Saperi

Nel nome di Giuseppe Avolio

La figura e l’opera del grande intellettuale resta di una centralità e attualità di grande evidenza e notevole portata. Un vero maestro, per tutti. Oltre che un politico, è stato un uomo di solida cultura e un costruttore della democrazia, in Italia e in Europa. Fondamentale il suo contributo sul fronte agricolo

Alfonso Pascale

Nel nome di Giuseppe Avolio

Sabato 6 luglio 2019, l’Accademia della Ruralità “Giuseppe Avolio” ha organizzato a Tricarico la sua prima iniziativa pubblica sul tema “Giuseppe Avolio: il socialismo e l’Europa”. L’incontro è stato coordinato da Paolo Carbone e concluso da Alberto Giombetti. Sono intervenuti il Sindaco di Tricarico Vincenzo Carbone, il presidente della Fondazione Matera 2019 Salvatore Adduce, Donato Distefano, Rudy Marranchelli, Sergio Vellante, Piero Basso, Pancrazio Toscano e Francesco Avolio.

Questo è il testo della mia relazione introduttiva:

Ho accolto con piacere l’invito di Paolo Carbone e degli amici della Basilicata ad essere presente a questa iniziativa di cui ho apprezzato il valore. Essa si propone, infatti, di onorare un maestro. E permette di ricordare, soprattutto ai giovani, la figura e l’opera di Giuseppe Avolio, politico, uomo di cultura e costruttore della democrazia in Italia e in Europa.

La presenza di Francesco Avolio e Sergio Vellante ha fatto riaffiorare in me il ricordo di un convegno sulla Riforma Agraria che si svolse a Tricarico il 15 luglio 1985. Entrambi intervennero con specifiche comunicazioni. Qualche anno prima era stata pubblicata la ricerca dell’Insor “La riforma fondiaria: trent’anni dopo”; nel 1983 l’Istituto Alcide Cervi aveva organizzato un convegno a Foggia sul pensiero e l’opera di Ruggero Grieco con Gerardo Chiaromonte e Francesco De Martino, senza Avolio. Era il periodo in cui comunisti e socialisti stavano ai ferri corti ed entrambi i partiti mostravano disinteresse verso la Confcoltivatori: basta leggere la lettera che Avolio aveva inviato il 14 febbraio 1984 al suo caro amico Chiaromonte sulla commemorazione di Grieco, per rendersene conto.

Anche il nostro convegno a Tricarico risentì di quel clima: nessun comunista della giunta nazionale venne. Per non esasperare gli animi, rinunciai a svolgere la relazione introduttiva e chiesi ad Angelo Compagnoni, che aveva appena pubblicato un libro di memorie sulle lotte contadine nel Frusinate (ma che non c’entravano niente con l’argomento che dovevamo trattare) di rendersi disponibile. Francesco si fece carico di fornire tutti i dettagli sui contenuti del convegno a Chiaromonte che si era impegnato a partecipare alla tavola rotonda conclusiva con Giuseppe Galasso, Giuseppe Zurlo e lo stesso Avolio. Chiaromonte e Galasso avevano insieme pubblicato un volume nel 1980 “L’Italia dimezzata: dibattito sulla questione meridionale”. In quel libro, il primo aveva protestato perché, come ‘gracchisti’, i comunisti erano stati accusati di nostalgia nei confronti della civiltà contadina mentre, invece, avevano vivacemente polemizzato con Rocco Scotellaro e con Manlio Rossi-Doria e l’altro, Galasso, si era vantato che il gruppo di “Nord e Sud” aveva avversato in maniera aperta il gruppo di Portici, reo di coltivare il mito della civiltà contadina. Non avevano capito niente. E noi volevamo andare ad un chiarimento su questo punto proprio qui a Tricarico, il paese di Scotellaro. Ma alla fine vennero solo Galasso e Zurlo, mentre Chiaromonte mandò una lettera di scuse perché doveva fare il testimone al matrimonio di un amico e si fece sostituire da Pietro Valenza. Ma non era la stessa cosa. Ricordo l’amarezza e la delusione di Avolio. Volevamo fare un bilancio serio della riforma agraria, uscendo dalle letture ideologiche, apologetiche, da una parte, o denigratorie, dall’altra. E soprattutto ci sarebbe piaciuto che Chiaromonte, in sintonia con Avolio, ammettesse un doppio errore della sinistra: quello di aver votato contro la legge di riforma del 1950 e quello di non aver compiuto alcuno sforzo per comprendere l’originalità dell’azione meridionalista che Rossi-Doria e il suo gruppo, tra cui Gilberto Marselli (un altro maestro che abbiamo perduto qualche giorno fa), Scotellaro e Rocco Mazzarone, svolgevano. L’originalità stava nell’approccio interdisciplinare al tema dello sviluppo, inteso in tutte le sue dimensioni, compresa quella culturale, per fare in modo che gli individui e le comunità potessero affrontare, con piena auto-consapevolezza, senso di sé e della propria cultura, le trasformazioni e non subirle.

Sull’europeismo di Avolio ho scritto un saggio a quattro mani con Emanuele Bernardi che si può scaricare gratuitamente dal sito del Ceslam (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Rimando a quel testo per la riflessione più propriamente storica del tema al centro del nostro incontro.

Per rispettare i tempi che mi sono stati assegnati, vorrei fare soltanto alcune considerazioni su tre aspetti:

– L’importanza che per i dirigenti della mia generazione ebbe la pubblicazione del libro di Avolio “L’utopia dell’unità. L’azione della sinistra per una nuova società”.

– L’impegno internazionale di Avolio nella Fipa.

– La sua riflessione sulla Costituzione europea.

“L’utopia dell’unità” come bilancio politico della propria esperienza di dirigente socialista

Con Avolio ho avuto una consuetudine quotidiana di lavoro fin dalla fondazione della Confcoltivatori e poi ancor più, dal 1984, quando fui chiamato a Roma per svolgere l’incarico di presidente dell’Associazione Nazionale Coltivatori a Contratto Agrario. Una consuetudine quotidiana di lavoro improntata a rapporti fraterni di amicizia, che non escludevano la polemica anche aspra. Ma compresi davvero chi fosse Avolio quando lessi le pagine stupende de “L’utopia dell’unità”. Avevamo già fatto insieme lunghi viaggi all’estero, per partecipare alle prime riunioni della Fipa (Federazione internazionale dei produttori agricoli) in Australia, Egitto, Stati Uniti, Norvegia e quelle erano state occasioni preziose per conoscerci a fondo. Ma solo la lettura del bilancio della sua esperienza di militante e dirigente socialista mi permise di rendermi conto della profondità del suo pensiero politico e, soprattutto, di quanto egli fosse coraggioso e fiducioso nel vivere pienamente il tempo che gli era dato con tutte le sue difficoltà.

Il libro uscì nel settembre 1989. A maggio si era svolto il congresso socialista che aveva attribuito a Craxi il 90% dei consensi e sancito il Caf (l’alleanza di Craxi con Andreotti e Forlani).

A giugno c’era stato – in concomitanza con le elezioni europee – il referendum d’indirizzo con il seguente quesito: “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità Europee in una effettiva Unione dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di costituzione da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”. Per quel referendum d’indirizzo, non previsto dalla Costituzione, il Senato, qualche mese prima, aveva definitivamente approvato con voto unanime, dopo le precedenti votazioni (tutte all’unanimità) sia al Senato che alla Camera, la legge costituzionale che lo avrebbe reso possibile. Al voto aveva partecipato l’80% di elettori. I SI erano stati l’88%. Un referendum letteralmente rimosso dalla memoria collettiva del Paese.

Due mesi dopo la pubblicazione del libro ci sarebbe stata la caduta del Muro di Berlino che avrebbe portato nel giro di un anno alla riunificazione della Germania. L’implosione dell’intero impero sovietico avrebbe avuto riflessi interni importanti: la caduta della “conventio ad excludendum” e la scelta del Pci, a prezzo di una grave divisione interna, di cambiare nome e statuto. E non solo: l’esplosione dello scandalo della Federconsorzi che avrebbe anticipato il fenomeno di Mani pulite e la fine di due esperienze politiche: quella della Dc e quella del Psi. Per i tre grandi partiti di massa del Novecento stava per avverarsi quello che Avolio aveva già anticipato nella lettera del 1984 a Chiaromonte: “I partiti sono diventati, ormai, come la Compagnia di Gesù, sorta per glorificare il nome del Signore, e subito protesa, invece, soltanto a ingrandire sé stessa. Ma, come ben sai, presto venne la rivolta, in tutti gli Stati, contro la Compagnia di Sant’Ignazio. Qualcosa del genere sta accadendo, in Italia, nei confronti dei partiti. E bisogna averne coscienza”.

Sono date e avvenimenti epocali che fanno comprendere il contesto in cui Avolio pubblicò il suo saggio.

Non credo sia del tutto gratuito un parallelismo tra “L’utopia dell’unità” avoliana e “L’Uva puttanella” di Scotellaro. La critica ha voluto vedere in quest’opera del poeta di Tricarico un romanzo autobiografico incompiuto. In realtà è un’opera poetica in prosa con cui Scotellaro fa il bilancio della sua esperienza politica di militante e dirigente socialista. Il contesto è cruciale: è appena esplosa la guerra fredda che “disumanizza” la lotta politica e fa emergere molte criticità nell’organizzazione del consenso attraverso lo strumento “partito”, criticità che alimentano anche una competizione distruttiva nella sinistra; affiorano le prime avvisaglie di una rivoluzione scientifico-tecnologica di dimensioni planetarie che imporrebbe una strumentazione culturale nuova per affrontarla coscientemente senza subirne le conseguenze. E Rocco indica un percorso difficile ma concreto alle forze della sinistra: rendere quanto più diffusa la conoscenza per impedire che ad orientarla fossero in pochi. Il suo insegnamento è: non si può fare politica in un ordinamento democratico senza conoscere e senza possedere gli strumenti scientifici per affrontare, consapevolmente, le trasformazioni. E risponde positivamente all’invito di Rossi-Doria di studiare al Centro di Portici, fare il lavoro del ricercatore, per poi tornare, in forme nuove, all’impegno politico.

Con “L’utopia dell’unità” Avolio fa la stessa operazione. La sua riflessione è la presa d’atto che lo Stato nazionale (e il sistema politico ad esso collegato) stava diventando impotente dinanzi alle sfide da affrontare: i mercati diventavano globali, le innovazioni tecnologiche sempre più dirompenti, cresceva la consapevolezza dei limiti dello sviluppo e, dunque, di un ripensamento dei meccanismi della crescita economica e dell’uso delle risorse ambientali. E indica alla sinistra una strada difficile ma percorribile per ritrovare le ragioni dello stare insieme: costruire la democrazia oltre lo Stato; dare forma alla cittadinanza intesa come protagonismo attivo dello sviluppo sostenibile globale; creare la rete di una rappresentanza della società civile capace di incidere nei processi globali; rinnovare la propria cultura politica e le forme della politica senza, tuttavia, disperdere sé stessi, le proprie idealità (libertà, eguaglianza, giustizia).

Per l’uno e per l’altro l”alba nuova” non è un tempo indefinito. È un tempo opportuno che incomincia ad accorciarsi. Un tempo pieno di sfide e responsabilità, che ci mette urgenza e ci trasmette un permanente stato di allerta e una tensione massima, proiettandoci verso un esito positivo. Sai che puoi fallire e sai anche che devi affrettarti. Questo è scritto nelle due opere che ho citato.

Avolio possedeva una grande lucidità nel comprendere il contesto in cui ci trovavamo ad operare. Per darne una prova, leggo un passo del discorso che tenne il 16 luglio 1990 al consiglio generale della Confcoltivatori:

«Bisogna costruire un’Europa più unita e più democratica. L’unità si raggiunge accelerando i processi in atto di unificazione monetaria e allargamento dei mercati, quale presupposto per una unificazione politica. Il traguardo degli Stati Uniti d’Europa non è più utopistico. Oggi, con le nuove condizioni maturate in vaste aree del mondo, la presenza di una Europa unita, che parla con una sola voce e agisce superando gli egoismi nazionali, è garanzia di più giusti ed equilibrati rapporti tra il Nord e il Sud e tra l’Est e l’Ovest del pianeta. Occorre, perciò, una riforma delle istituzioni che elimini l’anomalia di un Parlamento, eletto dai popoli, con scarsi poteri e una Commissione, nominata dai governi nazionali, con poteri maggiori. Questo deficit democratico […] deve essere superato. […] Un’Europa unita, consapevole della sua potenza economica e capacità politica, può veramente costituire una cerniera di relazioni commerciali più regolari e meno distorsive di quanto non siano attualmente e concorrere a creare le condizioni necessarie di un nuovo ordine tra gli Stati e tra i popoli della terra».

Avolio poneva nel 1990 il grande tema della democrazia sovranazionale, “un nuovo ordine tra gli Stati e tra i popoli della terra”, su cui si cimentavano grandi pensatori, come Jürgen Habermas e Amarthia Sen.

L’impegno internazionale di Avolio nella Fipa

Su questo punto, mi limito a ricordare alcuni episodi significativi.

Nel 1992, egli fu eletto presidente del Comitato mediterraneo in seno alla Fipa. E promosse una riunione di questo organismo, che si svolse a Gerusalemme, nella sede del Parlamento di Israele. Per la prima volta agricoltori israeliani e arabi si sedevano insieme. La sua idea era di evitare competizioni e contrapposizioni sterili tra le zone meno favorite e quelle più sviluppate nel bacino del Mediterraneo. Per Avolio significava creare le condizioni di una progressiva interazione (termine che preferiva a quello di “integrazione”).

«Ciò è possibile già oggi – spiegava Avolio – se, a partire dall’agricoltura, si riesce ad impostare un’azione coerente basata sulla scienza, sulla tecnologia e sull’informazione liberate dalle catene dell’ideologismo e del nazionalismo. (…) È economicamente più vantaggioso per tutti sviluppare e mantenere buone relazioni tra gli Stati dell’area mediterranea che mettere in piedi barriere di protezione che potranno sempre essere scavalcate; sulla via della collaborazione si potrà camminare più speditamente utilizzando l’agricoltura come punto d’appoggio per altre, più globali, intese».

Nella veste di presidente del Comitato mediterraneo, fu incaricato nel 1997 di promuovere l’incontro (il primo dopo 24 anni di conflitto) tra le organizzazioni agricole della parte nord (Turchia) di Cipro e della parte sud dell’isola (Grecia), le quali siglarono un patto di reciproco sostegno tecnico.

In occasione del cinquantesimo anniversario di fondazione della Fipa, il segretario dell’Onu lo ringraziò pubblicamente per questi suoi sforzi in favore della pace e della collaborazione: una delle sue eredità più luminose e significative, per il Mediterraneo e per l’Europa di oggi.

Il contributo di Avolio al dibattito sulla Costituzione europea.

Scrisse sull’argomento due articoli per la rivista “Il Ponte”.

Avolio riteneva che «una Carta costituzionale, per esprimere le esigenze, i bisogni, i diritti dei cittadini di tanti paesi ancora diversi per storia e cultura, avrebbe dovuto essere redatta da personalità elette, mediante un suffragio proporzionale e diretto, dai cittadini dei vari paesi». Non doveva essere una Convenzione di nominati a elaborarla ma il Parlamento europeo.

Avolio colse nel testo di Costituzione predisposto dalla Convenzione difetti e contraddizioni che sintetizzò con queste parole:

«Governare l’Unione non sarà facile a causa delle procedure che inceppano ogni diretta decisione in materie importanti quali quelle inerenti la politica estera, la difesa, i tributi, il Welfare State. Ci sono ancora, soprattutto in queste materie, i diritti di veto e l’obbligo dell’unanimità. Ciò rende tutto più difficile. […] un vero parlamento dell’Unione dovrebbe essere composto da membri eletti sulla base di liste presenti in tutti i paesi, votate, col suffragio universale, dai cittadini in base alle loro convinzioni politiche. […] Non deve sfuggire la situazione di rischio in cui si trova il processo di costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo hanno dimostrato lo stato di insoddisfazione della maggioranza delle popolazioni di molti Stati europei. Lo scetticismo è stato prevalente dappertutto, determinando una scarsa affluenza alle urne».

Il progetto di Costituzione europea fu abbandonato perché il Trattato che lo adottava venne ratificato solo da 18 paesi (tra cui l’Italia) su un numero totale di 28 Stati membri.

I difetti e le contraddizioni individuati da Avolio quindici anni fa, soprattutto sulla governance dell’Unione sono rimasti intatti e hanno costituito la causa di fondo della crescente sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee. I rischi di disintegrazione, di cui Avolio profeticamente aveva già avvertito i segni premonitori nel calo dell’affluenza nelle elezioni europee del 2004, si sono ulteriormente aggravati con la crisi economica e finanziaria avviatasi nel 2008.

La lezione di Avolio ci può oggi essere d’aiuto: per una Europa più libera e più giusta non basta richiamare retoricamente il Manifesto di Ventotene, ma ci vogliono istituzioni che siano effettivamente democratiche e funzionino in modo efficiente sia negli Stati membri che a livello europeo. Il Parlamento europeo deve elaborare un progetto di riforma del Trattato da negoziare con gli Stati. Per farlo deve mettere in agenda il “Semestre europeo costituente”, come recita il titolo di un ebook che Mario Campli ed io abbiamo scritto e che si può scaricare gratuitamente da internet. Ci siamo ispirati alla lezione di Habermas e abbiamo seguito un percorso concettuale in perfetta sintonia con la riflessione di Avolio.

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