Saperi

Sottomissione

Il romanzo di Michel Houellebecq pone una serie di problemi ai quali non possiamo sottrarci e che meriterebbero tutti una approfondita discussione. Per una serie di giochi politici strani, viene eletto un presidente della Repubblica di fede musulmana. Da allora, le cose cominciano a cambiare, soprattutto nel campo dell’educazione e dell’università. La stessa figura di Cristo male si coniuga con l’idea di un Dio assoluto e sovrano, patrimonio indiscutibile per il credente musulmano. Meno ancora convince quel Cristo troppo umano e femminile, circondato da troppe donne e troppo misericordioso

Sante Ambrosi

Sottomissione

Il romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione, edito in Italia da Bompiani, pone una serie di problemi che meriterebbero tutti una approfondita discussione. Prima di tutto l’idea dell’affermazione politica del mondo musulmano nei nostri paesi, una presenza che già c’è, ma completamente dispersa. Con molta probabilità Houellebecq ha ragione nel dire che non solo in Francia, ma anche nel nostro paese, da presenza dispersa in mille rivoli e in mille moschee, più o meno ufficiali, diventerà una presenza anche politica. A quel punto il confronto dovrà essere molto impegnativo su molti temi sociali ed etici. Io non voglio soffermarmi sui tanti temi che il romanzo espone, con argomentazioni non sempre convincenti, ma certamente realistiche. E’ certo che tutta l’Europa si sente sotto assedio, come dice bene il titolo dell’ultimo libro di Massimo Franco, L’ assedio. Come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidiana. Lasciamo ad altre occasioni le discussioni sul concetto di famiglia, sui problemi etici vari che la cultura islamica è portatrice per concentrarci su un tema centrale, individuato ampiamente dal romanzo nella parte finale.

Nell’ipotesi del racconto, nel 2022 in Francia, per giochi politici strani viene eletto un presidente di fede musulmana. E allora le cose cominciano a cambiare, soprattutto nel campo dell’educazione e dell’università. Qui si inserisce un dialogo importante tra il personaggio chiave del romanzo, un certo Francois e il nuovo rettore Robert Rediger. Soffermiamoci sulla critica centrale del nuovo rettore. Egli loda il professore per le sue ricerche che apprezza moltissimo, ma deve dire che, appunto, l’autore di cui è grande esperto, Huysman, rappresenta la decadenza della cultura occidentale. E non a caso cita Nietzsche, che in tutte le sue opere, dalla Gaia Scienza a Così parlò Zaratustra fino all’Anticristo aveva annunciato tale morte ,già in corso nel mondo cristiano europeo. Sarebbe da vedere come la cultura del tempo e, soprattutto la teologia, ha reagito a tali annunci , ma non è il nostro compito soffermarci su temi che esulano dai nostri obiettivi che ci siamo proposti in questa breve discussione. Torniamo, dunque al ragionamento che stavamo facendo.

Il nuovo rettore, che si è convertito alla religione islamica, sottolinea alcuni concetti chiave: come ha detto Nietzsche, il Dio dell’Occidente è morto e morte sono la cultura e le vecchie strutture democratiche. Naturalmente, su questo tema, il nuovo rettore può portare a suo conforto un’ampia letteratura e buona parte dell’arte in tutte le sue manifestazioni, che dalla fine del secolo decimo nono ad oggi non hanno fatto altro che convalidare, approfondire ed analizzare le conseguenze che si possono individuare in tutti i campi della società e della cultura, non esclusa la stessa teologia.

La domanda che ritorna in diversi passaggi del suo ragionamento è semplice, ma non banale e scontata: si può rispondere a questa decadenza che sembra inarrestabile? E soprattutto, come e chi è in grado di offrire una risposta concreta e valida? Rediger, il nuovo rettore dell’Università, è convinto che solo l’Islam, e la sua proposta religiosa e sociale sono l’unica proposta valida, capace di un profondo rinnovamento anche sul piano umano e sociale per l’intera Europa. Prima di tutto contesta l’idea strana dell’Incarnazione del Dio, cosa impensabile per la teologia del Corano. E poi, aggiunge, anche la stessa figura di Cristo male si coniuga con l’idea di un Dio assoluto e sovrano, patrimonio indiscutibile per il credente musulmano. Meno ancora convince quel Cristo troppo umano e troppo femminile, circondato da troppe donne e troppo misericordioso. E Rediger si rifà esplicitamente alle stesse critiche che troviamo nelle opere di Nietzsche.

Per questi motivi un dialogo vero tra le due religioni non sono pensabili se non a livello di una tolleranza tra nemici ideologici. Così sembrerebbe la posizione contenuta nell’ultima parte del romanzo Sottomissione.

COME RISPONDERE

Dobbiamo essere sinceri: è inutile che copriamo con facili sentimenti di tolleranza i punti cardine del pensiero islamico , cercando di trovare qua e là motivi di concordanze su molti valori, sia religiosi che umani, che sono certamente presenti nella vita e nelle espressioni religiose del musulmani. Certamente molti musulmani vivono un rapporto di fede che deve essere riconosciuto come un valore indiscutibile: la preghiera giornaliera, la partecipazione alle loro liturgie, e quel rapporto di sottomissione verso il loro Dio, sono valori indiscutibili, che non dobbiamo misconoscere . Ma dobbiamo riconoscere che la sostanza fondamentale che caratterizza il concetto di Dio e della salvezza sono profondamente diversi e distanti dall’idea di Dio e della salvezza del cristianesimo.

Per il cristiano punto centrale è la verità tenacemente conquistata attraverso la Rivelazione che parla di un Dio padre di tutti, credenti e non credenti, di Dio come Verbo e Spirito che non solo sono all’origine del mondo, ma che sono dentro il mondo. Il nostro Dio si immerge nel mondo e nell’uomo al punto da condividere anche la storia drammatica di una crescita in continua evoluzione. Allah, dell’Islam, è profondamente diverso dal Dio cristiano. Così impostato il discorso teologico, sembra impossibile un dialogo vero. Ci possono essere scambi culturali, come da sempre ci sono stati (pensiamo al periodo medievale che ha influenzato lo stesso Dante), scambi soprattutto commerciali, ma il loro Dio è profondamente diverso da quello cristiano.

Su questo punto possiamo forse azzardare una proposta: perché non riconoscere che anche il loro modo di concepire Dio, un Dio totalmente altro, non possa essere riconosciuto da una teologia cristiana che crede in un Dio trinitario. In fondo di Dio sappiamo molto poco e forse quella intuizione di Niccolò Cusano che pensava Dio come ”coicidentia oppositorum”, potrebbe essere ripensata perché contiene delle intuizioni estremamente valide ed utili per impostare correttamente un dialogo costruttivo anche con una cultura tanto diversa dalla nostra. Forse tornando ai grandi pensatori e filosofi del Cinquecento, tra cui dobbiamo mettere anche Keplero e Giordano Bruno, possiamo trovare la chiave per interpretare il futuro di una cultura plurale in tutti i sensi. Se l’impostazione teologica si fonda sul riconoscimento della validità e l’utilità dei diversi modi di pensare e pregare il proprio Dio, le diversità possono diventare sponde utilissime per non cadere in facili assolutismi teologici, che non sono solo caratteristica dei musulmani, ma anche di un certo cristianesimo, almeno nel nostro passato storico. Ma più ancora può diventare un arricchimento reciproco. Se pensiamo e lavoriamo in questa direzione i grandi flussi migratori potrebbero diventare un grande opportunità per tutti senza chiedere sacrifici a nessun credente, cristiano, islamico, ma anche buddista o induista. Il futuro potrebbe essere più interessante delle nostre paure.

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