Perché il femminicidio
Troppe violenze che inquietano e creano un forte senso di disagio collettivo, mettendo in crisi una società che pensava di aver già risolto i conflitti tra i generi. E’ il caso allora di indagare sulle ragioni psicologiche di un fenomeno che sta diventando purtroppo via via sempre più allarmante. Come mai avviene tutto ciò, nonostante le lotte di liberazione della donna e l’emancipazione dai contenuti vetero-ideologici? Per secoli abbiamo fatto di tutto pur di non vivere d'amore. Abbiamo perfino pensato che la felicità potesse essere vissuta senza amore. Un grave errore, di cui oggi ne paghiamo le conseguenze
In questi ultimi tempi il fenomeno dei femminicidi sta assumendo un’importanza eccezionale e gli interventi sui giornali e nei dibattiti televisivi sono diventati quotidiani. La cosa che salta subito all’attenzione di uno come sono io che mi considero né giornalista né esperto di problemi psicologici di questo tipo è quanto mai banale: come mai tanto scalpore e un tanto crescendo del fenomeno nonostante lotte di liberazione della donna, e dell’emancipazione generale dai contenuti vetero-ideologici?
Le discussioni e gli articoli che ho potuto seguire e leggere con un certo interesse hanno ribadito cose che il più delle volte ho trovato condivisibili e interessanti per molti motivi che non voglio qui ripetere, ma nel complesso, devo dire, anche insufficienti a spiegare il perché nonostante (o a causa?) l’affermarsi di tanti diritti della persona e della stessa emancipazione tanto declamata nella nostra società. Anche un intervento di Caudio Mencacci sul “Corriere della Sera” di giovedi 9 Giugno, sottolinea cose che sono senz’altro condivisibili ed anche ovvie. Dice: ”troppo spesso vengono date giustificazioni (inaccettabili) legate alla gelosia. Ma dietro c’è altro: il senso di proprietà, il bisogno di controllo, l’ostilità, l’odio e l’invidia. Che nulla hanno a che fare con l’amore”.
Su questo punto non sono del tutto d’accordo, perché tutte queste qualità devono essere pensate come corollari dell’amore, corollari devianti dell’amore, ma sempre corollari. Possibile? Certo: abbiamo ampia letteratura che potremmo ascoltare, partendo dalle grandi tragedie greche, passando attraverso quelle di Socrate, per arrivare fino ai grandi romanzi dell’ottocento, in primis quella grande opera di Goethe, il doctor Faustus. Ma non vogliamo diventare noiosi e allora parto con una citazione che trovo adeguata al discorso che intendo sostenere, che prendo dall’introduzione del libro di Crepet, Sull’amore. Ecco qualche frase dalla prefazione:
Una delle tante autostrade che escono dall’area metropolitana di Londra verso nord. Il traffico scorre lento, il sole tramonta tardi come tutte le sere inglesi: un’estate che si prolunga tra piovaschi e sole tiepido, crudele.
Ascoltavo un canale della Bbc, musica classica. Quando ormai si era fatto completamente buio -non ricordo che ora poteva essere stata- la musica s’interrompe per lasciare spazio ad una trasmissione d’intrattenimento condotta da una voce femminile un po’ roca che sapeva di gioventù ben trascorsa.
Risponde a telefonate in diretta, argomento: l’amore. Cerco di prestare attenzione, m’incuriosisce individuare eventuali differenze tra il nostro e il loro modo di affrontare un argomento tanto abusato. Un signore telefona e racconta di quant’è difficile per lui parlare d’innamoramento con il nipote, appena adolescente. Dice: “che ne può sapere lui dell’amore che è ancora un ragazzino e non sa nulla della vita…”. La donna replica, pronta: “ma lei è proprio sicuro che bisogna essere maturi per sapere che cos’è l’amore e poi noi, che la vita dovremmo conoscerla almeno un po’, dell’amore sappiamo davvero tutto, possiamo istruire un giovane ad amare con più sicurezza e serenità?”.
La discussione radiofonica va avanti per un po’, la seguo a tratti, sono già sulle strade non lontano da Oxford, un bagliore di luna illumina i prati tutt’attorno e imbrunisce le ombre delle immense querce che li delimitano. Penso a quelle apparenti ovvietà che avrebbero fatto discutere le radio di mezzo mondo. Mi chiedo se davvero sia così tutto ovvio? E se l’amore semplicemente non rappresentasse l’argomento più difficile da discutere ma anche il più urgente?
L’idea di scrivere un libro sull’amore – ben conscio del rischio di banalizzazione che esso comporta data la pletora di pubblicazioni che ogni anno affollano gli scaffali delle librerie – nasce da questa semplice sensazione.
Per secoli abbiamo fatto di tutto pur di non vivere d’amore. Abbiamo lasciato questa scelta ai santi e ai folli, ai poeti e agli utopisti proprio per arrivare a dirci –consolandoci- che non è tema così importante per comuni cittadini. Prima deve venire il lavoro, il denaro, il potere, la guerra e la pace, l’economia e la politica, la famiglia e lo Stato, l’individuo e la collettività. Abbiamo pensato che perfino la felicità potesse essere vissuta senza amore.
Così si progettano e costruiscono esistenze appoggiate sulle palafitte fragili dell’analfabetismo affettivo. Disegnate città, previsto lavori, organizzato quotidianità che potessero prevedere vite emotivamente superficiali. Ci siamo perfino dimenticati di insegnare ai nostri figli a comunicare –nel senso empatico del termine- convinti che sarebbe bastata l’invasione tecnologica e telematica a garantire ognuno di non essere più solo.“
Condivido pienamente queste battute iniziali di un libretto molto interessante perché pone il problema al centro della stessa concezione dell’amore, smentendo l’idea che l’amore in quanto tale sia la cosa più bella e soprattutto più innocente dell’’uomo.
Più o meno è sulla stessa linea un altro psicoanalista Vittorino Andreoli, che ha già pubblicato vari lavori su questi temi, e in particolare nel suo ultimo libro, La Gioia di vivere. Ma noi potremo ricordarci che questa linea di interpretazione del concetto dell’amore, non è nuova. La troviamo già presente nelle grandi tragedie dell’antichità classica, da Sofocle a Seneca, avvrivando su fino alle grandi opere del romanticismo. Ma per non essere pedanti, ci permettiamo di ricordare almeno tre nomi che andrebbero approfonditi: Il primo è il nostro grande e ammirato poeta, quello che ha forse consegnato a tutti noi forse le poesie più commoventi sull’amore per Laura. Eppure, proprio lui ha scritto un’operetta che non ha voluto stampare, tutta in latino, e che solo la moderna psicoanalisi ha pienamente valorizzato. Essa è scritta in latino, così: De Secreto conflictu curarum mearum, e viene tradotta come il Secretum.
A giudizio della psicoanalisi è un’opera di estrema importanza, perché mette in luce gli aspetti negativi di quell’amore che il poeta ha tanto cantato con poesie che rappresentano altezze artistiche raramente raggiunte in tutti i secoli. La critica letteraria non ha dato molta importanza a questa opera, giudicandola fuori dal novero delle grandi opere di Petrarca e indice di momenti di crisi che non incide sul concetto di fondo del suo amore per Laura. E se, invece, ha ragione la psicoanalisi nell’affermare che in essa ci sono cose che la poesia non dice, ma ancora più importanti per comprendere l’animo umano? Il secondo autore che vorremmo ricordare non potrebbe essere se non lo stesso padre della psicoanalisi, che ha espresso in tutte le sue opere, ma soprattutto nel Disagio di una società una visione sostanzialmente pessimista dell’amore umano.. E lasciamo qui il ragionamento che avrebbe bisogno di essere analizzato con cura..
L’altro grande autore che vorremmo ricordare è Dostoevskij, che nel suo grande romanzo, ma non solo, Fratelli Karamazov fa dire al fratello senz’altro più passionale, Dimitri, in un momento di autocoscienza ha il coraggio di esclamare, e prendo a memoria più o meno esattamente: O Dio tu hai dato all’uomo delle forze troppo grandi, come l’amore, questa forza dirompente che non riesco a contenere.
penso che partendo da queste pagine possiamo entrare nel vivo della problematica che troviamo dibattuta sui giornali da parecchie settimane, o forse da mesi.
LEGGI ANCHE: Sante Ambrosi, Quale vita oltre la vita. Appunti per riflettere sulla vita dell’aldilà
Nella immagine di apertura un dipinto di Tamara de Lempicka
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui
Commenta la notizia
Devi essere connesso per inviare un commento.