Quando si dice Terzo settore
Fino a poco tempo fa, rappresentava solo una mera categoria sociologica. Ora, invece, abbiamo una definizione giuridica. Vi rientrano gli enti che perseguono fini di utilità sociale. L’agricoltura sociale è un esempio concreto di tale innovazione. Come lo è anche il welfare aziendale prodotto da tante piccole e medie imprese profit
Coi pareri delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Stato-Regioni sui decreti legislativi, si completerà, entro il 2 luglio, l’attuazione della riforma del Terzo settore voluta dal governo Renzi. Sono resi disponibili 190 milioni di euro per finanziare le norme fiscali di maggior vantaggio. Un primo passo importante che può ancora essere migliorato proseguendo sulla strada che consente alle organizzazioni interessate di liberarsi dai troppi lacci e lacciuoli burocratici.
Terzo sistema, la definizione di Giorgio Ruffolo
Finalmente abbiamo una definizione giuridica del Terzo settore, espressione finora utilizzata solo come categoria sociologica. In origine si pensava ad un “terzo sistema”. Così infatti Giorgio Ruffolo definì, in un rapporto del 1978 per la Commissione Europea intitolato “Un progetto per l’Europa”, la rete delle organizzazioni private impegnate nella produzione di beni e servizi di interesse collettivo, mediante forme di regolazione pubblica, di integrazione tra dono e mercato e di competizione cooperativa.
Un “terzo sistema” accanto agli altri due, Stato e mercato, potenzialmente capace di espandersi fino all’utopico obiettivo di assorbirli. Ma Ruffolo pensava all’intero mondo cooperativo e all’insieme del sistema economico.
Una forte economia civile capace di orientare risorse private e attività produttive a tutela dei soggetti deboli. Col tempo, quell’idea ambiziosa si è ridotta ad un Terzo settore specializzato in welfare. E tuttavia, con la grande recessione, si ripropone l’idea originaria, da aggiornare ovviamente nel quadro attuale della globalizzazione e della nuova rivoluzione tecnologica. La quale ha smontato l’idea stessa di lavoro – un qualcosa che non si può più tutelare ma solo creare continuamente – e reso anacronistica la separatezza tra sistema produttivo e welfare.
Il codice del Terzo settore
Terzo settore sono gli enti che perseguono fini di utilità sociale mediante determinate attività di interesse generale. Il limite di tale definizione è che l’interesse generale non è riscontrato nel beneficio che per la collettività produce un’attività, qualsiasi essa sia, bensì nella scelta di una specifica attività rispetto ad altre.
Il Codice del Terzo settore ne elenca 26. Ancora forti resistenze culturali e piccole rendite di posizione, tenacemente difese, impediscono di espandere il Terzo settore a tutte le attività umane, diffondendo ovunque la capacità di ottenere, simultaneamente, produzione di beni e servizi e prestazioni di welfare.
L’agricoltura sociale è un esempio concreto di tale innovazione. Come lo è anche il welfare aziendale prodotto da tante piccole e medie imprese profit. E tuttavia nell’elenco delle attività di interesse generale mancano quelle industriali e artigianali. Trovano spazio solo quelle agricole quando sono connesse alle attività sociali. Ma queste già sono regolate da una legge specifica del 2015. E averle annoverate tra le 26 del Terzo settore, in una visione riduzionista, crea ora, paradossalmente, una serie di incongruenze da scongiurarne il mantenimento. A dimostrazione che la razionalità insita nel reale divenire delle cose non dovrebbe mai essere stravolta da norme frettolosamente calate dall’alto, su pressione di interessi particolaristici restii all’innovazione.
La riforma sostiene le reti associative dei soggetti di Terzo settore e rimuove le barriere fiscali che finora hanno impedito lo sviluppo delle imprese sociali. È ancora troppo poco. La legge di Stabilità 2015 aveva regolato le società benefit, quelle “che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune”. E lasciava ben sperare nel superamento del confine tra profit e non profit. Ma quello spiraglio non si è voluto ulteriormente allargare. Peccato.
La foto di apertura è di Luigi Caricato
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