Oltre le chiudende
Sono un elemento importante della storia della Sardegna. Le antiche pietre dei nuraghi, impiegate un tempo per edificarle, sono oggi riutilizzate per erigere laboratori e centri di accoglienza. Così, da simboli di egoismo, potrebbero adesso tramutarsi in simboli di fraternità

Mercoledì 25 novembre parteciperò all’incontro sull’agricoltura sociale organizzato a Macomer, in provincia di Nuoro, dal Gal Marghine. L’agricoltura sarda è caratterizzata da una tradizione millenaria di pratiche solidali e di mutuo aiuto. In quest’isola l’ospitalità è più antica delle chiudende che furono incoraggiate con il regio editto del 6 ottobre 1820.
È noto che a seguito di quel provvedimento furono recintati con muri a secco anche molti terreni soggetti a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana e di abbeveratoio. E si determinò in tal modo un’erosione significativa di beni relazionali e di capitale sociale perché si ridussero le occasioni di incontro tra le persone.
Si sottolinearono e precisarono anche certi contrasti di geocrazia naturale. Le zone dove pastorizia e agricoltura erano mescolate e praticavano il vecchio sistema comunitario, si andarono coprendo di muri, diventando campagne di tancas. Molti proprietari di terreni saccheggiarono le fondamenta dei nuraghi crollati e chiusero con lunghi muri di pietre appezzamenti spesso molto vasti (tancas) che poi diedero in affitto, a caro prezzo, ai proprietari di bestiame. Si accentuò così una specializzazione pastorale separata dall’agricoltura.
Ma si lasci al poeta Melchiorre Murenu cantare il fenomeno:
Tancas serradas a muru / tancas serradas a muru / fattas a s’afferr’afferra. / Si su Chelu fid in terra / l’haiant serradu puru!
(Proprietà chiuse con i muri / proprietà chiuse con i muri / conquistate arraffandosele con avidità. / Se il cielo fosse stato sulla terra / avrebbero recintato anche quello!)
L’agricoltura sociale potrebbe proporsi di ripristinare idealmente l’antico assetto multifunzionale delle campagne sarde riaprendo le tancas. E le antiche pietre dei nuraghi, impiegate allora per edificare le chiudende e riutilizzate oggi per erigere laboratori e centri di accoglienza, da simboli di egoismo potrebbero diventare simboli di fraternità.
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