Saperi

Les taxis parisiens

Racconto. La capitale francese sfreccia nei finestrini dei taxi. Questi sono gli unici mezzi che consentono alla donna di spostarsi: il suo dolore al ginocchio, a volte, è insopportabile. I tragitti sono accompagnati da discussioni in sottofondo tra autisti più o meno capaci di districarsi per la città e la protagonista che, invece, Parigi la conosce. Ma non tiene conto che il marito e il nipote non apprezzano questo suo modo di sottolinearlo, pazienza. In una Parigi, devastata, che vive ancora all’ombra del Covid, può solo sperare che “questo dramma possa avere fine e che «un fleuve joyeux» torni a scorrere”

Mariapia Frigerio

Les taxis parisiens

Parigi è una città che si gira benissimo a piedi (non è molto grande) o, se di fretta, con il métro.

Ma se il dolore al ginocchio non permette né un modo né l’altro non resta che il taxi che, a Parigi, non è caro come in Italia.

E così, su un taxi, inizia la sua settimana parigina.

La prima tappa è Orly-Parigi. Lei conosce Parigi meglio dei taxisti, per cui indica loro l’arrondissement e, in prossimità dell’indirizzo, le vie più veloci per arrivarci.

L’autista imbocca Boulevard Richard-Lenoir.

È più forte di lei chiedere all’autista nero se sa chi abitasse in questo boulevard. Ovviamente l’autista si scusa: non sa.

Lei insiste: di certo conoscerà Simenon. Diniego.

Il marito della donna scuote la testa; il nipote cerca, sperando di non essere visto, di guardare il cellulare.

Lei non resiste e deve dare la sua risposta: qui Simenon pensava abitasse il suo commissario, il commissario Maigret.

Ah, molto interessante!

Il marito nuovamente scuote la testa: affranto.

Il giorno successivo è sola col taxista.

I taxisti parigini conoscono poco la loro città. Colpa dei navigatori.

Per andare a Parc Monceau l’autista la porta fino al XVIII, a Barbès.

Lei gli chiede il perché di una strada così lunga. Lui inventa una scusa. Ma lei pensa che almeno avrà più tempo per parlare.

Perché ormai lo sa: solo i taxisti l’ascoltano.

Non più figli, né marito, né nipoti. Lei pensa che sia un grande sfogo. L’unico che ormai le sia rimasto.

Così parlano. Lui le fa notare i negozi chiusi, la gente senza pacchetti (siamo a Barbès!) e il deserto nelle strade.

Eppure siamo alla vigilia di Natale.

Naturalmente, attraversando Richard-Lenoir, la donna non riesce a trattenersi dal parlargli di Maigret. L’autista finge un entusiasmo improbabile.

Dopo tre ore al Louvre il ginocchio duole più che mai. Urge un taxi per tornare a casa.

L’autista è marocchino. Lei ha male ed è nervosa.

Presuntuosa gli ripete: XI, sì, insomma, Bastiglia o, se preferisce, place Louis Blanc.

Il taxista mostra segni di insofferenza: Bastiglia o Louis Blanc? Sono distanti.

No, ribatte lei con la presunzione dell’ignoranza, sono vicini.

Peccato che la signora faccia una grande confusione con i nomi e così, forse per il dolore che non le dà tregua, dice Blanc quando dovrebbe dire Blum, Leon Blum.

Pure l’indicazione dell’indirizzo è sbagliata: rue Parmentier anziché avenue.

Ormai i taxisti odierni usano tutti il navigatore. Così, se sul navigatore imposti “rue”, manca l’intelligenza umana per suggerire che forse è “avenue”.

La tensione tra l’uomo e la donna aumenta.

L’autista le dice in modo antipatico: “avenue”, “avenue”, se lei mi dice “rue” come faccio a trovarlo?

La signora gli risponde furibonda: è mai possibile che noi italiani capiamo qualunque straniero che usi i verbi all’infinito, che usi in modo improprio il lessico, e voi francesi, invece, fate tante storie?

Entrambi hanno le mascherine, una parete di plastica li divide.

La donna sa che può diventare insopportabile. Il clima è rovente e lei ha paura: paura di essere stata troppo antipatica.

Cambia tono e inizia in modo mellifluo a dare ragione all’autista. Quando arrivano a destinazione si prodiga in ringraziamenti.

Falsa più che mai.

Pensa: mi sei stato talmente odioso che non spreco per te il mio Maigret e la sua abitazione in Richard-Lenoir.

Lo racconta al marito. Commento: sei una pazza, prima o poi ti succederà qualcosa.

Al terzo o quarto giorno le capita un taxista francese. Un bell’uomo cinquantenne.

Lei sale e si scusa di prendere un taxi. La sua morale austera la fa vergognare di potersi, in età avanzata, permettere il lusso di muoversi così.

Il taxista, ovviamente, la guarda allibito.

Lei continua con le scuse: sa, ho un grande male al ginocchio, faccio dei tratti a piedi benissimo, poi di colpo mi si blocca e il dolore non mi dà tregua.

Lui, tipico francese, quasi cartesianamente le risponde: e perché non si fa operare?

Beh, pensa lei, si può iniziare una conversazione.

Sa, gli risponde, sono vecchia, ma non vecchissima e ho paura di finire i miei ultimi anni immobilizzata per un intervento che potrebbe non riuscire. Non tutti hanno risultati soddisfacenti.

Lui guarda nello specchietto retrovisore e: ah, certo, su questo ha ragione.

È educato e la donna sa che quando attraverseranno Richard-Lenoir si meriterà il suo Maigret.

Quando si stanno avvicinando, lei parte in quarta: ha letto Simenon?

Museo Jacquemart-André. Nessuna fila nonostante la mostra su Botticelli. Nessuno sui grandi Boulevards.

L’effetto Covid si fa sentire. Gira felice per le sale di quel bellissimo museo.

All’uscita cammina spedita, solitaria, ma poi il ginocchio le impone la ricerca rapida di un taxi.

L’auto che si ferma al suo cenno (usa un guanto fucsia per essere notata, altro motivo di dissidio col marito che ora, fortunatamente, non c’è) ha il tetto trasparente.

Prima cosa da fare è fotografare il cielo grigio parigino, mentre ha nelle orecchie la voce della Piaf di Sous le ciel de Paris.

Quando deve fotografare, passa in second’ordine anche l’esigenza insaziabile di chiacchierare.

Questa volta così è l’autista a rivolgerle per primo la parola.

È libanese.

Lei ne approfitta per chiedergli il perché del deserto nelle strade parigine, la mancanza di decorazioni natalizie non solo nelle vie, ma anche nelle abitazioni (la signora ama curiosare dentro le case altrui dalla finestra di fronte, dalla finestra sul cortile: insomma le citazioni filmiche si sprecano), il perché delle poche decorazioni luminose con “Buone feste” e nessuna con “Buon Natale”.

Ah, ma è perché i francesi sono profondamente laici.

Io sono cattolico, precisa, ma a loro del Natale non importa, non come agli italiani.

Perché, chiede la donna, conosce le abitudini italiane?

Certo: ho una moglie italiana. Abruzzese.

E via con le tradizioni natalizie e non. Soprattutto quelle culinarie. Pranzi con antipasti, sformati e chi più ne ha più ne metta.

La giusta punizione, pensa la donna, a cui del cibo non importa nulla e odia cucinare. Pensa come godrebbe il marito se fosse con lei, soprattutto come invidierebbe il taxista per la moglie abruzzese.

La donna non ne può più di sentir parlare di paté, per cui: mi dice perché così poche illuminazioni? Un’imposizione dall’alto, visto il tragico momento economico-sanitario, o un tacito accordo tra le persone?

Un tacito accordo, le risponde l’uomo, che ora sembra avere perso la sua verve.

Un brutto momento davvero. Altri taxisti prima di lui si erano espressi nello stesso modo.

Il momento è tragico e lo si respira nell’aria, anche se molti parigini continuano a vivere, a incontrarsi senza particolari attenzioni.

I bistrot straripano nelle vie della movida, nel VI o in Oberkampf. Per le strade pochi portano le mascherine…

Ma molti negozi restano chiusi “causa Covid”, negozi che non riapriranno…

La Ville Lumière è ora una città dalle luci smorzate. Un effetto dirompente.

Nel frattempo l’auto arriva in Richard-Lenoir e lei non può esimersi dal chiedere al taxista se conosce il commissario Maigret, sa, quello di Simenon.

Lui vuol fare bella figura.

No, non l’ho mai letto, ma mia moglie… Povere mogli, delegate alla cultura…

Nell’ultima sera parigina la donna pensa a quanto ha visto.

Pensa alle tende sotto i portici di place des Vosges, ai sacchi a pelo anche in zone centrali, alle fermate dei métro con dormitori a cielo aperto.

Un disastro economico che si tocca con mano.

Pensa agli splendori e alle miserie di questa città e non le resta che sperare che sotto il cielo di Parigi «s’envole une chanson», quasi preghiera laica, perché questo dramma possa avere fine e che «un fleuve joyeux» torni a scorrere.

Ma pensa anche ai suoi taxisti e se li immagina festeggiare la sua partenza, la partenza della rompicoglioni che per giorni e giorni li ha ossessionati con Maigret.

Lucca, 24 gennaio 2022

In apertura, ciel de Paris, foto di Mariapia Frigerio

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