che l’ha surrogato a godere del successo.

Altre parole verranno scritte dal falso autore ma non riusciranno a scalfire la sua disperazione perché egli sa che non sarà mai all’altezza delle parole rubate.

Un unico gesto sembra dargli un’apparenza di pace, cioè riportare il manoscritto alle spoglie del vero autore come a dire che lui non sarà mai lo “scrittore”.

Le parole. Sono, forse, la cosa più affascinante fra gli elaborati che il cervello può produrre.

Tu ti accorgi quando esse riescono a comunicare, come le pennellate del pittore o le note del musicista, la differenza è che, oltre all’emozione che ti suscita la magnificenza di un quadro o una divina musica, le parole possono entrarti dentro e modificare il pensiero, colpirti nelle sensazioni più intime.

Per quasi tutta la vita ho scritto “robe” scientifiche, parole che non uscivano dall’anima ma erano descrittive di esperimenti e raccontavano risultati, a volte interessanti, a volte meno.

Mentre scrivevo sognavo di sapere “dipingere” colori straordinari come Van Gogh o di scrivere musiche immortali come Mozart – ah! come mi sarebbe piaciuto. Mai, pensavo, che un giorno, all’improvviso, avrei potuto suscitare emozione con le parole.

Veramente non lo so ancora, mi tocca fidarmi delle poche persone che leggono le mie parole scritte in libertà, ma questo mi basta e, pur consapevole che lo scrivere viene misurato dal successo, ho capito che scrivo per me stesso.

È quando le parole fluiscono che provo quel piacere che mi riempie, non importa se piaceranno o meno, se avranno successo, se venderanno milioni di copie, esse devono darmi pace e soddisfazione, dentro, e devono insegnarmi che è possibile costruirsi anche in un’altra dimensione.

Devono insegnarmi a perdonare, come fa l’autore delle parole del film, la meschinità di quell’essere umano che da sempre non disdegna di vendersi per un piatto di lenticchie.

Ecco la magia delle parole, che dopo neppure ricordi e che non sapresti più ripetere, a significare che esse escono e si perdono in uno spazio che non ti è dato di conoscere, la magia di un momento che è solo tuo, di un’emozione che si ripete, diversa, ogni volta che inspiegabilmente escono dal cervello e cadono sulla carta.

Le parole non costano nulla ma se mi rubano le parole, mi rubano l’anima.

La foto di apertura è di Olio Officina

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