Saperi

Squarci di cultura nelle nostre radici contadine

Un libro di Mario Romeo, Lu monn scappa. Lirici greci in Gallo-Italico, pubblicato da Rubbettino, ci fa riflettere sul senso profondo del linguaggio. I dialetti sono elementi costitutivi delle comunità, ed è da questi che bisogna partire per entrare nel tessuto vivo della società. I dialetti non sono soltanto meri mezzi comunicativi ma anche depositi viventi di saperi esperienziali e di culture popolari

Alfonso Pascale

Squarci di cultura nelle nostre radici contadine

Ho gioito quando mi è arrivata l’edizione del tutto nuova del libro di Mario Romeo Lu monn scappa. Qualche giorno prima, avevo poggiato su una pila di volumi la prima e unica edizione del 1989. Saverio mi aveva, infatti, mandato un messaggio per preannunciarmi l’arrivo della nuova pubblicazione. E così mi ero messo a cercare il vecchio libro per sfogliarlo con la devozione che si riserva alle cose che contano. Ora stanno uno accanto all’altro sul tavolo. Quello un po’ sgualcito, edito dalla casa editrice Il Salice, ha come sottotitolo Lirici greci in dialetto picernese. Il nuovo l’ha pubblicato Rubbettino con il sottotitolo leggermente modificato: Lirici greci in Gallo-Italico. Solo le traduzioni e i testi poetici di Mario sono rimasti intatti. Il resto è tutto rinnovato. Hanno curato e prefato il volume i figli dell’autore, Annalisa e Saverio. Nicola De Blasi, professore di Linguistica italiana presso l’Università Federico II di Napoli, ha scritto una presentazione che riprende solo in piccola parte il testo introduttivo del 1989. Mentre la nota di Patrizia del Puente, direttrice del Centro Internazionale di Dialettologia (CID), e il saggio critico di Donato Loscalzo, professore di Lingua e Letteratura Greca presso l’Università di Perugia, sono inediti. Infine, il testo di Franco Fanciullo Tornando sulla posizione dialettale di Picerno contiene diverse modifiche rispetto alla versione di trentacinque anni fa. Ed è lo stesso studioso a spiegarcelo: “Trentacinque anni non sono pochi e le idee, col tempo, possono ben cambiare – se poi in meglio o in peggio, questo è un altro discorso”.

Ho conosciuto Mario quando era sindaco socialista di Picerno e presidente della Comunità Montana del Marmo-Melandro. E ho vivo il ricordo del suo modo appassionato e rigoroso con cui svolgeva l’attività politica. Docente di Italiano e Latino nei licei, Mario pensava anche lui, come il mio professore di Storia e Filosofia, Michele Padula, che la politica senza la cultura fosse sterile e la cultura senza la politica fosse impotenza. C’era un nesso stretto tra le sue opere letterarie e storiche, la sua attività didattica e il suo impegno politico e amministrativo. E tale interazione era così forte e vitale da influenzare una generazione di politici e amministratori, impegnati, tra gli anni Settanta e Novanta, nella valle del Marmo-Melandro in Basilicata. Eravamo, infatti, vivamente interessati ai dialetti, non per indulgere alla nostalgia ma per accompagnare il cambiamento. E questa passione ce l’aveva trasmessa Mario, che era un cultore non superficiale della materia. Aveva svolto, infatti, studi etnolinguistici molto approfonditi al di fuori dell’ambito accademico ed era in contatto con studiosi ed esperti di rilevanza nazionale. Egli ci aveva insegnato che i dialetti erano elementi costitutivi delle comunità. E siccome per noi la funzione della politica era quella di rendere partecipi le comunità nei processi di sviluppo, ci eravamo convinti che i dialetti non andavano considerati meri mezzi comunicativi ma anche depositi viventi di saperi esperienziali e culture popolari.

Mario aveva stabilito un rapporto di forte amicizia con Maria Teresa Greco, di famiglia titese ma nata e vissuta a Napoli, anch’essa insegnante di Italiano e Storia nelle scuole medie superiori. La docente si era laureata nel 1959 in Lettere classiche presso l’Università partenopea con la tesi Monografia sul dialetto di Picerno. Nel 1984 Mario aveva convinto Maria Teresa a pubblicare la sua tesi di laurea. La professoressa aveva così ripreso i suoi amati studi di dialettologia nei comuni di Picerno e Tito. È interessante notare, scorrendo la sua autobiografia, l’accenno all’impegno politico, tra il 1975 e il 1980, come segretaria di sezione di un piccolo partito e all’utilità di quella esperienza nel condurre, successivamente, le sue ricerche sui dialetti. Anche in lei, come in Mario, si realizzava un legame inscindibile tra ricerca sociolinguistica, attività didattica e partecipazione politica. E noi che ci relazionavamo con entrambi ne restavamo affascinati.

In quegli anni, era scomparso il dialettologo tedesco Gerhard Rohlfs. Il quale era stato il primo a individuare molte somiglianze tra la lingua parlata nei comuni di Picerno, Tito, Potenza, Pignola, Vaglio e Trecchina e alcuni dialetti settentrionali. Egli aveva classificato il nostro idioma come Gallo-Italico. Mario conosceva perfettamente le opere dello studioso. E aveva proposto a De Blasi, Di Giovine e Fanciullo, che all’epoca insegnavano, rispettivamente, Storia della Lingua Italiana, Dialettologia e Glottologia presso l’Università di Basilicata, di curare la parte scientifica di un convegno in memoria dello scomparso. L’iniziativa intitolata Le parlate lucane e la dialettologia lucana si era svolto a Potenza e Picerno il 2 e 3 dicembre 1988, con il patrocinio dell’Amministrazione comunale di Picerno, che si era accollata una parte delle spese e tutti gli aspetti organizzativi.

Lu monn scappa fu pubblicato in quel contesto.  L’anno successivo usciranno il Dizionario dei dialetti di Picerno e Tito di Maria Teresa Greco e gli atti del convegno in onore di Rohlfs. E nove anni dopo, si aggiungerà un’altra opera poetica di Mario, Voci e Ritratti, con un cospicuo numero di composizioni scritte in dialetto.

Quando lessi la prima volta le traduzioni di Mario, immediatamente ebbi la chiara percezione di trovarmi dinanzi ad un’opera unica. Una percezione riconfermata a seguito della rilettura dei testi. La singolarità stava nel fatto che il mondo rappresentato nei versi non fosse né specificamente quello greco antico né quello picernese ma il millenario mondo contadino di questo pezzo di pianeta, la cui eredità si può ritrovare in ogni angolo del Mediterraneo.

Nei testi ci sono consigli da ricordare: ad esempio, scegliere, in occasione di banchetti e bevute, un posto accanto ad un uomo saggio (“quanta còsᵉ tᵉ mparᵉ! / e tturnᵉ ncasa tòja / pᵉ nu guaragnᵉ”). Oppure rispettare l’amico anche quando sbaglia, comportarsi bene sia con “ggèntᵉ furastiérᵉ” sia con “ggèntᵉ rᵉ lu paìsᵉ”, non essere precipitoso, malvagio, violento, ma giusto, onorato e far bene agli altri, essere misurato quando si parla degli altri, amare l’allegria di una tavola imbandita “nzèmm’a ttanta bbon’amicᵉ”.

Ci sono anche pensieri su cui riflettere: “ma ghe righᵉ ca la cosa cchiù bbèlla / è quédda ca sᵉ vòlᵉ bbè”; “si rì quéddᵉ ca vuiᵉ, / t’aia spᵉttà ca t’anna rì / quéddᵉ ca nun bujᵉ”. Ci sono considerazioni sulla morte, sull’amore e “sov’a lu tèmpᵉ amarᵉ rᵉ la vita”.

Ebbene, questi sprazzi di antica saggezza continuano inconsciamente a vivere dentro di noi. E in un mondo come quello attuale, in cui le relazioni sociali sembrano rarefarsi, il pensiero esaurirsi e la partecipazione politica scomparire, questi squarci di cultura nascosti nelle nostre radici si possono sempre rinverdire. E così, mentre “lu monnᵉ scappa”, affrontare, più consapevoli e forti, le sfide del presente e del futuro.

La poesia è per Mario il mezzo per rigenerare e attualizzare quell’antica cultura. Lo dice in un brano di Scriv vèrs: “M’aggᵉ misᵉ a scrivᵉ vèrsᵉ / pᵉ ppenzà ca nun basta avè / la forza e lu puterᵉ / p’addrᵉzzà /quarchᵉ ccosa rᵉ stu mònnᵉ / si po’ la ggènta nun sᵉ guarda nfaccia”. Per questo il libro è prezioso soprattutto oggi che quella modernità, a cui Mario guardava con preoccupazione, è già alle nostre spalle e un’era nuova è all’orizzonte. Invito tutti a leggerlo, specie i giovani.

Mario Romeo, Lu monn scappa, Lirici greci in Gallo-Italico, Rubbettino 2025

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