Saperi

Note dolci risuonavano nell’aria

Narrazioni. Prima che finisse lo spettacolo era già seduta fuori dal suo camerino. L’attore arrivò dalle quinte, stravolto, nella sua vestaglia a righe. Dalla platea giungeva ancora il fragore degli applausi

Mariapia Frigerio

Note dolci risuonavano nell’aria

LA PRIMA

L’uomo percorse lunghi corridoi sempre con la donna al fianco. Poi prese un ascensore. Premette il tasto -1. L’ascensore si fermò negli scantinati, dove erano i garage. Lui non prese l’auto e se ne scusò: «Sa, con la prima della Scala tutto il centro è bloccato. Però la accompagnerò un pezzo a piedi». Uscirono in via Hoepli e girarono in via Agnello. C’era una pioggia sottile che rendeva indefiniti i contorni degli edifici. Lei aprì il suo ombrellino. Non pensò a riparare l’uomo. Passarono davanti a San Fedele, lei sotto la piccola aureola fucsia, lui con in testa il berretto. Da lì giunsero in piazza della Scala.

Note dolci risuonavano nell’aria, in attesa di quelle di Bizet. La facciata del Piermarini era ricoperta da giochi di luce con volo di gabbiani. I poliziotti, dietro le transenne, erano attori muti in quella scena metafisica. L’uomo accennò qualcosa riguardo all’eccesso di sicurezza. La donna annuì.

Quando girarono in via Santa Margherita una sorta d’incantesimo si era impossessato di loro.

 

Passeggiarono ancora sotto la pioggia. Parlandosi. Di libri. Di conoscenze comuni. Lui volendo sapere di più di lei. Lei volendo stare di più con lui.

In piazza Cordusio si salutarono. Si strinsero la mano. Una stretta che durò a lungo. Erano due mani decise, quelle dell’uomo e della donna.

Sempre mano nella mano, lui le disse: «Mi sarebbe piaciuto continuare ancora questa nostra conversazione».

«Anche a me».

«Ora prenda via Broletto, la segua tutta e arriverà in quel meraviglioso posto dove abita. Mi spiace non poterla accompagnare».

Ubbidiente la donna imboccò la strada come se fosse stata la prima volta.

 

Camminando posò lo sguardo sui portoni. Li esaminò uno ad uno. Poi salì ad osservare finestre e balconi. Infine si perse tra cornici e balaustre.

Seguì, per farsi compagnia, anche i numeri civici. Grosse cifre bianche sulle formelle nere. Per la prima volta.

Non poteva che essere così, pensò. Era la sera della prima.

 

L’ULTIMA

Prima che finisse lo spettacolo era già seduta fuori dal suo camerino. L’attore arrivò dalle quinte, stravolto, nella sua vestaglia a righe. Dalla platea giungeva ancora il fragore degli applausi.

«Mi vesto e sono da te» le disse.

Era lo spettacolo pomeridiano. L’ultima recita. Poi sarebbe ripartito.

Non lo dovette aspettare molto.

«Eccomi» le disse dopo non più di dieci minuti.

«Ho degli amici fuori che vogliono salutarti».

«Un saluto. Poi fuggiamo da qualche parte. Io e te».

Pioveva. L’attore era senza ombrello. Lei si offrì di ripararlo col suo. «È rotto. Non riesco a tenerlo chiuso e quando è aperto le stecche si infilano nella tela. Un vero disastro».

Lui rise. Glielo prese di mano, lo aprì e con lei sotto il braccio, riparati da quella cupola asimmetrica mezza cadente, si diressero verso la piazza. C’era poca gente fuori dal teatro. Gli spettatori se n’erano andati per il cattivo tempo e, tra le persone rimaste, lei non riconobbe i suoi amici.

«Che faccio?» gli chiese.

«Saranno andati via. Andiamo anche noi da qualche parte. Possiamo stare insieme due ore.».

«Non devi ripartire?».

«Sì, ma ho sistemato le cose per potere stare con te».

Si infilarono nel primo ristorante che trovarono. Faticarono a chiudere quell’ombrello con le stecche rotte. Si dovettero sforzare entrambi per tenerlo chiuso mentre cercavano di bloccarlo con il laccio.

«Troppo presto?» chiese l’attore all’uomo che venne loro incontro.

«Non ci sono problemi.»

A tavola, nella sala a stucchi, ricordarono il loro passato. Mentre parlavano la donna pensò che l’attore era sempre bello, ma che molti anni li dividevano.

E ora lui era vecchio. Una sorta di angoscia si impossessò di lei.

Bevvero anche, dopocena. Due whisky a testa.

Poi uscirono e attraversarono la grande piazza alberata. Era deserta. Camminarono in compagnia della pioggia fino al cinema dove il ragazzo – che avrebbe riaccompagnato l’uomo – li doveva aspettare. Non c’era ancora. Il film non doveva essere finito. Nel buio della via videro le luci di un bar.

«Beviamo ancora qualcosa».

«Come gli amanti di Tre camere a Manhattan che passavano da un locale all’altro… Ricordi? Mi sono sempre chiesta come facessero.»

Nuovamente con fatica richiusero quell’ingombrante ombrello. Ridendo.

«Dobbiamo aumentare i gradi, stavolta». Poi rivolgendosi al barman: «Due grappe, per me e la signora».

«Non stiamo esagerando?» chiese lei timidamente.

«No. Tanto poi andiamo a letto e dormiamo fino a domani».

Bevvero continuando a ridere al pensiero del libro di Simenon.

«Altre due» ordinò ancora l’attore. Il barman li guardò incuriosito.

Quando il ragazzo arrivò, li trovò in preda a una strana, inaspettata euforia.

«Follie da ultima recita» disse tra sé e sé la donna mentre un pensiero improvviso le attraversò la mente.

Ebbe un attimo smarrimento. Poi si rincuorò. «Non da ultimo incontro».

 

 

Lucca, 23 dicembre 2009 – 18 gennaio 2010

In apertura, foto di Mariapia Frigerio

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