Saperi

Omaggio a Saverio Strati

Ha concluso la propria vita nel silenzio generale. Qualche anno fa è stato alla ribalta della cronaca, dopo una umiliante attesa per ottenere i benefìci della legge Bacchelli. E’ il grande autore dimenticato della narrativa italiana. I suoi libri, quasi introvabili, meritano di essere ristampati. E’ lui la vera bandiera-simbolo della Calabria

L. C.

Omaggio a Saverio Strati

Se non avete ancora letto i suoi libri, procurateveli, anche se è difficili reperire tutti i titoli. Alcuni li trovate QUI, ma i suoi libri più importanti andrebbero ristampati e riproposti nelle scuole, soprattutto in Calabria, la sua terra.

Era nato a Sant’Agata del Bianco, in provincia di Reggio Calabria, il 16 agosto 1924, è morto a Scandicci, in provincia di Firenze, il 9 aprile 2014. Dovette interrompere gli studi dopo aver conseguio la licenza elementare, per necessità dettate dal bisogno. Lavorò come muratore, pastore, contadino e carbonaio. Dopo la seconda guerra mondiale riprese gli studi con il solido aiuto di uno zio che risiedeva negli Stati Uniti. Lesse tanto, autori decisivi per la sua formazione, della levatura di Tolstoj, Hugo, Dostoevskij e Verga.

Le sue opere appartengono al filone neorealista, e il suo libro capolavoro, e senz’altro il più riassuntivo dell’intera opera, è stato il romanzo pubblicato nel 1977, Il selvaggio di Santa Venere, con il quale si affermò al Premio Campiello. Ma già con il volume La Marchesina, del 1956, anticipò il nucleo fondante dei temi sui quali si concentrò per tutta la sua vasta produzione letteraria

Lo scrittore calabrese è stato da sempre molto attento al mondo rurale, da acuto osservatore qual era, e ha narrato la realtà contadina dei sui tempi proprio in un periodo storico difficile, in cui la società tutta addirittura rifiutava, il mondo agricolo, nel peggiore dei modi, relegandolo alla marginalità.
Oggi è diverso, tutti parlano di campagna e ruralità, ma fermandosi solo alla superficie, ignorando di fatto le istanze di un mondo tutt’oggi lasciato solo, e anzi oggi ancor più di ieri, perché depredato della sua identità.

Le numerose opere di Strati sono state nel tempo tradotte in diverse lingue, e si contraddistinguono tutte per la capacità dell’autore di indagare nella profondità di un tessuto sociale ancora inesplorato, partendo da una regiona difficile come la Calabria, in cui l’abuso e la violenza hanno messo in ginocchio un intero territorio, sottraendone selvaggiamente ogni ricchezza e risorsa, svilendo così la capacità di un popolo ad agire per il proprio bene al di fuori dei condizionamenti della criminalità organizzata.

Un brano tratto da Il selvaggio di Santa Venere non lascia spazio a equivoci: “Ad avere pochi scrupoli, cataste di bigliettoni potrebbe guadagnare. Ma a che serve la vita! No, pane e cipolla e cuore tranquillo, animo in pace. Rispettare l’uomo, il tuo simile. Questo è il vero coraggio”.

Saverio Strati mette a nudo un mondo e un contesto sociale devatsato dalle ingiustizie e dalle sopraffazioni, dove vale solo la legge della violenza ad opera dei malavitosi. Nel romanzo La Teda, del 1957, Strati mette in luce la drammatica condizione in cui vive la gente del “suo” Sud. Ne denuncia le violenze continue, innalzate a sistema di vita. Denuncia la sopraffazione dell’uomo sulla donna, ma anche dell’uomo sull’uomo, attraverso lo sfruttamento delle persone facendo leva sullo stato di miseria, sulla mancanza di cultura e sull’analfabetismo allora dilagante. Il sogno, rappresentato idealmente in uno dei personaggi di un altro celebre romanzo, è invece la fuga di Tibi nel tentativo di sottrarsi a un mondo primitivo e violento.

Un passo tratto da Il selvaggio di Santa Venere ci fa capire come la sua tensione narrativa affondasse nelle dinamiche di una società che aveva in sé i germi di una voglia di cambiamento, una necessità che si avvertiva nella voglia di fare e di agire, esplosiva, in netta controtendenza con le difficoltà riscontrate invece nel territorio, chiuso in se stesso e ostile ai cambiamenti, pronto a frenare ogni impulso di rinnovamento: “Mio padre – scrive – parlava e lavorava. Lavorava come un treno in corsa. Era sempre in moto, anche mentre mangiava il suo pezzo di pane con olive o fichi secchi o frutta. Mangiava parlava faceva sempre qualcosa.”

Nella sua vasta la sua opera – i cui titoli più lontnai nel tempo sono difficili da trovare, se non in ebay, o in altri canali di librerie remainders – tra i tanti romanzi e racconti pubblicati segnaliamo alcuni tra i quali i seguenti, che sarebbe il caso di leggere: La marchesina (Mondadori, 1956), La teda (Mondadori, 1957), Tibi e Tascia (Mondadori, 1959), Mani vuote (Mondadori, 1960), Avventure in città (Mondadori, 1962), Il nodo (Mondadori, 1965), Gente in viaggio (Mondadori, 1966), Il codardo (Bietti, 1970), Noi lazzaroni (Mondadori, 1972), È il nostro turno (Mondadori, 1975), Il selvaggio di Santa Venere (Mondadori, 1977), Il visionario e il ciabattino (Mondadori,1978), Il diavolaro (Mondadori, 1979), Terra di emigranti (Salani, 1979), Piccolo grande Sud (Salani, 1981), I cari parenti (Mondadori, 1982), Ascolta, Stefano (Mursia, 1984), La conca degli aranci (Mondadori,1987), L’uomo in fondo al pozzo (Mondadori, 1989), La casa vicino al mare (Guida, 1990), Il vecchio e l’orologio (Manni, 1994), Melina (Manni,1995).

La Calabria di Saverio Strati si nutre di attese e di una condizione di dolore: “Sì, ti rispettano – si legge ne Il selvaggio di Santa Venere – ma devi saper filare più dritto dell’olio” Ed ecco uno stralcio da un romanzo che forse è tra i più amati. Per lo meno, da noi.

(…) Ieri si portava rispetto alla gente che ne era degna. Ora si va alla caccia di persone danarose e si inviano lettere minatorie. Dieci milioni lasciati lì, il tale giorno e alla tale ora, altrimenti te la passerai male tu e i tuoi e anche la tua roba. E’ facile infatti che ti taglino le piante, se non obbedisci. tagliano infatti, e non raramente, giovani giardini di bergamotti, di mandarini, giovani vigne, intieramente; oliveti stroncati, mietuti. La gente paga e tace. E tutti sanno chi sono sti mafiosi, sti coraggiosi. Sono personaggi pubblici: occupano posti in Comune come assessori, o addirittura come sindaci. Protetti dai politici (…)

(…) Anche la legge sa chi sono sti mafiosi, li conosce, è in grado di stabilire da dove vengano quei soldi, ma tace; anzi qualche volte li riverisce.

(…) per non essere tagliato fuori, per non essere sfottuto e ritenuto animale, una povera anima si aggregava alla ‘ndrina. Per essere protetto e per sentirsi uomo, dato che gli dicevano: tu sei omo.

(…) la ‘ndrina s’è … incattivita. Sì, ti rispettano; ma devi saper filare più dritto dell’olio.

Dal libro La Marchesina, edito da Mondadori nel 1956, vi riportiamo invece un brano tratto dal racconto “La scuola dei contadini”, in cui si afferma che il contadino è un maledetto.

Mia nonna dice sempre: “La nostra è una vita da condannati. Dio stesso ci ha condannati. Il contadino è un maledetto. Nessuno lo può vedere. Dio stesso disse al contadino: Tu lavorerari per gli altri. Creerai ricchezze e beni, coltiverai le selve, ma il pane non è tuo”. Quasi tutti i giorni dice questo, mia nonna. Chissà che hanno fatto i contadini, per offendere Dio?”
Il tono con cui si esprimeva la ragazza era così sincero, così semplice che mi pareva di udire la voce di un profeta. E mi sentii stringere il cuore.

Fin qui il ricordo e l’omaggio all’autore, a pochi giorni dalla sua morte. Sarebbe auspicabile che non ci si dimenticasse di lui; ma questo lavoro sulla memoria dovrebbe essere esercitato dai calabresi. Non possono tradirlo dopo una vita in cui Strati ha raccontato e sognato una calabria libera e dalla forza propulsiva.

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L’elzeviro di Nuccio Ordine apparso sul “Corriere della Sera” di sabato 12 aprile 2014:

La Calabria difficile di Saverio Strati

La foto di apertura è tratta da Internet

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