Saperi

Palermo e Bologna. Saga di una famiglia

La barca ha occupato uno spazio importante nella vita. Era un po' come la seconda casa. È lì, nelle lunghe giornate, che si snocciolavano i racconti di una Palermo e di una sicilianità fatta di Famiglia, Onore e Rispetto. La vita, comunque, non sempre trascorre come una gita in barca

Massimo Cocchi

Palermo e Bologna. Saga di una famiglia

Questo scritto scaturisce oggi a testimoniare, con lo stile sintetico che amo per i miei scritti, i lunghi anni trascorsi nella parte “sicula” di una grande famiglia e lo dedico a chi non c’è più, nella profonda amicizia e nell’amore che mi ha legato a loro. Una testimonianza che mi auguro entri nel silenzio dell’anima e dello spirito dei giovani di famiglia per ricordare loro della terra delle origini.

Saga di una famiglia

Siamo nel 1971 e arriva la laurea in medicina, condita da un amore non privo di problemi relazionali per via della posizione di Lei nel cosiddetto perbenismo di una società un po’ ipocrita di una città piccolo borghese come è Bologna.

Un amore che mi era costato l’esilio dal fascino della clinica universitaria, portandomi al piccolo ospedale del mio paese, laddove sembravo avviato a una modesta ma onorevole carriera ospedaliera di provincia.

La vita trascorreva nella tranquilla quotidianità di paese, i pazienti, nella maggiore parte, erano amici o conoscenti e questo ci impegnava a dare sempre il massimo, devo dire, con loro grande soddisfazione.

Il mio ricordo della vita di ricerca in laboratorio, tuttavia, rimaneva sempre presente e nostalgico anche se non mancavano le soddisfazioni professionali.

Le giornate trascorrevano tranquille, avevo anche messo a frutto alcune particolari conoscenze che avevo acquisito nel corso di un soggiorno in un ospedale statunitense, quando lo spirito della conoscenza si impadronì nuovamente del mio cervello e pensai bene (o male?) di avviare le procedure per utilizzare il computer nella realizzazione delle diete che impegnavano per ore le dietiste che lavoravano in ospedale.

Come poi accadrà altre volte, un giorno presi la mia fedele Mehari, una macchinetta di plastica dal vago sapore di piccola Jeep, e mi recai al Centro di Calcolo Interuniversitario che aveva sede a Casalecchio di Reno, comune alle porte di Bologna.

Entrai in quella sorta di moderno tempio dell’informatica che stava nascendo e, alla prima persona che incontrai sulle scale, saprò poi che era un ingegnere del Centro, esposi la mia idea. Fui liquidato immediatamente verso, niente di meno che, il grande boss del Centro, che era il Prof. Mannino, Astronomo dell’Università di Bologna.

Fu gentilissimo, mi invitò nel suo studio, e gli esposi il mio pensiero/progetto.

Fu l’inizio di una grande amicizia e di una ricerca straordinaria che ci condusse al vanto di essere stati i primi al mondo a realizzare “la dieta con il computer”. In pochi secondi si realizzava il programma alimentare giornaliero di chicchessia.

Questo fu anche l’inizio di una serie di ostilità all’interno dell’ospedale che mi porteranno, poi, a ripercorrere quella che era la mia vocazione, la ricerca scientifica, ritornando all’Università.

Nel frattempo si era esaurito nei fatti il grande amore per quegli ostacoli di vita che, inevitabilmente, segnano, molte volte, la fine di un sogno.

Ero ancora nei corridoi dell’ospedale quando una serie di eventi successivi e incalzanti cambiarono completamente il mio destino.

Il primo fu l’incontro con quella magnifica donna che diventerà mia moglie e, il secondo, il rientro a Bologna dove trovai dimora nello storico Istituto di Biochimica dell’Università e da cui cominciò la cavalcata al soddisfacimento delle mie ambizioni, non certo priva di travagli e di suspense.

Il rapporto con quella che diventerà mia moglie inizia in ospedale, al paese, quando mi chiede se lì vicino c’è un posto chiamato Marmorta, il che mi fa trasalire perché era proprio il paesino, quasi una borgata, dove avevo trascorso la mia infanzia.

Alla prima reazione stupita, segue la seconda, quando mi dice che in quel piccolo paesino è sepolto suo padre, saliamo in auto e la porto nell’altrettanto piccolo cimitero che percorriamo in tutto il suo classico perimetro rettangolare con il viottolo centrale cadenzato dai soliti cipressi, chissà perché cipressi e cimiteri stanno quasi sempreassieme, e, finalmente troviamo la tomba di suo padre, spoglia e desolata.

Davanti a quella tomba mi viene spontaneo girarmi verso la parte opposta, oltre il classico prato e, con grande stupore, mi accorgo che, esattamente di fronte, c’è la tomba di mia nonna Amelia, veramente una strana circostanza.

A quella spoglia tomba, successivamente, quando i miei paesani verranno a conoscenza del mio legame, non faranno più mancare un fiore.

Trascorrono giorni in cui ci rendiamo conto di un sentimento che cresce e, un giorno, a Bologna, a Porta Santo Stefano, di fronte ai Giardini Margherita, di fronte al Cassero che testimonia delle antiche mura, allo storico bar che si chiama Edelweiss, mentre prendiamo il caffè, Mariella mi presenta uno dei suoi fratelli mentre sale a bordo della sua Citroen Pallas e, immediatamente, noto la sua cortese ma ferma diffidenza intrisa di quella sicilianità che, poi, un poco alla volta comincerò a conoscere più profondamente.

Arriva il fatidico “sì” e si completa il quadro famigliare, Pirro con Carla, Giorgio con Grazia e, ultimi arrivati, Massimo e Mariella. Tre fratelli palermitani e tre cognati bolognesi.

Cominciano lunghe frequentazioni, laddove la casa di Pirro e Carla rappresentano il punto di riferimento nel senso che siamo sempre a casa loro, i rapporti si consolidano e l’amicizia fra me, Pirro e Giorgio si consolida sempre di più fino a formare un vero sodalizio.

Arriva la consuetudine della riunione settimanale di famiglia che trova luogo nel bar di via Masi, precisamente nella sala biliardo dove fra una partita e l’altra ci si racconta dei problemi della settimana e alla presenza di un testimone che sempre ci accompagna, Corrado, il ragioniere del padre Lorenzo, che, pur avendo lasciato i figli da molti anni sembra essere sempre lì, presente nel bene e nel male.

Io ovviamente non ho conosciuto Lorenzo e mi affascinano le sue storie che vanno dal suo ruolo importante nella massoneria, all’incarico conferitogli dal Re di organizzare e seguire il referendum repubblica o monarchia in quel di Sicilia, nel quartiere generale del famoso Hotel delle Palme di Palermo, ai viaggi mensili che Lorenzo, spesso accompagnato da Giorgio e da Pirro, faceva da Padre Pio a San Giovanni Rotondo, per portare generi che aiutavano alla gestione dell’ospedale.

Una grande devozione che porta a fare sì che i tre fratelli diventano anch’essi figli spirituali di Padre Pio, quel Padre Pio con il quale io non riuscivo ad avere un grande feeling ma che, successivamente, entrerà nella mia vita di scettico con costante dimostrazione di esserci.

Una presenza che si manifesterà nel tempo, ma costantemente e in modo inequivocabile, modificando sensibilmente il mio rapporto con lui.

Non entro in questi dettagli perché sono e devono rimanere un fatto personale.

I sabati mattina al bar avevano anche un’altra finalità, Pirro ed io eravamo quasi sempre al verde al giungere del fine settimana, quindi dovevamo convincere Giorgio a quel prestito settimanale, poi restituito, che ci consentiva di ripartire il lunedì successivo, già, eravamo al verde perché molte risorse se ne andavano, a fondo perduto, nel mantenimento della barca con la quale scorrazzavamo fra il mare di Romagna e Venezia.

La barca ha occupato uno spazio importante nella nostra vita perché era un po’ come la nostra seconda casa e lì, nelle lunghe giornate, si snocciolavano i racconti di quella Palermo nella quale nessuno dei tre fratelli sembrava volere tornare, della vita da scugnizzo di Pirro, alle vicende di famiglia che si realizzavano nel circondario di via Maqueda.

Così passavano anni in cui questo rapporto fra le famiglie si consolidava sempre più e nessuno pensava agli eventi, anche drammatici, che avrebbero bussato alla porta.

Ogni estate era cadenzata dai nostri viaggi a Venezia e ne ricordo uno in particolare cui parteciparono anche Carla e Mariella, cosa che a Pirro e a me non piaceva molto perché erano un po’ una limitazione al nostro vivere da zingari.

Stavamo andando verso Venezia quando ci sorprese la piena dei tronchi nel Delta del Po e si frantumò una delle eliche costringendoci ad entrare nel grande fiume e rifugiarci nella darsena di Gorino dove zanzare e acqua nera di petrolio facevano da padrone.

Io rimasi sulla barca a farmi massacrare da zanzare che parevano degli stukas, Pirro andò a Chioggia a recuperare un’elica e le donne si preoccuparono solo di trovare una camera dove dormire riempiendola di zampironi anti zanzare.

Giunta la sera ci trovammo tutti nell’unico bar del paese, almeno quello storico, da Uspa, in realtà era un’osteria doveUspa, il proprietario, ci accolse con grande affabilità e ci preparò uno spuntino a base di affettati, pane e vino.

Consumato il pasto, e mal gliene incolse, ci sfidò a tresette: Pirro e io contro lui e un pescatore locale, cambierà molti partners fino alle ore piccole perché non riusciva a vincere una partita contro i “bolognesi con la barca”, così lo invitammo a chiudere perché, altrimenti, la mattina dopo avrebbe aperto il bar senza più una bottiglia visto che il bar si era gremito e si giocava una bevuta per tutti i presenti a ogni tripletta di tresette.

Arrivammo a Venezia e godemmo di colazioni a base di polipetti affogati, uova sode e buoni bicchieri di vino.

Dopo molto tempo ritroverò quei luoghi del Delta e li descriverò sempre avendo nella mente quei viaggi indimenticabili.

Pirro era un dissacratore costituzionale, al punto che aveva trasformato il “grembiulino” del padre nel paralume di una lampada che illuminava lo spazio di due poltrone vicino al camino dove si costruivano desideri, sogni e dove si dissertava di argomenti “massimi” avvolti nel fumo dell’immancabile pipa e delle mie Lucky Strike.

Dal più irrompente carattere di Pirro e da quello più costruttivo e pragmatico di Giorgio cercavo di trarre il meglio delle riflessioni e dei consigli che ne scaturivano e soprattutto cercavo di farne buon uso nella corsa senza fiato che è stata la mia carriera scientifica e che loro sostenevano a tutto campo, sovente soccorrendomi quando nella mia famiglia si creavano scompensi nei, seppur anche piccoli, ma importanti, fatti della quotidianità.

Il tempo passava e sempre più mi entrava profondamente quella sicilianità fatta di Famiglia, Onore e Rispetto che mi veniva trasmessa da Pirro e Giorgio, e mi stuzzicava molto l’idea di potere, un giorno, addentrarmi in quella Palermo dei misteri.

La vita, comunque, non sempre trascorre come una gita in barca e arrivarono le prime drammatiche situazioni che ci rendevano muti ma che ci stringevano sempre più gli uni agli altri e così, anno via anno ci ritrovammo in tre, eravamo rimasti solo noi cognati, i tre “palermitani” ci avevano lasciati con un solco incolmabile di sentimenti, ricordi e affetti.

Mentre si chiudevano capitoli di vita la “famiglia” rimase e rimane tutt’ora unita, forse, nei profumi di quella Palermo che tanto aveva sollecitato sentimenti di nostalgia.

E in quella Palermo sono andato, a via Maqueda, all’Hotel delle Palme dove cercavo di immaginare il tempo passato del suocero che non avevo conosciuto, dove l’atmosfera dell’atrio con i suoi salotti ancora sembrava raccontare di intrighi e misteri.

A quella prima volta si aggiungeranno tanti altri soggiorni a Palermo nel fascino dei famosi mercati, Ballarò, la Vucciria, il Capo, che saranno anche fonte di ispirazione per alcuni dei racconti, a mio avviso, ovviamente, fra i più belli che ho scritto, poi l’emozione di Villa Igiea e della suite nella torre dove mi piaceva rivivere l’atmosfera del tempo passato, la Kalsa con i panini allo sgombro di Chiluzzo e i tanti altri storici quartieri che visitavo, già il “mal” di Palermo ormai si era insinuato ed era difficile combatterlo, più semplice e piacevole soccombergli.

In questo momento in cui impera quel piccolo animaletto che sta sconvolgendo il mondo, di cui nessuno, forse, ha ancora capito nulla e che crea confusione mentale sia nelle persone fragili sia nei cosiddetti scienziati, sono nella tonnara di Solanto di fronte a uno scenario in cui sarebbe ed è difficile trovare le parole per descriverlo, bisogna solo starci per capire e qui, non era possibile che non rievocassi quei momenti siciliani di Bologna che per tanti anni mi hanno accompagnato.

Certo, avrei potuto scrivere un libro entrando nella descrizione di dettagli che potevano impegnare pagine e pagine, così come potevo infarcire il racconto dei mille colloqui che ho avuto con Pirro e Giorgio, ma non sono capace di farlo, quello che mi interessa è vivere l’emozione e non si può vivere un’emozione che dura centinaia di pagine.

Il mio percorso è stato uno scatto continuo di istantanee, quelle che non dimentichi mai, i lunghi anni, mai sufficientemente lunghi, con i miei maestri di sicilianità rimangono anch’essi istantanee fantastiche di immagini divita.

Ecco, io, ora, vorrei dire a Pirro e Giorgio che sono diventato, credo l’unico non siciliano, membro della prestigiosa e antica Accademia delle Scienze Mediche di Palermo, sicuro che non si lancerebbero in clamorose manifestazioni di felicità, ma penserebbero con orgoglio: è diventato uno di noi.

In apertura, foto di Olio Officina

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