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Mai sprecare cibo

Anche l’industria e il mondo della distribuzione sprecano. Non è possibile però proseguire in tale direzione senza far nulla. Occorre limitare i danni e migliorare l’efficienza della catena alimentare. Le conseguenze non sono soltanto etiche, economiche, sociali e nutrizionali, ma anche sanitarie e ambientali. L’attuale normativa italiana collide con la politica di lotta allo spreco alimentare e va necessariamente rivista e perfezionata

Antonella Carbone

Mai sprecare cibo

Il Parlamento Europeo è fortemente impegnato a costruire rilevanti strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare ed in tal modo cercare di limitare lo spreco alimentare, tenuto conto che, entro il 2020, il totale dei rifiuti alimentari aumenterà di circa 26 milioni di tonnellate (ovvero del 40%); che lo spreco di alimenti ha conseguenze non solo etiche, economiche, sociali e nutrizionali, ma anche sanitarie ed ambientali e che la riduzione dello spreco alimentare costituisce un elemento fondamentale per la lotta alla fame nel mondo, visto che ogni anno solo in Europa viene gettato o sprecato circa il 50% del cibo prodotto. Si è registrato che nel mondo industrializzato, uno spreco pro capite di cibo è pari a circa 95/115 kg all’anno, contro i 6/11 kg a testa dell’africa subsahariana e si è monitorato che nei paesi industrializzati, lo spreco maggiore è collegato alla fase della distribuzione oltre che di consumo, laddove invece, nei paesi in via di sviluppo, lo spreco maggiore è connesso alle fasi della produzione agricola.

Le strategie proposte dal Parlamento Europeo (si veda la Risoluzione 2011/2175 INI) sono le seguenti: valutazione dell’impatto di una politica coercitiva in materia di sprechi alimentari; consentire ai dettaglianti di abbassare fino al sottocosto il prezzo dei prodotti freschi prossimi alla scadenza; migliorare la trasformazione, l’imballaggio ed il trasporto dei beni alimentari; recupero e redistribuzione dei prodotti rimasti invenduti e scartati lungo l’intera filiera alimentare per aiutare le categorie più deboli ed, in generale, politiche relative al miglior utilizzo dei rifiuti, laddove possibile.

In Italia operano, nel settore della trasformazione alimentare, circa 70.000 aziende ed è stata registrata un’eccedenza alimentare (2012) di 81.400 tonnellate su una produzione di circa 45 milioni di tonnellate e sempre in Italia esistono, quanto alla distribuzione degli alimenti, ben 19.500 supermercati (70% del mercato), poi 175.000 negozi tradizionali ed infine 29.000 ambulanti, con uno scarto di 777.000 tonnellate annue (11.6% del totale).

Nella nostra nazione, quindi, sono state opportunamente identificate alcune principali, sebbene non esclusive, cause di spreco nella industria alimentare e nella distribuzione. Esse sono: la conservazione inadeguata del prodotto (catena del freddo interrotta; contaminazioni); la gestione scorretta delle scorte gli scarti di lavorazione; gli invenduti o resi, a cui si ricollega l’iperproduzione di massa; presenza di inefficaci clausole contrattuali vincolanti (come ad esempio, la «clausola dei resi») e normativa fiscale inadeguata.

Per ovviare il pericolo dello spreco alimentare, pertanto, è auspicabile che vengano realizzati e perfezionati canali distributivi alternativi per le eccedenze dei prodotti alimentari; poi, regole precise sul compostaggio; effettive politiche di tassazione sugli sprechi e defiscalizzazione per comportamenti virtuosi; promozione dello sfuso da parte dei distributori; imballaggi intelligenti; normativa che obblighi alla redistribuzione o riuso degli alimenti in scadenza (ad esempio, per l’alimentazione animale); politiche di marketing appropriate; donazione dell’invenduto e delle eccedenze ad enti caritatevoli ed Onlus, oltre che, infine, svendita delle eccedenze dell’invenduto. L’attuale esistente normativa italiana, invece, collide con la politica di lotta allo spreco alimentare e va quindi necessariamente rivista e perfezionata.

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