Saperi

Si ritorcono sul mittente i boomerang scagliati dall’erede di Stalin

Pretendendo di imporre alle grandi società del Pianeta di scegliere se stare con l’Occidente o sul fronte opposto, del quale vanta, senza avere ricevuto alcun mandato, i titoli di supremo condottiero, il farneticante despota russo ha ostentato la sicumera che la guerra che ne dimostrava l’incapacità obbligasse a schierarsi nelle proprie file tutti i paesi che al modello delle democrazie occidentali fossero estranei o ostili, una pretesa che un’analisi elementare dimostra priva di qualunque fondamento

Antonio Saltini

Si ritorcono sul mittente i boomerang scagliati dall’erede di Stalin

Due uomini, in imprevista sintonia, hanno radicalmente mutato, in tempi minori a quelli di tre anni, il percorso della storia umana. Nel proprio speech di insediamento, nel mese di febbraio del 2020, quale startpoint del mandato, Joe Biden proclamava che il Globo era diviso, all’inizio del ventesimo anno del secondo Millennio, tra paesi la cui convivenza era fondata sul rispetto della persona, e della sua autonomia di scelte civili, economiche, religiose, e paesi in cui l’autorità di un autocrate, o di un consesso autocratico, cioè non elettivo, obbligava ogni cittadino, indipendentemente dai propri convincimenti, a ottemperare ai comandi di chi detenesse il potere. Implicitamente, ma non per questo meno significativamente, l’asserzione rimproverava ai paesi dell’Occidente, quindi alla propria Nazione e a quelle viventi, sulla sponda opposta dell’Atlantico, in contesti sociali pluralistici, di ignorare l’incombenza della contrapposizione, agevolando gli intenti delle autocrazie di conquistare il dominio del Pianeta.

L’asserzione, formulata con esemplare lucidità, avrebbe potuto costituire tema significativo per gli studiosi di storia delle istituzioni politiche: un altro uomo, emblematicamente signore assoluto di una delle due potenze del campo opposto, si sarebbe premurato di confermare, con chiarezza inequivocabile, agli abitanti del Pianeta, che il teorema del Presidente americano era fondato su prove che il medesimo avversario dimostrava, “sperimentalmente”, necessarie e sufficienti. Invadendo l’Ucraina con un supposto blitz la cui fulmineità avrebbe dovuto scongiurare ogni confronto tra le mille voci dell’opinione mondiale, Vladimir Puntin, autocrate russo secondo il modello di Jossip Stalin, avrebbe scatenato un putiferio planetario il cui protrarsi avrebbe imposto a tutte le parti dello scacchiere internazionale di schierarsi su uno o sull’altro fronte del planisfero bipolare delineato dal successore di Abraham Lincoln.

Come hanno provato i réportages di mille inviati, i fotogrammi di altrettanti cameramen, non si è trattato della guerra decisa da uno stratega geopolitico, ma dell’”operazione speciale” comandata da un laureato (con lode) alla più prestigiosa facoltà di assassinio e tortura dell’Orbe terracqueo, creata da Stalin per competere, alla pari, con il supremo, e speculare, avversario, il geniale creatore del Nazismo. Kgb e Gestapo potevano, senza infingimenti, guardarsi negli occhi: era assolutamente identico che guardarsi allo specchio.

La successione delle operazioni militare è nota a tutti i componenti della società planetaria che fruiscano di servizi radiofonici o televisivi offerti nel rispetto, anche minimale, della realtà degli eventi, infelicemente un privilegio di cui non gode l’umanità intera: ospitando, l’Asia, metà del genere umano, ed essendo esclusa, l’assoluta maggioranza degli Asiatici, dal previlegio, è evidente che moltitudini senza numero da quel previlegio siano escluse. Se gli abitanti del Pianeta viventi in società “civili” hanno potuto seguire, giorno per giorno, l’atroce guerra seguita all’invasione russa dell’Ucraina, della vicenda hanno la piena conoscenza, della qual debbono essere grati ai cronisti che, per informarli, hanno rischiato la vita, in particolare a quelli che nell’impegno la vita hanno sacrificato, ha caratteri del tutto problematici la valutazione delle conseguenze che l’”operazione speciale” del despota russo ha prodotto nelle relazioni tra le parti della società mondiale, sui loro rapporti politici, economici, culturali.

L’Occidente, rappresentato, nel confronto, da due leaders, il Presidente americano e la presidente della Comunità europea, Ursula von der Lyen, promotori di una straordinaria unitarietà di intenti tra le due sponde dell’Atlantico, ha imposto all’invasore sanzioni di rigore senza precedenti nella storia delle relazioni internazionali. L’entourage del despota russo, autentica torma di lacché, ha ripetuto, pedissequa filastrocca, dalla loro promulgazione, che le medesime avrebbero danneggiato chi le sanciva, non chi, secondo i governi occidentali, avrebbero dovuto colpire. Tutte le informazioni disponibili dimostrano, o, per scrupolo assoluto, paiono dimostrare, che l’asserzione costituisca pura menzogna, uno strumento, peraltro, del tutto abituale nella prassi politica leninista. Dopo quattro mesi, si può asserire, dalla violazione, da parte dei tanks “sovietici”, dei confini ucraini, cento elementi paiono dimostrare che la brutalità dell’invasione stia ritorcendosi, senza alcuna pietà, su un invasore privo, oltre che delle capacità che si presupporrebbero connaturali al Duce di una grande potenza, di ogni sentimento umano.

Con suprema tracotanza il despota sovietico ha irriso, a magnificare i risultati della prova di incapacità militare, tutti i connotati, politici ed economici, delle nazioni a governo elettivo: le sue denunce si sono ritorte, sistematicamente, contro chi le proclamava, un effetto boomerang che propone, con straordinaria efficacia, il connotato più singolare della vicenda. L’elenco dei boomerang già recapitati al lanciatore appare, dopo quattro mesi dalla prode invasione, eccezionalmente ampio. Impiego il verbo apparire siccome le notizie dall’interno del pianeta sovietico propongono, data l’assenza di ogni libertà di comunicazione, dubbi molteplici, e impongono di ricavarne giudizi che non possono scongiurare alee e perplessità. Nonostante quelle perplessità, moltiplicandosi, quelle notizie forniscono cento indizi di smacchi sempre più gravi di chi, con assoluta impudenza, ha violato tutte le norme del diritto internazionale, norme inviolabili, dopo gli scontri millenari, per le società dell’Occidente, pure enunciazioni verbali per i nipotini di Karl Marx.

In primo piano, nel novero dei boomerang già recapitati al mittente, il decadimento planetario del prestigio del despota russo. Vladimir Putin si è proposto, sfidando l’Occidente, quale alfiere del mondo che alla civiltà occidentale si reputa estraneo, o avverso. Pretendendo di imporre alle grandi società del Pianeta di scegliere se stare con l’Occidente o sul fronte opposto, del quale vanta, senza avere ricevuto alcun mandato, i titoli di supremo condottiero, il farneticante despota russo ha ostentato la sicumera che la guerra che ne dimostrava l’incapacità obbligasse a schierarsi nelle proprie file tutti i paesi che al modello delle democrazie occidentali fossero estranei o ostili, una pretesa che un’analisi elementare dimostra priva di qualunque fondamento. Paesi dal ruolo planetario indiscutibile possono essere considerati, senza alcun dubbio, estranei, se non avversi, all’Occidente: nessuno, nella loro schiera, avrebbe mai immaginato di affrontare, contro l’Occidente la suprema sfida “all’o.k. Corral”. India, Brasile, Indonesia, non avevano, palesemente, alcun interesse a infrangere una convivenza quanto si voglia fondata sull’opportunità: nell’emisfero occidentale potevano contare su mercati sempre recettivi, e sicuramente solvibili, su un sistema finanziario costituente, tra New York e Frankfurt, il più efficiente apparato del Pianeta per prestiti e pagamenti internazionali, le relative classi dominanti potevano iscrivere i propri rampolli alle università più prestigiose del Globo, recarsi in visita a musei e gallerie che, magistralmente ordinati, raccolgano mille testimonianze sulle tappe successive della vicenda umana, con il complemento, dopo ogni visita, del banchetto nei ristoranti più sontuosi della sfera terrestre. Mercati sempre recettivi per i propri prodotti più costosi, meta di un turismo dalle cento attrazioni, i ceti medi di paesi collocati a tutte le combinazioni tra latitudine e longitudine non avevano alcuna ragione per auspicare, come avrebbe preteso la copia farsesca di Pietro il Grande, il definitivo annientamento dell’Occidente. Di cui la Cina auspicava, senza infingimenti, la sottomissione politica e la soggezione economica, certamente non la totale distruzione.

Il secondo, tra quei boomerang, l’esclusone della Russia neo-sovietica, dallo scenario economico internazionale. E’ stato l’esito delle sanzioni concordate, verso il presunto impero di Putin, dalle democrazie occidentali. Il teatrante russo ha ripetuto, mille e mille volte, che quelle sanzioni avrebbero danneggiato chi le decideva, non il paese che sarebbero state destinate a colpire. Fedele ad una delle regole capitali della gestione leninista del potere, il boss sovietico mentiva. La più clamorosa, nell’antologia delle sue menzogne, si sarebbe rivelata proprio l’asserzione che esse avrebbero neppure sfiorato l’economia, e la vita economica, entro i confini dell’ impero creato da Stalin. Seppure il gande burattinaio potesse vantare, infatti, la prodigiosa risilienza del valore della moneta russa, il rublo, a tutti gli esperti di equilibri monetari era assolutamente palese che il prodigio non consistesse che nelle capacità di prestidigitazione della banchiera cui Putin ha affidato le sorti monetarie del proprio impero, cui era possibile, con espedienti furbeschi, sostenere il valore nominale di una moneta priva, sui mercati mondiali, di qualunque rilievo, espedienti che rivelavano la propria natura nella misura dell’inflazione seguita, nell’Impero rosso, alle imprese guerresche del leader, un’inflazione che fornisce, contro tutti gli escamotages pubblicitari del Duce, la misura matematica della tenuta del rublo dopo l’assalto banditesco all’Ucraina. E al rilievo monetario possono aggiungersi cento indizi di un autentico tracrollo della vita economica e civile: dalla catastrofe del mercato dell’automobile a quella delle bibite gasate, che l’Impero di Putin non sarebbe più in grado di offrire ai sudditi per l’assenza, nel medesimo impero, di impianti in grado di produrre il più banale dei composti chimici, l’anidride carbonica.

Il terzo, tra i boomerang già rispediti al Cremlino, la percezione, sulle sponde opposte dell’Atlantico, della minaccia incombente sulle società a regime parlamentare, una minaccia che il Presidente americano aveva denunciato, nello storico speech, con crudo realismo, che cento e cento affaristi occidentali non avrebbero, prima dell’”operazione speciale” in Ucraina, mai riconosciuto: i vantaggi dell’assunzione di un ruolo significativo nei rapporti commerciali con il paese più ricco, sul planisfero, di risorse minerarie, dal gas all’oro, erano tali da impedire qualunque riflessione geopolitica. Una minaccia che la riflessione più banale induceva ad estrapolare, moltiplicata per 100/200, alla Cina, che solo in Italia vanta un’autentica torma di clientes che, destinatari di munifiche elargizioni, non ostentano la sudditanza, ma agli ordini dell’ambasciata cinese sono pronti ad avvelenare la mamma. Valga, tra, tutti, la molteplicità dei legami stabiliti, con i mandarini che hanno rinnegato Confucio per dichiararsi devoti di Marx, dal grande rigattiere di tutti gli assets italiani che potessero interessare gli affaristi di qualunque nazione, di ogni fede politica e credo economico, purché in grado di pagare in dollari.

La percezione del pericolo ignorato, per decenni, come si rimuove, al risveglio, il ricordo di un incubo notturno, ha indotto l’intero Occidente ad un’autentica corsa al riarmo, con un accrescimento generale delle spese per il potenziamento degli eserciti: esemplari, a proposito, le dichiarazioni del neonominato Capo di stato maggiore dell’esercito britannico, che ha proposto l’essenza del proprio programma di lavoro nella necessità di preparare l’esercito dell’Union Jack ad una possibile guerra “di terra” nel cuore dell’Europa. Del tutto consentanea la decisione dell’accrescimento del bilancio della difesa della Germania, di cui i russi conoscono la capacità, tecnologica e industriale, di produrre carri armati le cui colonne non si arresterebbero mai, come quella, che passerà alla storia, dei tank di Putin, immobilizzata sulla rotabile per Kiev, carri armati, quelli tedeschi, che, dal tempo del cancelliere Adenauer, sono progettati per attraversare la Vistola, il fiume maggiore tra Berlino e Mosca, sul cui corso un raid aereo potrebbe distruggere tutti i ponti, come autentici mezzi subacquei. L’opinione pubblica planetaria è stata allietata, unica vicenda amena di una guerra orribile, dal recupero, da parte ucraina, di un blindato russo affondato, prova delle capacità dei ragazzini russi coscritti con la violenza, in mare, universalmente definito il “carrarmato subacqueo” di Putin. Paradossalmente gli ingegneri militari tedeschi sono in grado di progettare tank capaci di attraversamenti subacquei, tank di cui le fabbriche germaniche sono pronte a produrre tante unità quante nessuna industria sovietica potrà mai vagheggiare. Una scelta, quella tedesca, nella quale lo kzar Vladimir può vantare il diapason delle insensatezze moltiplicate immaginando che una superpotenza dal Pil inferiore a quello italiano possa sfidare, assumendo la leadership di mezzo mondo, l’intero Occidente, che del mondo non è più, come era nel millennio concluso, l’incontrastato padrone, che possiede, tuttora, risorse superiori a quelle di un impero incapace di produrre gazzose.

Il quarto dei boomerang già recapitati, certamente non previsto dal tiranno leninista, né preventivato dalle cancellerie occidentali, che non hanno mancato di stupirsi dell’esito straordinario del proprio sostegno all’Ucraina, l’evidente inizio di sfaldamento dell’impero sovietico, le cui cento componenti, conquistato, al tracollo dell’Urss, un embrione di autonomia, politica ed economica, hanno riconosciuto, nella palese volontà di totale soggezione del più importante tra i satelliti loro pari, il proprio destino, e che dalla constatazione hanno desunto la necessità, assolutamente ineludibile, di infrangere i vincoli di dipendenza dalla Russia, vincoli accettati, dati i rapporti di forza, fino a quando hanno consentito una, seppure condizionata, autonomia, inaccettabili dopo che la Russia ha dimostrato, in Ucraina, l’intolleranza, ai propri confini, di qualunque possibile forma di indipendenza, una dimostrazione di cui l’intero scacchiere dei paesi semiautonomi alla periferia orientale dell’Impero ha immediatamente percepito il significato: la volontà di annullamento, da parte del Kremlino, di ogni parvenza di autonomia, trasformando i sudditi in schiavi.

Dalla cruda assunzione di consapevolezza ha preso vita un moto verso l’indipendenza che sarà arduo che il sultano di Mosca, che ha affrontato propositi superiori alle proprie forze tentando di imporre il proprio arbitrio ad un solo paese, possa reprimere nella molteplicità di nazioni alle quali l’assalto all’Ucraina ha imposto la certezza che, soggiogato il paese sulle coste del Mar Nero, l’esercito del despota, inefficiente ma capace di ogni bestialità, si sarebbe impegnato a reprimere ogni illusione di autonomia dalle rive del Caspio alle vette del Caucaso. Seguendo l’esempio fornito dall’eroico leader ucraino, i paesi minacciati hanno intrapreso, simultaneamente, le procedure di adesione all’Unione Europea, che è sodalizio politico ed economico, non militare, la cui Magna Charta prevede, comunque, il supporto comune in caso di minaccia dall’esterno, ciò che significa, come ha dimostrato, inequivocabilmente, il caso ucraino, l’intervento della comunità Nato, quindi degli United States, un complemento di cui, perfettamente consapevoli delle relazioni tra il proprio padrone e gli U.S. nel corso della Guerra fredda, nessuna delle repubbliche che costellano le pendici del Caucaso ignora il rilievo.

La molteplicità dei nuovi aspiranti all’indipendenza appare del tutto sproporzionata alle forze esauste di una Russia privata, con le sanzioni occidentali, di una quota ingente della propria capacità di reazione. La prima conseguenza del moto collettivo verso l’indipendenza si è rivelata nella corale richiesta di ammissione all’Unione Europea, la seconda, di rilievo geopolitico equivalente, nell’interesse dimostrato, per il moto di libertà sul fianco orientale dell’impero di Putin, dalla Germania. Il titano economico europeo ha mostrato tutta la reticenza a seguire l’appassionato impegno per l’indipendenza ucraina della signora connazionale che si è rivelata, nella contingenza, grande statista, Ursula von der Lynen, che, alla presidenza dell’Unione Europea, ha impegnato tutta l’intelligenza e tutto il vigore di cui è capace uno spirito teutonico per fare delle risorse, umane e finanziarie, dell’Unione, un blindato d’acciaio a sostegno dell’Ucraina: i legami economici stabiliti, tra il proprio paese e la Russia, da Angela Merkel, per lunghi anni oggetto di una venerazione internazionale dissolta dalle follie dell’integerrimo partner economico della Signora, Herr Putin, hanno impedito al successore del genio politico tramontato di aderire con autentica lealtà all’impegno della deutsche presidente dell’Unione. Il medesimo cancelliere Scholz ha dimostrato, peraltro, il più pronto interesse all’ingresso nell’Unione dei nuovi renitenti al dominio, in salsa ottomana, del Kremlino.

La ricerca delle motivazioni dell’atteggiamento di Berlino suggerisce un’ipotesi il cui prendere corpo concretizzerebbe la conseguenza più rilevante, in termini di rivoluzioni geopolitiche, del delirio di onnipotenza dell’erede di Lenin: un’area che non è eccessivo definire imponente, dell’impero russo si trasferirebbe entro i confini dell’Unione Europea. In termini politici ed economici sarebbe l’esito più travolgente della guerra d’Ucraina: decine di milioni di cittadini del Pianeta conquisterebbero la dignità personale che un regime comunista avrebbe sempre negato loro, la Germania potrebbe realizzare il sogno ancestrale del Drag nach Oest, la conquista dello spazio economico ad est del Mar Nero, proposito secolare della filosofia politica germanica, una conquista che, perseguita nel contesto politico dell’Unione Europea, onorerebbe tutti i canoni della parità politica e sociale. Ne beneficerebbero, palesemente, entrambe le parti: l’apertura, a sud del Caspio, di filiali della Mercedes, della Basf e della Bayer assicurerebbe ai nuovi membri dell’E.U. opportunità di lavoro, l’accesso dei propri futuri dirigenti aziendali agli atenei tedeschi, procedure amministrative, televisione giornali di stile occidentale, con tutte le riserve, delle quali è consapevole ogni cultore di scienze politiche e sociali, quanto di meglio, realisticamente, possa auspicare, per chi pretenda l’assoluta obiettività, di “meno peggio” una società umana possa offrire ai propri membri: rispetto alla società dei despoti dediti all’assassinio e protesi ad assicurarsi ville, yachts e assets in miliardi di dollari, giocombre perfette, mutatis mutandis, dei mogul musulmani che sottomisero l’India, considerata terra di reprobi insensibili alla dottrina del Profeta, pronti a trasformare in poltiglia, sotto le zampe degli elefanti imperiali, migliaia di miserabili che chiedevano una ciotola di riso, un altro mondo.

In apertura, opera di Maurizio Anzeri, “Giochi per un Principe” [particoloare], Palazzo Reale, Milano, settembre 2016; foto di Olio Officina ©

TAG:

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia