Natale 2020. Lo sguardo dell’esperienza e quello della speranza
Lo ricorderemo come mai altri Natali. Sarà così diverso da tutti gli altri fin qui trascorsi: con il coprifuoco, con la conta degli affetti. Così diverso per due ragioni: lo stato di segregazione, e il cambio del Padre Nostro. Fare il presepe, non farlo?
MASSIMO COCCHI
Manca ormai poco a questo strano “strano” Natale che si ricorderà per lungo tempo. Anzi, è già arrivato. Proprio oggi, ora.
Due sono le ragioni principali: la prima, ovvia, della segregazione, quella condizione che spegne la gioia che tracima dagli occhi per una festività che è ormai inscritta nel DNA di tutti; la seconda, il cambio di una preghiera fondamentale come il Padre Nostro che lascia un po’ stupiti e perplessi.
Ecco come il potere, ammesso che sia posto nelle pieghe di cervelli responsabili e all’altezza, può decidere di rivoltare sogni e tradizioni.
Per quanto riguarda il Padre Nostro, con l’amico Fabio Gabrielli, a suo tempo, scrivemmo una pagina di riflessioni e considerazioni. Ne riporto una parte per non tediare chi avrà la pazienza di leggere.
“Paternoster, la preghiera che Gesù insegnava ai cristiani (Luca 11, 1-4, Matteo 6, 9-13), sta per essere modificata, come vuole Papa Francesco, in un passaggio fondamentale: “non ci indurre in tentazione”, cambiato in “non abbandonare alla tentazione”. L’espressione aramaica era VIH-AL TIVI-AYNU LI-Y’DAY NISA-YON (e non indurci in tentazione) KEE IM HAL-TZAYNU MIN HARAH (ma liberaci dal male).
Il testo greco originale, a sua volta, diceva: καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, tradotto in latino con: et ne nos indúcas in tentatiónem.
A livello squisitamente linguistico, il verbo εἰσενέγκῃς” (eisenekes) è l’aoristo imperativo di eispherein, composto dalla particella eis, “in”, “verso”, e cioè un movimento di direzione verso qualcosa, e phérein, ovvero “condurre verso”, “portare dentro”. Non solo: nel testo greco troviamo un altro eis, usato come proposizione, riferito al termine peirasmón, “prova, tentazione”.
Così, il testo greco sembra sottolineare il concetto di movimento verso la tentazione. Lo stesso termine latino inducere, usato da Girolamo nel IV secolo nella Vulgata, la traduzione latina della Bibbia dall’ebraico e dal greco, composta ine ducere, traduce in un modo paradigmatico il termine eisphérein, seguito da tentationem, in analogia con il costrutto greco.
Insomma, dal punto di vista linguistico, la traduzione “non ci indurre in tentazione” sembrerebbe la più appropriata.
Il cambiamento nella traduzione nel “non abbandonarci alla tentazione”, piuttosto che sul piano dell’aderenza linguistico-letterale, potrebbe essere dettato dall’ambiguità sottostante “non indurci in tentazione”, come se Dio fosse il creatore del male (il significato italiano di “indurre” ha un valore più costrittivo, mentre il latino inducere e il greco eispherein hanno un valore più concessivo, una sorta di “lascia entrare”).
In pratica, il fedele chiede a Dio non solo di non abbandonarlo alla tentazione, ma di stargli accanto, come aiuto ineludibile, anche quando è già tentato.
Sembra curioso che dal “Discorso della Montagna” ad oggi nessuno abbia tentato di modificare quella frase, che ha valore di concetto di straordinaria importanza, perché riguarda il libero arbitrio: “Non abbandonarci alla tentazione”, queste parole riportano all’uomo la responsabilità della propria azione, così è l’uomo che riafferma la sua determinazione di fronte alle scelte e alle azioni da compiere.
In altre parole, l’uomo chiede a Dio di non abbandonarlo nelle sue libere scelte che, essendo scelte intrecciate con la fragilità umana, sono sempre esposte all’errore.
Papa Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Nazareth interpreta la prima versione del Paternoster così: “Con essa diciamo a Dio: So che ho bisogno di prove affinché la mia natura venga purificata. Se decidi di sottoporti a queste prove, se – come nel caso di Giobbe – dai un po’ di mano libera al Male, allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo capace. Non fare ampi confini entro i quali io possa essere tentato, e stammi vicino con la tua mano protettiva quando la prova diventa troppo difficile per me”.
Non sembra che di fronte a una traduzione ambigua, la mente illuminata di Papa Benedetto XVI si impegni a giustificare spiegazioni dell’azione dell’uomo riconoscendo che Dio “lascia” mano libera al Diavolo, sembra, invece che dobbiamo riaffermare quel concetto di “libero arbitrio” che la Chiesa considera centrale per la salvezza”.
(tratto da: Cocchi, M. & Gabrielli, F., On Paternoster: No Longer “Lead Us Not into Temptation” but “Do Not Abandon Us to Temptation” Scientific GOD Journal | December 2018 | Volume 9 | Issue 8 | pp. 614-616).
Ma lasciamo le dotte considerazioni per scendere alle più terrene sensazioni e ai più terreni sentimenti.
Non so se quest’anno deciderò di fare l’albero e il presepe che accompagnano la mia tradizione da moltissimi anni. Non so se rinnoverò quella gioia che mi davano le composizioni artistiche del presepe, ho persino comprato le statuine originali che avevano accompagnato la mia infanzia e adolescenza, e le festose luminarie dell’albero, che compravo assolutamente vero e del cui profumo di abete mi riempivo le nari respirandone a pieni polmoni.
Non so ancora se lo farò.
Così come non sono sicuro che nelle pieghe dei cervelli, precedentemente citati, vi sia consapevolezza di ciò che stanno facendo con puntigliosa determinazione, fanno respirare un Natale con il coprifuoco, con la conta degli affetti, di solito già rigorosamente selezionati nello stretto ambito famigliare, nella consuetudine di questa solenne festività.
Mi turba anche un altro aspetto di questo Natale: “gli acquisti di psicofarmaci… rivelano oscillazioni abnormi dell’umore e delle attitudini delle persone… Le vendite di tranquillanti in farmacia si impennano del 17% rispetto al marzo del 2019 (quando invece erano state in calo annuale il mese prima), quelle degli antidepressivi e degli stabilizzatori dell’umore salgono del 13,8%, anche gli ipnotici e i sedativi salgono più o meno di altrettanto, mentre persino gli antipsicotici si impennano del 10% sull’anno prima”.
Dalle pagine di L’Economia del Corriere della Sera; Federico Fubini, 26 ottobre 2020.
Mi sembra di potere considerare che L’angoscia pandemica si sia spinta oltre ogni ragionevole previsione.
Forse che la devastazione dei cervelli e delle menti sarà meno grave di quella del virus?
Non ho la risposta in tasca, come si suole dire, perché questo aspetto viene singolarmente taciuto a suon di DPCM che in modo perentorio ci impongono ritmi di vita e vicinanze affettive.
Buon Natale, se ha ancora un senso, reciteremo un Padre Nostro diverso e ci conteremo a tavola, i tempi cambiano secoli di storia e di consuetudine.
La mia è una ormai storia lontana e già pienamente compresa in quella che il mio Maestro definiva “l’età dell’esperienza”, non pensavo che avrei fatto anche questa.
Cosa rimane?
Null’altro che affidare alla giovane Clara una riflessione di speranza.
CLARA BENFANTE
Caro Massimo,
ho impiegato tanto, tanto tempo a pensare cosa dovessi scrivere su questo “Natale” e, dopo circa due settimane, alla vigilia della vigilia, sono giunta alla mia conclusione.
Oggi l’emozione che mi ispira è l’angoscia! Un senso di vuoto, come se si fosse spenta la candelina che alimenta la mia gioia. Purtroppo, chi mi conosce bene sa che sono, il più delle volte, una persona solare e scherzosa, ma questo periodo di segregazione forzata, così come per molti, mi rende lunatica e dunque non so cosa uscirà fuori da questi miei pensieri.
Non voglio parlare di come sarebbe stato il mio Natale se non ci fosse stata questa abominevole presenza latente, ma mi piacerebbe ricordare i miei bei momenti, perché per me il Natale è sempre stato un giorno felice.
Da piccolina, quando andavo alle elementari, la mia maestra era solita lasciarci, come compito per le vacanze, quello di scrivere delle riflessioni sul giorno di Natale e su quello che ci aspettavamo dal nuovo anno.
Ricordo con molta dolcezza che a me piaceva tanto parlare di come avevo trascorso il Natale, anche se in fin dei conti era sempre uguale: la vigilia di Natale si preparava la cena, la mamma cucinava il suo solito piatto tipico (baccalà con patate e olive) che a me non è mai piaciuto, le mie nonne che facevano a gara a chi dovesse aiutare prima, i miei nonni che discutevano dei soliti discorsi “da nonni” e io, mio padre e mio fratello che cercavamo di sbirciare tra i pacchetti, nella speranza di riuscire a scorgere qualcosa…
Gli unici regali che non ho mai potuto sbirciare erano quelli di mio zio, purtroppo arrivavano sempre per il pranzo di Natale e, spesso, lui si divertiva a nasconderli o a escogitare scherzetti.
È vero, il mio Natale è sempre stato “uguale” nel modo di trascorrerlo, ma la felicità che provavo in quel giorno, quella… cambiava di anno in anno.
Per me, il periodo felice iniziava l’1 dicembre, quando la mamma comprava i calendari dell’avvento e cominciava la gara con mio fratello, perché ogni mattina aprivamo una finestrella desiderosi di sapere quale animaletto di cioccolato avremmo trovato… Non ho mai capito cosa ci facessero dei cioccolatini a forma di cavallino rampante all’interno di un calendario natalizio.
Però Natale significava anche, anzi soprattutto, “recita natalizia”! Per mio fratello era un dramma, non riusciva ad accettare l’idea di doversi esibire davanti a tutti quei genitori che, emozionati, cercavano di accaparrarsi i primi posti per poter riprendere meglio i loro figli: c’era chi faceva il pastorello, chi l’asinello, chi la madonnina… Qualche anno cambiavano il copione e inserivano qualche animaletto in più, oppure qualche fatina, oppure un campanile parlante. Fu proprio questa la parte che fu attribuita a mio fratello, quella del campanile parlante, e ancora oggi ridiamo al pensiero.
A me, invece, piaceva essere al centro dell’attenzione e quindi, dopo che finiva la recita, il teatrino continuava a casa perché anche i nonni volevano vederci in scena e capitava che riguardavamo la registrazione della recita oppure ripetevamo le parti che ci avevano affidato e, molto spesso, il teatrino terminava con un bel litigio tra me e mio fratello, proprio per ricordare a tutti che a Natale si è più buoni.
Con tanta ansia, tutti quanti, soprattutto mio padre, attendevamo la mezzanotte per poter finalmente scartare i regali e scoprire se, effettivamente, eravamo stati bravi a sbirciare. Certo che i regali rendono l’atmosfera più allegra, soprattutto se si è piccoli, ma stare con i nonni, trascorrere il Natale in loro compagnia, scherzare, raccontare le nostre avventure, i nostri litigi e gli scherzi che combinavamo ai nostri amici, tutto questo non ha assolutamente prezzo.
Il giorno di Natale per me era sacro, per me era la mia famiglia unita e poi, ovviamente, i soldini che vincevo a tombola. Per me era la cassata al forno della nonna, i cardi fritti, la frutta secca e il panettone.
Quest’anno è andato così. Sinceramente spero che vada via il più presto possibile, come tutti d’altronde. Quest’anno il Natale sarà un giorno qualunque, come tutti i giorni trascorsi a casa ad annoiarsi, ad arrabbiarsi per il non poter fare, a studiare… forse questa è l’unica cosa che rimane sempre uguale.
Quest’anno non avrò la cassata della nonna e i suoi cardi fritti, ma non ci sarà nemmeno l’atmosfera che tanto amavo… e che da piccola avevo descritto così: “Secondo me il Natale si festeggia in famiglia, giocando a tombola e scherzando accanto al camino con un grande legno incandescente e con le strade infinite piene di luci che brillano come stelle nel cielo. Secondo me il Natale si festeggia così”.
Forse questo pensiero che ho trovato scritto nel mio quaderno delle elementari ha acuito la mia angoscia, perché, in realtà, ero tanto felice di trascorrere il periodo natalizio e le vacanze, che non avevo nemmeno il tempo di fare i compiti e quindi ho scritto, in questa brevissima riflessione, gli “elementi” che ogni anno mi rendevano felice… a parte il camino che a casa mia non c’è!
Avrei davvero tante cose da raccontare, perché la mia infanzia è stata molto molto bella e spesso penso che sarebbe stato bello rimanere piccini, inconsci di tutti i problemi che ci affliggono, e pensare che l’unico problema era quello di non poter giocare tanto quanto volevo perché dovevo fare i compiti. Purtroppo si cresce, però il “fanciullino” di cui parlava Pascoli è dentro ognuno di noi… ed è un bene che sia così!
Per quanto riguarda il nuovo anno, è brutto da dirsi, mi attendo una noiosa stazionarietà, senza progetti e piani, non ho great expectations… solo che si risolva questa situazione perché il virus è vero che muta, ma con lui cambiamo anche noi e non so fino a quanto potremo cambiare!
[…]
Passeggere
Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore
Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere
Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore
Cotesto non vorrei.
Passeggere
Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore
Lo credo cotesto.
Passeggere
Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore
Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere
Oh, che vita vorreste voi dunque?
Venditore
Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere
Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore
Appunto.
Passeggere
Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore
[…] Speriamo.
Da: Giacomo Leopardi, Il dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere
E con il brano tratto da Il dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere di Leopardi termino la mia concezione di Natale, con la speranza che il prossimo anno possa essere privo di fallaci aspettative e di annesse delusioni.
Per il resto si vedrà.
In apertura, foto di Olio Officina
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