Ottava opera di misericordia: non imbrogliare i vecchi
Dei vecchi... Ovvero, quando si resta allibiti (per non dire inorriditi) dalla pubblicità di una Residenza per anziani di una città del nord Italia, su un quotidiano nazionale. Alle volte ci si chiede dove sia il rispetto per la dignità di una persona. Bisognerebbe far leggere al personale delle RSA Il diario di Jane Somers della Lessing, o, più recente, Il senso di una fine di Barnes
Sono una laica convinta, ma da bambina (bambina ubbidiente e ligia) ho imparato a memoria le 7 opere di misericordia, sia quelle corporali che quelle spirituali.
Mi soffermo sulla quinta opera di misericordia corporale: visitare gli infermi.
Riporto la spiegazione che ne viene data su internet: “si tratta di una vera attenzione ai malati e agli anziani, sia dal punto di vista fisico, che nel fare loro un po’ di compagnia. Il miglior esempio della Sacra Scrittura è la parabola del Buon Samaritano, che curò il ferito e, non potendo continuare ad occuparsene direttamente, affidò le cure necessarie ad un altro, offrendogli di pagarle”.
Mi sembra una spiegazione degna anche per chi non segue nessun credo religioso.
Ecco perché sono rimasta allibita (per non dire inorridita) dalla pubblicità di una Residenza per anziani di una città del nord Italia, su un quotidiano nazionale. Cito i punti che maggiormente mi hanno lasciata esterrefatta e che vorrei smontare uno ad uno, per il semplice fatto che ho seguito una vecchia amica che lì ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita.
“C’è inoltre il nucleo ‘Lusso’ con i camerieri per servire i pasti cucinati internamente da cuochi professionisti”.
Posso garantire che non ho mai visto camerieri, se non una signorina tuttofare e che i cuochi ‘professionisti’’ era tutt’al più un signore addetto a riscaldare nel microonde. Il menu era di una monotonia rara, persino negli ospedali c’è più varietà. La cena aveva come prima portata (per 365 giorni l’anno!) la scelta tra passato di verdura o minestrina. Neppure il brivido di un semolino o di un riso in brodo. Il dolce: un budino in scatola, di marca ignota, comprato in discount sconosciuti.
La pubblicità continua con la voce “intrattenimento”: vecchi addormentati davanti a film adatti a tutti, quindi più a bambini che non a loro, feste che non augurerei neppure ai piccoli dell’asilo.
E ancora: “qui sono tutti ospiti, non pazienti”. No comment.
Per finire con “assistenza sanitaria come fiore all’occhiello”. Un medico (da dimenticare), qualche infermiera, ma soprattutto l’uso/abuso del telefono per chiamare l’ospedale più vicino e levarsi da ogni responsabilità anche di fronte a mali curabilissimi in loco, soprattutto dove c’è assistenza sanitaria.
Vengo ora a quanto ho visto.
Un giorno, mentre ero in visita alla mia cara Eugenia, ex preside di scuola superiore, over 80, entra un’infermiera per avvertire che era pronto il pranzo al ristorante (sull’aspetto estetico non ho nulla da dire: ristorante e sale comuni ben arredate, camere spaziose e luminose con bagni privati, giardini interni). La mia amica chiede di andare un attimo in bagno. La risposta: “Ma se ti abbiamo appena messo il pannolone!”. Detto davanti a me, una sconosciuta. Dov’è il rispetto per la dignità di una persona?
Non ci sono camerieri, ma neppure personale sufficiente per portare, dopopranzo o dopocena, gli “ospiti” nelle loro camere. Così questi poveri “ricchi” vecchi della zona “lusso”, devono aspettare il loro turno (spesso più di mezz’ora) prima di rientrare in camera. E, si sa, non sempre è permesso ai visitatori di sostituirsi agli operatori (e su questo non discuto).
Una sera, in attesa della cena, una deliziosa signora, pure over 80, un po’ svampita, ma con voce garbata, si rivolse a una figura femminile in camice che si aggirava tra i tavoli chiamandola “cameriera!”.
Chissà, poverina, forse immaginava di essere in crociera. Mi ha sempre commosso la mente umana quando naufraga. La figura in questione, con passo da granatiere, la investì con mal garbo urlandole: “Non sono una cameriera, sono una OSS”.
A parte che ci vorrebbe una laurea apposita per tutte le nuove sigle, ma per la tenera Graziella che cosa avrà mai voluto dire OSS? (io l’ho imparato solo frequentando quella residenza).
Senza contare che i vecchi* non sono necessariamente rimbecilliti e in ogni caso non esiste un misuratore di rimbecillimento (dovrei usare parole più gentili? Non ci penso minimamente: non voglio adeguarmi al falso perbenismo verbale!).
E mi chiedo inoltre chi autorizzi a chiamare i vecchi con il nome di battesimo e non signor X o col titolo che li contraddistingueva nell’età lavorativa.
Perché, che ci piaccia o meno, noi siamo vivi finché lavoriamo, e tutte le persone della zona “lusso” avevano, come argomento preferito, la loro vita lavorativa. Allora rivolgiamoci a loro con avvocato, professoressa, dottore… a questi vecchi dignitosi che, pur potendo permettersi di stare a casa loro con badanti o pur essendo invitati dai figli a far parte delle loro famiglie, hanno scelto volutamente di non essere di peso.
A questo consiglio vorrei aggiungerne un altro.
Eccolo: il personale delle Residenze per anziani va scelto ovviamente in base alle effettive capacità (competenze, pardon), ma ci dovrebbe essere un occhio di riguardo anche alla presenza. I vecchi hanno bisogno di belle persone e non di personale immusonito o, peggio ancora, con quella gentilezza omologata imparata in corsi appositi, con quei gesti affettati.
Mi si chiederà che titoli ho per elargire tutti questi consigli.
Rispondo: nessuno.
Ho fatto tuttavia molto volontariato in ospedale (AVO, altra sigla…) e una delle prime cose che mi dissero le mie “cape” fu di non presentarmi né truccata né con gioielli.
Dopo essere stata una bambina ubbidiente all’eccesso, sono diventata una donna disubbidiente, laddove il buon senso mi suggerisce di esserlo.
Allora giravo tra le corsie dell’ospedale come fossi stata su un set cinematografico, lasciando intravvedere le mie mises sotto il camice bianco.
Ero una vera gioia per donne e uomini e non certo per particolare bellezza, ma per il tempo che a loro dedicavo e per ciò che a loro mostravo, fosse il colore di una camicetta o orecchini originali.
Che non dico il falso me lo confermò un vecchio avvocato che un giorno mi disse, riferendosi al personale femminile della RSA: “Ma lo vede quanto sono brutte?”. Traduco: non penso alludesse solo alla poca prestanza fisica, ma alla loro incapacità di creare empatia. La gentilezza, la gradevolezza o ce l’hai o non ce l’hai: non la puoi imparare.
Bisognerebbe fare leggere al personale delle RSA Il diario di Jane Somers della Lessing (“No, sono stati abbastanza gentili. Ma non mi piace. Ti riempiono di pillole e pillole, e hai l’impressione di non aver più il cervello, ti trattano come una bambina. Non voglio…”) o, più recente, Il senso di una fine di Barnes (“Volete sapere una cosa che mi fa paura? Essere un vecchio ricoverato in ospedale e ritrovarmi circondato da infermiere mai conosciute che mi chiamano Anthony, o peggio ancora, Tony. È l’ora della tua punturina, Tony. Su, Tony, da bravo, un’altra cucchiaiata. L’hai fatta tutta, Tony?”.
Ho infine estrapolato alcune affermazioni dell’attore, autore, scrittore Alessandro Bergonzoni che sono la sintesi di quanto credo di avere scritto: “Manchiamo di poetica non di etica, la medicina manca di poetica, manchiamo di anime”, “Si parla di formazione del personale, ma ci chiediamo come siamo messi dentro?”, “La spiritualità ci dice che il corpo è sacro”, “L’anziano è la memoria”.
Allora ancor di più mettiamo in atto l’ottava opera di misericordia: non imbrogliare i vecchi.
*Uso volutamente il termine vecchio che evoca qualcosa di grande e non il tristissimo “anziano”, un ibrido per non offendere. Ammetto di essere stata felice che la lettera con l’annuncio della mia pensione indicasse che era “per vecchiaia” e non per anzianità.
In apertura: Giorgione, Giorgio Barbarelli da Castelfranco: La vecchia
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