Saperi

Leggerezza, non unto

“Trovo che il prezzo di un extra vergine debba essere giusto”, sostiene Giampietro Comolli. “Non sempre un prezzo alto corrisponde a un’alta qualità. Mi interessa più un rapporto valore/identità che un qualità/prezzo, poiché quest’ultimo ha spinto il parametro prezzo sempre più in basso”

L. C.

Leggerezza, non unto

Ha una laurea in Scienze agrarie consegueita alla Cattolica, Giampietro Comolli; e poi corsi di alta formazione in economia politica comunitaria (a Strasburgo) e in strategia gestione imprese agroindustriali (Cattolica-Bocconi); nonché un titolo di laurea in enologia e la qualifica di giornalista iscritto all’ordine; ma è anche accademico della vite e del vino, nonché benemerito dei Georgofili; lecturer e teacher visit in corsi post-laurea (IusVe); consulente di imprese e in gestione distretti produttivi integrati, di associazioni e consorzi di tutela Dop.

Questo e altro ancora è Giampietro Comolli. Lui si definisce, a pieno titolo, agricoltore e viticoltore. Insomma, la sua vita è all’insegna dell’agricoltura, in un percorso ricco di molte tappe: dirigente Anga-Confagricoltura Piacenza (1973-1980), stage al Parlamento Europeo su incarico Ministro Marcora (1980), segretario di zona e dirigente ufficio economico Coldiretti Piacenza (1981-1984), lancia marchio Terranostra, collabora stesura leggi su agriturismo e strade del vino(1983), speach a Vertenza Europa a Atene (1983), ricercatore Istituto Viticoltura Facoltà Agraria Piacenza (1981-1983); collabora con on. Desana e prof. Fregoni al Comitato Vini (1984-1989); researcher visit in Unioncamere (1987-1988); collabora alla stesura legge vini Doc con prof. Fregoni (1991); rifonda la FederDoc (1999). Per Ministero Affari Esteri cura abbinamenti vini a pranzi e cene dei Capi di Stato e di Governo ai G8 in Italia a: Napoli (1994), Genova(2001), Aquila(2009).

Vi sembra poco? Giampietro Comolli è stato anche direttore del Consorzio vini Doc Colli Piacentini, nonché direttore del Consorzio Franciacorta, fondatore Osservatorio economico mercati& consumi vini effervescenti Ovse-Cesve (1991), direttore generale strategico gruppo Ferrari-Lunelli (1999-2003); consulente strategico aziende Conte Giorgi di Vistarino(2004); direttore consorzio Terre del Gavi e consorzio Bolgheri-Sassicaia (2003-2005).

Tante le idee e le inziiative che recano la sua impronta. Crea il Forum Spumanti d’Italia (2005-2010), crea l’associazione pubblico-privata Altamarca-Colline del Veneto-Terre del Prosecco come distretto produttivo di sistema (2009-2013); consulente strategico gruppo Berlucchi Guido-Caccia al Piano Bolgheri (2010); consulente Gruppo Onorevoli della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo (2010-2014).

Nel 2011 fonda il progetto di sistema UnPOxExPO2015© per ExpoMilano per promuovere turisticamente la pianura Padana e il turismo lungo il fiume Po; membro comitato scientifico accademico di Aikal (2010-2014). Ha scritto oltre mille articoli giornalistici sul vino e sulla politica economica agraria; ha condotto 52 puntate della rubrica vino-territorio per VivereMeglio-Rete4-Mediaset (2008-2012); ha scritto oltre quindici mila recensioni e degustazioni di vini. Selezionatore vini per Guida Alpe Adria Regione Europea-Editore Club Magnar Ben (2010-2014). E’ vendangeur, gourmet e gourmand. Appassionato della scuola di Parigi.

Che dire? Non potevamo che ciedere a lui la sua idea di olio.

Quale idea di olio lei si è fatta nel corso dell’infanzia? L’olio di quegli anni è stato quello ricavato dalle olive o un olio di semi?
La mia infanzia a tavola è stata privilegiata. Ho avuto cuoche e nonne bravissime. Il condimento era vario, dal burro all’olio di semi di arachidi, dall’olio di sansa all’olio extra vergine d’oliva (taggiasche liguri e leccio/leccino gardesano), dallo strutto all’olio di palma e alla margarina vegetale. La scelta avveniva in base al piatto e alla cottura: l’olio di palma per le fritture di carne e pesce e le insalate; il burro per gli arrosti di carne e la pasta ripiena o pastasciutta; semi di arachidi per le verdure fritte; lo strutto per frittelle e cereali. Usavano anche la “filarete” di maiale per avvolgere la carne più asciutta (cinghiale, cervo…).
Un ricordo forte, di cui ho ancora i profumi nel naso, è la merenda pomeridiana con una fetta di pane, mollica uniforme, compatta e pesante, eliminata la crosta dura per la cottura prolungata, spalmata con olio extra vergine d’oliva verde intenso e sopra lo zucchero bianco a grana grossa. Ideale dopo la partita a calcio!

Una curiosità: i sapori e i profumi dell’olio della sua infanzia coincidono con quelli che invece percepisce e apprezza oggi?
Il gusto dell’extra vergine di una volta era più grezzo, più forte, più piccante e forse anche più acido, certamente corposo, pieno, carico, denso. Il profumo era intenso, lo vedevi e sentivi nell’insalata. Oggi c’è più scelta, più etichette sugli scaffali, ma alcuni parametri sono stati sostituiti.

Cosa apprezza di più di un olio extra vergine di oliva?
Leggerezza, non unto, stabilità, bassa acidità, digeribilità, piacevole retrogusto leggero e intenso, non acre e non amaro, ma profumo intenso vegetale crudo e un verde olivastro per certe varietà, un verde giallastro trasparente per altre varietà.

Quanto sarebbe disposto a spendere per una bottiglia di extra vergine?
Trovo che il prezzo deve essere giusto, non sempre a un prezzo alto corrisponde una alta qualità. Mi interessa più un rapporto valore/identità che quello qualità/prezzo poiché quest’ultimo ha spinto il parametro sempre più verso il basso. Oggi con 10-12 euro al litro compero un ottimo extra vergine quotidiano. A volte ho trovato anche a 8 euro un ottimo prodotto in frantoio. Oltre 20 euro/litro credo che si esca dalla formula di “uso quotidiano” e di consumo regolare e propositivo…..

A tal proposito, per lei la bottiglia che frequentemente acquista di quant’è?Da 250, 500, 750 ml o da litro?
Sempre come minimo da litro, ma soprattutto da 5 litri in frantoio.

In tutta sincerità, senza alcuna senso di colpa o imbarazzo, qual è il suo condimento preferito tra tutti i grassi alimentari?
Sono un convinto assertore che la variabilità o biodiversità a tavola, non a parole, sia un grande successo e una grande risultato della cucina italiana e mediterranea; addirittura la “cucina padana” è quella dove scambi e contaminazioni sono stati maggiori negli ultimi secoli e quindi dove la biodiversità agraria e naturale (il crudo) si elevi a cultura e civiltà (il cucinato) grazie all’incontro fra generazioni e luoghi, dove il mariage uomo-prodotti ha espresso una evoluzione continua ma rispettosa dell’origine dei profumi e gusti, attenta ai fattori anche terapeutici, nutraceutici e ergoceutici dell’alimento e bevande. Uso in cucina tutti i condimenti possibili sempre secondo la regola base e assoluta: quale prodotto devo condire e quale cottura. I tortelli ripieni e la bomba di riso sono sempre al burro; gli spaghetti sempre all’olio extra vergine e pomodoro fresco; lo strutto per il gnocco e per le fritelle di farine. Sicuramente l’extra vergine ha preso più spazio rispetto a 50 anni fa anche per pasta e riso, per carne e pesce; l’olio di sansa di olive a bassa acidità oramai lo utilizzo per tutte le fritture e arrosti.

Basta olio. Veniamo al suo lavoro. A cosa sta lavorando?
Sto lavorando al progetto nazionale “fuorisalone” di Expo Milano 2015 dedicato all’area produttiva agroalimentare dell’alveo del fiume Po, da Saluzzo a Venezia, ripercorro dopo 60 anni circa il viaggio di Mario Soldati, sempre in chiave culinaria, ma turistica, artistica e culturale. E’ programma di accoglienza per far conoscere cultura del cibo e civiltà della tavola in area di pianura e in ambiente “umido” dove però l’uso e l’abuso di acqua, suolo, alimenti deve essere governato in modo diverso con sussidiarietà, solidarietà e sostenibilità. Stiamo creando 200 pacchetti turistici da 4 giorni cadauno per i Tour Operator Mondiali per proporli a milioni di turisti che verranno in Italia durante Expo in modo che abbiano una occasione unica e irrepetibile: entrare nei luoghi di produzione delle eccellenze alimentari italiani e toccare con mano in cantine, caseifici, salumifici, orti, frutterie, pescherie, panetterie, pastifici, ristoranti, abbazie, monasteri l’origine reale dei Dop veri italiani e farne memoria e prova quando torneranno in patria per non cadere nei tranelli del falso made in Italy.

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