Saperi

Senza entusiasmo, l’olio diventa sostanza grassa

Gli olivi hanno fatto parte della mia infanzia, ammette. Gli olivi sono ancora oggi parte integrante della mia vita, aggiunge. Il professor Massimo Baldacci chirurgo oncologo tra i più stimati, per pura passione è anche un produttore. Nelle poche ore dedicate al riposo, ha scritto un libro, Olivocoltura, un manuale tecnico-pratico

L. C.

Senza entusiasmo, l’olio diventa sostanza grassa

E’ nato nel sud Italia, nelle campagne intorno a Taranto. Nel 1951. E’ un grande appasionato di olivicoltura, al punto da scrivere e pubblicare perfino un manuale (leggi QUI). Massimo Baldacci si confessa. Il suo “ritratto a olio” è un autoritratto che si delinea senza incertezze: “Il mio mondo di bambino era costituito dai lavori della campagna che i contadini di mio nonno portavano avanti nei terreni di famiglia. Olivo e vite e fichi erano gli alberi che hanno costituito la mia oasi verde e mentre i grandi lavoravano nei campi, noi bimbi – io, unico maschio, e poche altre bambine – giocavamo a papà e mamma o al gioco del dottore. Fu forse per questo che molti anni dopo mi iscrissi a medicina. Dopo la laurea vennero le specializzazioni, chirurgia generale, chirurgia d’urgenza, chirurgia addominale e infine chirurgia oncologica, di cui oggi sono titolare di cattedra all’Università La Sapienza di Roma. Lavoro anche all’estero, in Germania, con la stessa mansione e la stessa cattedra all’Università di Stuttgart, anche se resto uno dei cervelli italiani che vuole restare in Italia, il suo Paese”.

I tratti migliori della personalità. Devono essere gli altri a indicarli, ma essendo nato nel segno del Capricorno, e avendo una notevole dose di caparbietà e autocritica tipici di questo segno, penso che siano queste le caratteristiche che mi hanno portato a ottenere gran parte di quello che ho costruito nella mia vita. Sono comunque conscio che non possano essere considerati come elementi di spicco di un carattere!

Le virtù abitualmente coltivate. La disponibilità verso chi ha meno, soprattutto sul piano fisico. Facendo il medico e soprattutto il chirurgo oncologo mi trovo quotidianamente a contatto con il vero dolore delle persone e dei loro famigliari, un dolore fisico che posso – come medico – anche controllare, ma al dolore morale, alla paura, alla rabbia, al pianto, alla disperazione non ci sono farmaci o bisturi che possano portare sollievo e allora non resta che dare tutto se stesso nella speranza di dare speranza.

I limiti, le pecche maggiori, gli impulsi più incontrollati del carattere. Diciamo quelli legati ancora una volta al mio segno zodiacale, come dicono quelli che credono in questo tipo di influssi: l’intransigenza, anche e soprattutto nei miei confronti. Tra i limiti, le diciotto-venti ore di lavoro giornaliero che se da un lato consentono tanto dall’altro tolgono anche tanto, soprattutto agli altri componenti della famiglia.

I vizi ai quali non si intende rinunciare o, pur volendo, non si riesce a rinunciare. Non per piaggeria, ma resta così poco tempo che nulla resta per i vizi. Forse, un dito di grappa possibilmente non industriale.

Un ricordo dell’infanzia. La serenità di quelli che lavoravano nei campi, pur nelle ristrettezze della vita, pur nei dolori che la vita spesso riservava e che, cinquanta anni fa’, la medicina non era in grado di risolvere: l’asiatica, ricordo, fece strage tra noi bambini. Eppure, le persone erano serene, diversamente da oggi. La loro serenità è stata per me una scuola di vita e anche se modulata da un carattere diverso è quella serenità che mi accompagna ancora oggi nella mia visione di vita.

Ora si passa al lavoro. Da quanto, e perché, si occupa di olio. E’ stato un ripercorrere strade forse mai lasciate: gli olivi hanno fatto parte della mia infanza, gli olivi sono ancora oggi parte integrante della mia vita e di quella di mia moglie e di mio figlio che, pur non avendo esperienze dirette, mi hanno seguito su questo sentiero per me antico. Da otto anni, il silenzio della camera operatoria – in camera operatoria si parla molto poco perché si è molto concentrati, contrariamente a quello che la gente pensa vedendo i serial televisivi – si sovrappone al silenzio degli oliveti ma, a differenza dell’altro questo non è foriero di dolore bensì di vita, quella che scaturisce nel frantoio o nelle vecchie ‘capase’ per la salamoia, e di amicizie e di feste, quelle che si animano con il primo olio, quando tutto passa o sembra passare in secondo piano.

Se crede davvero nel proprio lavoro? Se c’è ancora un sano senso di entusiasmo. Se qualcosa crea turbamento e impensierisce. Ho sempre pensato che l’entusiasmo sia alla base di tutto. Le prime lezioni di ogni anno accademico le passo cercando di spiegare agli studenti o ai giovani medici delle scuole di specializzazione che senza entusiasmo perdiamo la carica, perdiamo la possibilità di dare il meglio di noi stessi. Ciò è fondamentale quando si fa il medico, ma lo anche per qualunque tipo di lavoro uno si trovi a fare. Dunque, l’entusiasmo è fondamentale anche in olivicoltura: senza entusiasmo l’olio diventa una sostanza grassa, con l’entusiasmo si muta in un alimento prezioso per la nostra salute, oltre ad un prodotto merceologicamente apprezzabile.

Il comparto olio di oliva che non naviga in buon acque, con l’olio extra vergine di oliva divenuto ormai prodotto commodity. Se vi siano soluzioni per cambiare il corso degli eventi. Il discorso olio non è differente, a mio avviso, da altri, medico-sanitario compreso. Il problema del nostro Paese è che tutto deve ruotare intorno a poltrone, nomine, cariche, carrozzoni che non hanno altro interesse che reiterare quanto ha loro permesso di arrivare fino a quel punto. Dunque, bisogna puntare sull’eccellenza, sull’entusiasmo (con cui si arriva prima all’eccellenza): in ambito lavorativo vuol dire arrivare dove altri non sono arrivati o voluti arrivare; in ambito oleario vuol dire avere per sé e offrire ad altri un prodotto non di nicchia – termine che vedo come riduttivo – ma di eccellenza.

A proposito di olio extra vergine di oliva. Al primo posto la qualità o l’origine? Se per origine intendiamo il legame ad un territorio, allora per il mio olio voglio che siano entrambi presenti e paritari, la qualità legata a pratiche agronomiche di alto know-how e la territorialità. Il successo – ancora in sordina ma per fortuna in crescita – dei monovarietali è a mio modo di valutare legato proprio alla compresenza di questi due fattori.

L’olio da olive è un prodotto agricolo. Se tuttavia l’agricoltura è confinata in un ambito di marginalità, se si intravede una possibile occasione di riscatto per tale prodotto. Ripeto, se la marginalità è sinonimo di porta a porta nella strada di casa, credo che non servirebbe neppure il riscatto ma solo un miracolo; se la marginalità diventa invece mezzo di qualificazione – della serie ‘non mi lego a nessuno ma faccio un olio di eccellenza’ – allora diventa sinonimo di imprenditorialità e di reale possibilità di inserimento nei mercati esteri dove anche piccole realtà ma di grande qualità sono particolarmente apprezzate: ad esempio e per esperienza diretta, in Finlandia, paese che si sta convertendo con fatica alla dieta mediterranea e all’olio extra vergine di oliva.

Se si crede nei sogni. Se ve ne sia uno non ancora realizzato e che con ostinazione e instancabile coraggio si insiste nel coltivare. Vedere confermato con la mia coerenza di vita il valore delle idee nelle quali ho creduto e poter dire un giorno a mio figlio: io sono arrivato fino qua, ora tocca a te andare più in là. Nel mio caso sono stato fortunato e, quanto a mio figlio, so fino da ora che questo sogno è già reale.

Se sia possibile realizzare il sogno, o se sia una pura utopia.No. Essendo nato in una realtà contadina, credo che se si semina bene si raccoglie anche bene. Bisogna essere forse anche ottimisti e pensare che, anche se un raccolto delude, è tuttavia alla lunga che si vince.

Ciascuno di noi ha uno o più miti ai quali si affida per un proprio personale punto di riferimento. Quale, quali. Posso dire che, proprio per le mie origini di uomo del Sud, il mio riferimento è la famiglia ed è all’interno di questa che allora come ora ho trovato e trovo i miei punti saldi. Allora, in mio nonno, con il quale ho trascorso i miei primi anni, forse quelli più formativi: è stata infatti la persona che con l’esempio di una forte personalità positiva mi ha trasmesso quei valori su cui ho costruito la mia vita personale e professionale. Oggi, in mia moglie e mio figlio che non hanno lesinato aiuto, amore e presenza nei momenti difficili che nell’arco di una vita non sono mai pochi.

I libri, o il libro, fondamentali nella propria formazione. Ho sempre pensato che la lettura sia una delle migliori possibilità che abbiamo di poter imparare o comunque di arricchirci: non esistono libri brutti o belli, ma tutti hanno una loro utilità, più o meno naturalmente. Non posso quindi dire il libro che è stato fondamentale nella mia formazione, ma molti, moltissimi sono quelli che – magari anche soltanto con pochi concetti – mi hanno arricchito ed aiutato a crescere. Personalmente, non mi sento arrivato, sono ancora in viaggio e avendo ancora molto da imparare leggo e leggo molto.

Se si possa ancora salvare l’Italia. E’ una domanda molto complessa pur nella sua semplicità, soprattutto per chi come me ha cognizione di realtà estere molto diverse dalla nostra, pur con tutti i problemi che bene conosciamo. Ben lungi dall’essere una costatatione qualunquista – perché in realtà non lo è – direi che… Primo: l’Italia andrà a fondo se gli Italiani faranno di tutto per salvare chi ha voluto e vuole tuttora affossarla. Secondo: l’Italia si salverà se gli Italiani manderanno invece a fondo chi ha remato o rema contro. Terzo: la speranza è l’ultima a morire come dice il proverbio, ma io credo – invece – che la speranza vada intesa in maniera pià concreta ed intelligente, nel modo in cui la intende il Pontefice, quando raccomanda di non perdere la speranza, cioè quel coacervo di voglia, di correttezza, di entusiasmo, di altruismo, di capacità, di inventiva che, da sempre, sono nel DNA del popolo italiano.

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