Le tre città
«Se abitassimo in una piccola città sarebbe tutto più facile» disse Matilde, seduta al caffè degli specchi antichi insieme con Nora e Camilla. E nessuna ha dubbi: l’ideale sarebbe Parma, posto che custodisce ricordi, emozioni, amori e scelte, in cui ognuna di loro ha lasciato un pezzo del proprio cuore

Era passato molto tempo dall’ultima volta. Quasi due anni. Ora di nuovo erano lì, davanti a una tazza di tè, nel caffè dagli specchi antichi della grande città.
Matilde, Nora, Camilla.
Matilde: «Se abitassimo in una piccola città sarebbe tutto più facile».
Nora: «Non dovremmo aspettare due anni prima di vederci».
Camilla: «Quale piccola città scegliereste?».
Matilde, Nora, Camilla: «Parma!».
Matilde: «Incredibile! Lo abbiamo detto insieme».
Nora: «Propongo allora un gioco: ognuna di noi spiegherà il motivo della sua scelta e la prima sarai tu, Matilde».
…
…
«So quello che pensate di me. So che per voi sono la “familista”, perché ho abbandonato gli studi universitari per dedicarmi a mio marito e ai miei figli. Ora anche al nipotino. So che per voi stare tutto il giorno con tre figli, occuparsi della loro educazione, prendersi cura di loro è qualcosa di limitante, ma per me la famiglia viene prima di tutto, sia quella di origine, sia quella creata da me e da Gaetano. Anche Parma, la scelta di questa cittadina, ha a che fare con la famiglia, ha a che fare con mio padre.
«Era l’anno della mia maturità, vivevo in Piemonte. Mio padre mi propose di accompagnarlo a Parma dove aveva un impegno di lavoro. Era luglio ed era caldissimo. Fu un viaggio letterario perché, durante tutto il tragitto, ripercorremmo la letteratura italiana dell’ultimo anno di liceo.
«Entrambi innamorati di Verga, dei Malavoglia. Nelle due ore e mezzo di viaggio tornammo anche a Manzoni. Entrambi avevamo vissuto parte delle nostre vite nei luoghi manzoniani: lui, ovviamente, periodi più lunghi.
«Fu, quel viaggio, l’unica volta in cui fummo insieme, soli, io e lui. Non era mai successo prima. Non sarebbe più successo dopo.
«Nel pomeriggio, mentre lui incontrava persone per il suo lavoro, io mi dedicai all’Antelami. Amavo la scultura gotica. Mi divisi così equamente tra Cattedrale e Battistero.
«Ci ritrovammo per cena al Farini. Gli raccontai di quanto avevo visto. Lui di nuovo partecipò con vivo interesse ai miei racconti. Aveva curiosità e conoscenze su tutto.
«In auto, durante il viaggio di ritorno, parlammo di musica, dalle Variazioni Goldberg a Gino Paoli.
«Per quel mio padre, per quel nostro viaggio a due, sceglierei Parma.
«Ridete pure di me…».
Camilla: «Perché mai dovremmo? Perché all’epoca ci dispiacque che tu avessi abbandonato gli studi?».
Nora: «Forse di noi tre sei proprio tu quella che ha una vita più normale e, chissà, più felice…».
Matilde: «Parola grossa felice! Ma adesso basta parlare di me. Dicci tu, Nora, la nostra intellettuale, perché sceglieresti Parma».
«Per me è la città che collego a emozioni da ragazzina, anche se il mio ricordo è recente, di pochi anni fa.
«Era uscito il mio libro sull’Attore che presentavo in varie città.
«Mi avevano chiamato a Verona. Avevo proposto di accompagnarmi alla Ballerina che aveva collaborato con l’Attore e che avevo ritrovato, dopo la morte di quest’ultimo, a una mostra su di lui. Che peccato, mi aveva detto, non posso. Allora le avevo proposto Parma dove sarei andata il giorno successivo e lei con gioia aveva accettato.
«Avevo pensato io all’albergo. Avevo trovato all’Hotel Torino, pieno centro, due camere a prezzo bassissimo. Ci saremmo trovate per l’ora di pranzo lì, lei proveniente da Milano, io da Verona.
«All’ora di pranzo la Ballerina mi telefonò per dirmi che era arrivata e che il suo treno era stato puntualissimo. Il mio (mi ero alzata alle 5.30 per il treno delle 6.30) prevedeva, invece, più di tre ore. Con due cambi: uno a Mantova, l’altro a Suzzara. Così, quando mi chiamò, le dissi che ero ancora tra Mantova e Suzzara, con grande ritardo, con la neve che iniziava a scendere e la mia solita ansia di non riuscire ad arrivare in tempo alla presentazione delle 18.
«Mi disse che l’albergo era bello e che sarebbe andata a mangiare un boccone in attesa del mio arrivo. Sempre allegrissima.
«La mia agitazione sembrava non turbarla per nulla. In compenso il suo buonumore ebbe su di me un piacevole effetto, tanto che quando giunsi a Suzzara mi misi sulla banchina per guardare nevicare. In grande tranquillità.
«Alle 16.00, finalmente, ero anch’io in albergo. Le nostre camere adiacenti, il nostro umore alle stelle.
«Andammo per una merenda al Caffè Cavour, un’occhiata rapida alla Cattedrale e al Battistero, poi con passo veloce alla Libreria Chourmo.
«La presentazione fu divertente, l’ambiente interessato all’Attore, le domande numerose. Avevamo sforato l’ora di chiusura della libreria. Pensammo così di andare a cena in un posto vicino. Il libraio e i suoi due amici ci indicarono il luogo, poi decisero di accompagnarci.
«Quando giungemmo, ci chiesero se fosse nostro desiderio rimanere sole o in loro compagnia. Il tempo della domanda e la Ballerina: con voi, certo che con voi!
«Al tavolo le nostre conversazioni si intrecciavano (ognuna di noi sceglieva un interlocutore), poi confluivano. Bevemmo e ridemmo. Ricordammo l’Attore che, seppur in modo diverso, tanta parte aveva avuto nelle nostre vite. Ricordammo città in cui avevamo abitato, in tempi diversi, tutti e cinque noi commensali.
«Ci proibirono di pagare. Ci salutammo scambiandoci nomi, cellulari e promesse.
«Il mattino dopo mi alzai come sempre prestissimo per andare a Viterbo. Nella hall chiesi il conto. La cifra era irrisoria.
«Allora pensai di offrirlo anche alla Ballerina, pregando il portiere di dirle che per lei aveva pagato il signor ***, ovvero il nome di battesimo dell’Attore.
«Ero già oltre Bologna, quando la Ballerina mi chiamò. Continuava a ridere: credevo di diventare pazza, mi disse, ma chi è il signor ***? Mi è toccato riprendere in mano i foglietti che ci eravamo scambiati ieri sera con quei tre, ma nessuno di quei nomi corrispondeva a ***. Poi pensa e ripensa e sì, il signor *** è il nostro amato Attore. E sei tu…
«È stato tutto talmente bello ieri sera, le risposi, che sono convinta che l’Attore avrebbe offerto l’albergo a entrambe, a questo nostro esserci ritrovate in nome suo.
«Per l’euforia di quella giornata (e serata), per la bellezza del passeggiare nelle sue strade, per la sua gente: ecco perché sceglierei Parma!».
Matilde: «Un po’ ti invidio, Nora. Invidio la tua esuberanza, la tua giovinezza âgée. La capacità che hai di trovarti sempre in situazioni divertenti. Mi chiedo se non sia perché, dopo il divorzio, non ti sei più sposata… Poi subito mi rispondo che neppure Camilla è sposata, eppure è seria, manca della tua vivacità. Manca soprattutto della tua vitalità».
Camilla era silenziosa. Una presenza assente. Come non fosse lei l’oggetto delle chiacchiere delle sue amiche.
Nora: «Ora è il turno della nostra donna di denari, la nostra contabile, la nostra commercialista di successo. Niente famiglia, niente follie. Perché Parma?».
«Per un amore…».
Nora e Matilde la guardarono sbalordite.
«Ricordate quando, tanti anni fa, decisi di provare un anno di insegnamento? Quando mi trasferii a Bologna in quell’istituto di cui non ricordo neppure il nome?
«Fu una specie di colpo di testa, quasi una follia: dedicare un anno a qualcosa di diverso.
«Insegnavo diritto ed economia, la materia che mi era concessa con la mia laurea.
«La mia scuola aveva organizzato una gita a Parma con due mete: il Museo Bodoni e la mostra sul Parmigianino e il manierismo europeo. Quattro docenti: due uomini e due donne. L’andata in pullman la feci accanto al collega di storia dell’arte. Sull’altra coppia di sedili la collega di lettere con l’insegnante di grafica. Noi chiacchieravamo, loro si abbracciavano e ridevano. Si capiva che si conoscevano da tempo.
«Al Museo Bodoni tutto filò liscio. Eravamo, del resto, affascinati da quei caratteri, dalle loro “grazie”, da quei meravigliosi contrasti tra linee spesse e linee sottili, da quella grafica pulita ed elegante.
«Ci fu la pausa pranzo con i ragazzi in libertà. Io non prestavo attenzione ai discorsi dei colleghi: parlavo al cellulare con un mio amico.
«Insisteva perché andassi a pranzo da lui. Non riusciva a capire che non ero sola e che era spiacevole lasciare gli altri. Ero, come si dice, “in servizio”.
«Lui non mi dava tregua. Chiamava e richiamava: le tentava tutte. Almeno un caffè, fu la sua ultima proposta. No, se non posso venire in compagnia. Mi disse che voleva vedermi da sola…».
Matilde: «Era innamorato di te?».
«Credo gli piacessi molto. Lui era fascinoso. In un’altra situazione ci sarei andata e magari sarebbe successo qualcosa, come spesso mi accade. Senza implicazioni, come sempre. Ma la mia razionalità rifiutava una parte di lui: era un intellettuale tronfio, parlava difficile e soprattutto non faceva nulla se non scrivere libri noiosissimi che non gli permettevano certo di vivere. Poi guardavo i miei colleghi che stavano attenti al costo di un panino e mi vergognavo per lui. Insomma, come vi ho detto, un intellettuale».
Nora: «Allora devo dare per scontato che non sopporti neppure me?».
«Matilde ti ha definita “intellettuale”. Io troverei più appropriato per te “appassionata”, perché sei appassionata di tutto. Della vita in primis».
Nora: «L’amore per cui sceglieresti Parma non è quindi per lo scrittore?».
«Certo che no! Finita la pausa ci aspettava la mostra sul Parmigianino alla Galleria Nazionale. Decidemmo di dividere i ragazzi in due gruppi e anche le nostre coppie, senza previsione alcuna, si scambiarono.
«Fu così che mi ritrovai in quella penombra accanto al collega di grafica. Le stanze erano tante, i dipinti pure. Noi li commentavamo con giudizi che erano sempre – potrei dire immancabilmente – in accordo. La stessa partecipazione, la stessa commozione.
«Quando, per miracolo, passando da una stanza all’altra, ci trovammo davanti il Teatro Farnese. Una vera apparizione in quella luce soffusa. Un’emozione unica. Per me unita all’emozione di essere con lui…».
Matilde: «E lui? Sicuramente avrà provato lo stesso».
Nora: «Camilla, sai bene che di noi tre tu sei la più bella!».
«Non c’entra nulla la bellezza. C’è il fatto che io, la donna dai tanti uomini, presi, usati, gettati, per la prima volta provai qualcosa di diverso a cui non seppi subito dare un nome, ma che in seguito non avrei avuto dubbi a chiamare amore.
«Mi chiedevi di lui, Matilde, cosa avesse provato. Non mi disse niente, ma superati i quindici anni, tutte sappiamo che le emozioni non sono univoche. Mai».
Matilde, Nora: «E poi?».
«Poi la vita riprese. Orari, lezioni. Io non scordai di portagli un libro di cui gli avevo parlato. Lui mi cercò per restituirmelo. Scambio infinito di mail. Finché l’amore ci travolse sui gradini di una chiesa romanica.
«I nostri erano incontri furtivi (lui era sposato), io libera come l’aria.
«Trascorremmo tre mesi incantevoli. Ogni minuto libero era nostro. Condividevamo ogni più piccolo pensiero. Amavamo le stesse poesie, gli stessi scrittori. Lui m’incise un intero nastro con La cura di Battiato: La cura, La cura, La cura, La cura… perché lo ascoltassi in auto. Era meraviglioso: provare la sensazione che qualcuno mi proteggesse, che avesse cura di me. Che accettasse i miei sbalzi di umore…
«Quando eravamo costretti a lasciarci, ci scrivevamo, mail su mail. Passavamo intere notti svegli pur di scriverci. E ci ritrovavamo a scuola. Poi via dalla pazza folla. Giri in auto o incontri a casa mia.
«Mi ero affittata, per quell’anno, una casa che nessuna insegnante che avesse dovuto vivere del suo stipendio si sarebbe potuta permettere.
«Fu proprio lui a farmelo notare. Ammetto che la cosa mi infastidì. Non poco».
Nora: «Allora lo mollasti».
«No, non fu così semplice. Ero comunque innamorata di lui. Ero diventata una specie di geisha. Avrei fatto qualunque cosa per renderlo felice».
Matilde: «Mi è difficile vederti come una geisha…».
«Eppure lo ero e il fatto di esserlo mi convinceva che quello che provavo fosse vero amore. Come potete ben immaginare non mi era mai successo prima.
«Subentrò poi la gelosia da parte sua. Non ne avrebbe avuto motivo: mai in vita mia fui più fedele. Ma gli amici continuavano a chiamarmi e lui faticava a capire. Gli ritornò persino in mente la telefonata di Parma con l’intellettuale. Pensavo che non ce l’avrei fatta a sopportare tutta la sua ansia, tutti i suoi timori».
Matilde: «E non eri gelosa della moglie?».
Nora: «Non si è mai gelose delle mogli, le mogli sono tradite per statuto».
Poi, guardando Matilde: «Scusami, ho fatto la mia solita gaffe». L’amica le sorrise.
Camilla: «In ogni caso Nora ha ragione. Di sua moglie me ne fregavo altamente. Mi importava solo che non lo sapesse perché non soffrisse.
«La sua gelosia asfissiante mise in moto in me un meccanismo malsano e sconosciuto, soprattutto dopo che mi ebbe rivelato di una collega che gli telefonava in continuazione per bere un caffè con lui.
«Quel pensiero iniziò a ossessionarmi. Diventavo pazza. La sua gelosia e la mia pazzia caratterizzarono il nostro quarto mese insieme. Un inferno. Avessi fatto un altro lavoro avrei abbandonato immediatamente Bologna, ma l’insegnamento non me lo permetteva. Non dormivo più la notte e quando il pomeriggio veniva a casa mia, non facevamo più l’amore: restavamo in preda alle nostre reciproche ossessioni. Finché…».
Nora, Matilde: «Finché?».
«Finché, dopo cinque mesi di devozione assoluta, mi ricordai che, a differenza sua, io ero libera come l’aria. E fu proprio l’aria a riappropriarsi di me.
«La scuola finì. Io lasciai Bologna e lasciai anche lui.
«Mi ributtai nel lavoro e, tempo permettendo, negli uomini».
Matilde: «Non capisco perché scegliere allora, anche se ipoteticamente, Parma come piccola città…».
Nora: «In fondo sarà pure stato un amore, ma un amore finito male».
Matilde, Nora: «Perché?».
Camilla: «Io, la “più bella” (per voi), io, la “più ricca e la più libera” (per me), io, la “donna di successo” (per tutti), ho avuto un unico pensiero che, compagno fedele, da allora in poi mi ha sempre seguito, nei miei spostamenti in auto, in treno, in aereo, persino nelle riunioni di lavoro…
«Il pensiero del Teatro Farnese, di quell’emozione che mi scardinò il cuore e il cervello. Il pensiero di un’apparizione che mi fece vivere i mesi più belli della mia vita. Fra me ed Ermanno era finita? Che importanza aveva? Il nostro amore si era materializzato in quel teatro. Si era “incarnato” a Parma, nel teatro Farnese.
«Per questo sceglierei Parma, per un amore, per un monumento, per un monumento all’amore, all’unico della mia vita».
Matilde e Nora finirono il loro tè in silenzio. Nello specchio laterale videro il profilo turbato di Camilla. Chiara ad entrambe la lacrima che le solcava il volto.
Lucca, 12 maggio 2021
In apertura, foto di Mariapia Frigerio
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