Scienza agronomica, spionaggio, manipolazione giornalistica
I grandi agronomi della storia. Si distinguono dalla schiera dei redattori senza genio tre personaggi che pretendono il titolo di protagonisti: Richard Weston, il viaggiatore che, visitate le Fiandre dove ha verificato pratiche agrarie del tutto originali, lancia il manifesto del rinnovamento, Jethro Tull, l'avvocato appassionato di musica che un'infermità costringe in campagna, dove enuclea una teoria agronomica assurda, e per praticarla inventa la seminatrice e la zappatrice a traino animale, Arthur Young, l'ideatore di criteri nuovi di indagine agronomica, il primo teorico dell'economia agraria, fondatore del primo giornale agricolo
Il primo pubblicista al servizio di una lobby agraria
Chi ripercorra la grande stagione della Rivoluzione agraria britannica non incontra che un numero esiguo di protagonisti: decine di possidenti rurali di una pluralità di contee consegnano alla storia delle scienze agrarie volumi innumerabili di relazioni, annotazioni, proposte, senza lasciare l’impronta di una personalità, un esperimento geniale, una riflessione che testimoni profondità di vedute. Chi sfogli, sui tavoli di legno scuro dell’emiciclo della British Library, le opere maggiori e minori della grande epopea, che un commesso discreto invita a dispiegare, diligentemente, sul grande leggio, è colto da un’invincibile sensazione di mediocrità: gli uomini che hanno creato l’agricoltura moderna non erano, nella generalità, brillanti uomini di scienza, erano accorti agricoltori che, senza troppo rischiare, sperimentavano metodi nuovi per aumentare la produzione di frumento e di latte, così da conservare, pagando l’affitto al landlord, qualche sterlina di tornaconto in più. Le campagne europee non hanno mutato volto per gli eroici furori di spiriti innovatori, ma per i propositi di guadagno di affittuari che di null’altro si preoccupavano che del proprio bilancio.
Si distinguono dalla schiera dei redattori senza genio tre personaggi che pretendono, invece, con prepotenza, il titolo di protagonisti: Richard Weston, il viaggiatore che, visitate le Fiandre dove ha verificato pratiche agrarie del tutto originali, lancia il manifesto del rinnovamento, Jethro Tull, l’avvocato appassionato di musica che un’infermità costringe in campagna, dove enuclea una teoria agronomica assurda, e per praticarla inventa la seminatrice e la zappatrice a traino animale, Arthur Young, l’ideatore di criteri nuovi di indagine agronomica, il primo teorico dell’economia agraria, fondatore del primo giornale agricolo. E’ nell’ultimo dei tre protagonisti che la storiografia scientifica e quella economica identificheranno l’alfiere del rinnovamento dell’agricoltura inglese, il precorritore della trasformazione del quadro agrario in tutto il Continente.
Young nasce a Londra nel 1841. Figlio di un pastore protestante, viene indirizzato dal padre agli studi superiori, nel cui corso rivela precocemente i connotati di una personalità estrosa, inquieta e ambiziosa, sempre pronta a concepire grandi disegni e lasciarsene travolgere, spesso incapace di attuarli ma decisa, di fronte al fallimento, ad accendere la polemica più focosa contro chi reputi responsabile del proprio fallimento. Concepisce, ancora liceale, il progetto di una grande storia dell’Inghilterra, decide di impiegare tutte le risorse nell’acquisto dei libri necessari all’impresa, ma si accorge che i mezzi che gli assicura il padre non saranno mai sufficienti, siccome spende ogni sterlina nell’acquisto degli abiti che ritiene indispensabili per frequentare le case patrizie, dove gli ripugna dimostrare la modestia che il figlio del curato dovrebbe, invece, accettare con disinvoltura.
Non sono più felici di quelli storicistici gli esordi agricoli: folgorato dalla passione per l’agricoltura decide di condurre, come affittuario, l’azienda del padre, a Combust, nel Suffolk. Il padre acconsente, ma è costretto a rescindere il contratto quando il figlio giunge sull’orlo della rovina: ha progettato grandi trasformazioni, che non potrebbero mai ripagare, nel corso del contratto, gli investimenti effettuati, e agli esborsi per investimenti ha aggiunto le spese per la vita mondana, che pretende essere correlato necessario dell’attività di affittuario. Non è che il primo dei fallimenti agricoli di Young, che sarà condotto altre due volte sulle soglie della bancarotta dalla gestione di aziende in conteee diverse. Le ragioni del fallimento saranno sempre le medesime: la realizzazione di costosi piani di miglioramento, la pretesa di ricavare dall’azienda il reddito necessario a un tenore di vita che nessun affittuario inglese sa di potersi permettere. Il triplice fallimento agricolo è una delle peculiarità più significative della biografia dell’alfiere del progresso agricolo, al quale un avversario acuto può scrivere, garbatamente, nel 1800: “Se agli agricoltori pratici del Suffolk, nel circondario della vostra fattoria, fosse chiesto da un viaggiatore curioso, chi sia il peggior agricoltore della contea, essi responderebbero, immediatamente, Arthur Young”.
Mentre sui campi registra la propria prima disfatta, a ventisei anni Young conosce il primo successo pubblicistico con un pamphlet sui temi dell’economia agraria, The farmer’s letters to the People of England, stampate nel 1767.
E’ una serie di saggi con i quali il giovane affittuario partecipa al dibattito sui temi più rilevanti della politica agraria nazionale, il più significativo su un argomento costituente terreno di vivace scontro giornalistico e parlamentare: i sussidi governativi alle esportazioni di frumento. L’Inghilterra è da secoli fertile produttrice di grano, che raccoglie in misura superiore ai propri bisogni, così da poter esportare, tradizionalmente, le quantità in esubero. Siccome, però, le quotazioni internazionali del grano sono fluttuanti, e negli anni di raccolti più abbondanti esportare significa ripagare appena i costi del trasporto, dal 1689 il governo di sua maestà ha offerto agli esportatori, tutti grandi aristocratici, un incentivo, che il Parlamento vorrebbe abolire. Young interviene nel dibattito per dimostrare, con fatti e cifre che proclama inconfutabili, che il sussidio, complessivamente modesto per il tesoro nazionale, non potrebbe essere abolito senza infliggere danni irreparabili all’agricoltura e alla marina mercantile. Il libro conosce un discereto successo, qualche avversario eccepirà che esso è stato commissionato e pagato dai grandi esportatori, che quindi i dati “inoppugnabili” sarebbero quantomeno incerti: il primo successo di Young suscita le illazioni che accoglieranno anche quelli successivi di uno scrittore che gli insuccessi agricoli rendono sempre bisognoso di denaro, quindi interessato ad ogni impresa pubblicistica che un committente generoso possa reputare utile ai propri interessi, e ricompensare adeguatamente.
Come è fallito improvvisandosi affittuario, il futuro nume dell’agronomia europea fallisce anche come editore: sedotto dal trionfo del primo volumetto nel 1784 fonda un periodico, gli Annali, di cui stampa un numero di copie che si rivela sistematicamente esorbitante: travolto da montagne di carta invenduta deve ricorrere a chi possa fungere da committente del suo lavoro di viaggiatore e redattore.
Il viaggio agronomico strumento scientifico
La constatazione della molteplicità dei fermenti di rinnovamento tecnico che pervade le campagne britanniche lo ha condotto, intanto, a concepire un programma di viaggi di studio in tutte le contee, per esaminare, analiticamente, pratiche, strumenti e innovazioni che stanno radicandosi in ciascuna. Tra il 1769 e il 1771 realizza lunghi viaggi nelle contee settentrionali e in quelle orientali, di cui riferisce in relazioni voluminose. Congegnato, con i viaggi in Inghilterra, un metodo di indagine, fornisce la prova del proprio genio applicando quel metodo, nel 1880, alla descrizione di quanto ha osservato in un viaggio in Irlanda, se ne serve, soprattutto, per descrivere l’economia agraria della Francia, che osserva nel corso dei due viaggi che compie, tra il 1787 e il 1789, attraversando l’Esagono fino alla Spagna e all’Italia. Se, peraltro, molte delle relazioni di viaggio tra le contee inglesi suscitano appunti di prolissità, qualcuna di manipolazione disinvolta di dati e opinioni, l’imponente volume del viaggio in Francia nasce da un’intuizione di lucida preveggenza storica, si compie proponendo un quadro che stupisce per penetrazione e acume.
Dalla riflessione sulla rivalità che si è già manifestata in America, Young ha tratto il convincimento che il suo Paese sia destinato a scontrarsi con la Francia in un duello senza quartire per la supremazia mondiale. Essendo stato, durante i suoi viaggi, testimone della Rivoluzione, intuisce che il grande sommovimento accelererà lo scontro fatale. Comprende, lucidamente, che l’esito del confronto dipenderà dall’entità delle risorse che ciascuno dei due paesi potrà gettare nel crogiuolo della lotta. Avendo misurato, con il paziente peregrinare tra le contee inglesi, le risorse naturali, agricole e industriali dell’Inghilterra, si propone, rielaborando i taccuini del viaggio francese, di verificare se la Francia disponga di risorse uguali o maggiori del Regno Unito, così da riferire alla classe dirigente di cui è consigliere, e per la quale si cimenta in un’impegnativa opera di spionaggio economico, se la comparazione delle risorse induca a ritenere che l’esito dello scontro debba prevedersi favorevole o avverso.
Per misurare le ricchezze della Francia Young percorre il Paese durante otto mesi: al termine della visita è in grado di formulare stime delle grandezze essenziali della produzione agricola tanto verosimili quanto nessuno dei cento phisiocrates che hanno moltiplicato i propri testi nelle biblioteche settecentesche ha saputo fare. Gli storici francesi, primo tra tutti Férnand Braudel, inneggeranno unanimi all’attendibilità delle sue stime, che erigeranno a fondamento delle proprie argomentazioni sulla vita economica del Paese tra la Rivoluzione e l’Impero
L’embrione dei futuri ministeri dell’agricoltura
Gli onerosi tomi delle memorie dell’agronomo inglese conoscono un cospicuo successo, ma i suoi viaggi costano troppo rispetto ai proventi dei tomi che li raccontano: Young dovrebbe arrestare il proprio peregrinare se non intervenisse, a soccorrerlo, William Pitt, il primo ministro della sfida alla Francia, che ha apprezzato il volume sul grande viaggio e il pamphlet che Young ha pubblicato, contemporaneamente, per preammonire l’aristocrazia inglese contro gli errori commessi da quella francese, che favorendo la Rivoluzione ha sottoscritto la propria condanna. A compenso del servigio, tanto coerente alla propria politica, Pitt istituisce il Board of agriculture, un consesso di grandi proprietari che dovrebbe suggerire al governo le misure per favorire il progresso agricolo, di cui affida la presidenza a lord Sinclair, uno dei magnati fondiari che non hanno dimenticato le benemerenze di Young verso i produttori di frumento, e la segreteria all’agronomo viaggiatore. Fornito di una appannaggio di 400 sterline, di benefici diversi e di una cospicua dotazione per le spese di viaggio, Young può continuare il proprio programma di visita delle conteee del Regno, delegando a collaboratori le meno significative, riservando a sè quelle dove, per conoscenze precedenti, possa contare su un percorso trionfale tra le ville di grandi aristocratici della cui abilità agronomica proclamare ogni lode, assicurandosi amici che, l’esperienza gli insegna, non mancheranno di ricambiare, signorilmente, l’attenzione.
Si compie, così, a spese dello Scacchiere, il grande inventario delle agricolture delle contee del Regno. E’ un inventario disorganico e frammentario, che lettori contemporanei e critici successivi hanno tacciato di prolissità e contraddittorietà: pressato da cento propositi, Young trascrive nelle proprie relazioni il profluvio degli appunti senza ridurre, verificare, ordinare. A sua attenuante si può riconoscere che la sua agronomia è gemmazione legittima del sensismo dei filosofi inglesi, la cui prima preoccupazione è fissare il dato dell’esperienza, che la loro ispirazione rifugge dal costringere in una costruzione organica, siccome la soggezione a criteri schematici costituirebbe, nella loro percezione, alterazione e travisamento. Con le proprie disordinate raccolte di dati Young offre un panorama della nuova agricoltura britannica di cui non coglie la vastità chi scorra dieci, venti pagine di pedestri annotazioni sugli affitti, le decime e la forma delle stalle, che prende forma davanti a chi scorra l’insieme dell’opera, così da percepirne le linee essenziali, le linee di un grande disegno geografico, economico, agronomico.
Ma dopo avere fornito, con la relazione del viaggio in Francia, alla classe politica che sta per affrontare Napoleone una chiave essenziale per dirigere il corso dello scontro, venerato come padre della nuova agricoltura, circondato dalle premure di aristocratici e grandi affittuari, insignito del titolo di segretario del primo dipartimento agrario della storia d’Europa, Young non modera la passione polemica, che lo pone in conflitto con i presidenti successivi dell’organismo che gli assicura i mezzi per la dissipazione da cui non sa esimersi. Dopo l’ennesimo scontro tra presidente e segretario il Board viene soppresso: ormai vecchio e cieco, il grande agronomo si ritira nella parrocchia del padre, dove si dedica a pubblici commenti della Bibbia. L’ultima rinuncia: la realizzazione di un grande manuale agronomico, l’enucleazione teorica delle mille osservazioni e esperienze, l’opera cui ha lavorato, in tempi diversi, di cui ha bruciato per due volte la prima stesura, che le radici più profonde della sua cultura, la cultura dell’osservazione e della registrazione dei cento dati che propone la realtà, nella diffidenza per ogni costruzione teorica che possa alterarli, gli impediscono di compiere.
Paradossalmente, sono gli storici francesi, per tradizione legati allo spirito dell’elaborazione teorica, a proclamarne la grandezza. Mentre è tra quelli britannici, tra i quali dovrebbe prevalere il culto del dato su quello della sua conversione dottrinaria, che la sua opera registra i critici più impietosi: Eric Kerridge ha definito il grande viaggiatore funambolo, ciarlatano, pennivendolo. Da quale parte, volendo giudicare Young, la verità? Se una lettura frettolosa della sua opera monumentale pare imporre di schierarsi, alternativamente, sull’uno o sull’altro fronte, la sua conoscenza più ampia impone di riconoscere che entrambi hanno colto uno dei volti del personaggio, esponente emblematico di una cultura che ha sempre professato il metodo e adorato la sregolatezza, figlio di un secolo, il secolo del Romanticismo, che si celebra come moto di passioni incomposte, nel cui alveo afflato patriottico e cinico opportunismo convivono in connubio indissolubile, in cui la scienza pretende l’esattezza, ma la polemica scientifica arde viscerale, irragionevole, infondata. Nel secolo che vede i popoli d’Europa scontrarsi in guerre feroci pure dimostrando una comunanza di impulsi civili e culturali che ne fanno comunità strettissima, l’agente inglese che attraversa la Francia rivoluzionaria acceso da odio e da ammirazione, lasciandosi trasportare dalla passione ma raccogliendo i dati per eseguire, al ritorno, i più sottili calcoli economici, è l’incarnazione, nella marsina di un agronomo viaggiatore, di tutte le contraddizioni di un’età irripetibile della storia dell’Occidente.
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