Saperi

Trent’anni senza Enrico Berlinguer

Ha sempre avuto un’attenzione particolare per l’agricoltura e per le campagne, scegliendo i dirigenti più prestigiosi alla guida della sezione agraria del Pci. Nei discorsi non mancava mai un riferimento alla politica agricola, senza mai usare espressioni retoriche. Fu lui a volere il socialista Giuseppe Avolio alla testa della Confcoltivatori

Alfonso Pascale

Trent’anni senza Enrico Berlinguer

Trent’anni fa moriva Enrico Berlinguer, mentre stava concludendo un comizio elettorale a Padova alla vigilia del voto per il Parlamento europeo. Il suo ricordo è ancora vivo nel paese, perché egli segnò, con il suo carisma, una fase drammatica della vita italiana alle prese con la crisi economica, la disoccupazione soprattutto giovanile e l’attacco terroristico.
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Berlinguer e di amarlo come tanti della mia generazione. L’ho amato per il suo carattere schivo e scabro, puntiglioso senza mai essere arrogante, per il suo modo di presentarsi antico e moderno al tempo stesso, umano, autentico, comunicativo. È stato un leader di cui noi che militavamo nel Pci andavamo orgogliosi.

Ricordo la forte emozione che provai al suo funerale. Mi ero appena trasferito a Roma dalla Basilicata per assumere un incarico nazionale nella Confcoltivatori. Con la sua scomparsa si chiudeva una fase turbolenta della vita del paese. E, per molti di noi, anche un capitolo della nostra vita.

Berlinguer ha sempre avuto un’attenzione particolare per l’agricoltura e le campagne, scegliendo i dirigenti più prestigiosi alla guida della Sezione agraria del Pci: da Gerardo Chiaromonte a Emanuele Macaluso, da Pio La Torre a Luciano Barca. Fu lui a volere il socialista Giuseppe Avolio alla testa della Confcoltivatori fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1977.

Nei discorsi del segretario comunista non mancava mai un riferimento alla politica agricola, senza però usare espressioni retoriche, ma andando sempre al cuore dei problemi.
In una relazione al comitato centrale del dicembre 1974, Berlinguer pone l’agricoltura al primo punto di una politica di rilancio dell’economia con queste parole inconsuete per un politico: “Il campo più importante è quello agricolo, anche perché l’agricoltura è forse il settore economico nel quale più che in ogni altro si è realizzata una assurda politica di mortificazione, di dilapidazione di risorse reali e potenziali: abbandono all’incoltura, soprattutto nell’Italia meridionale e centrale, di zone sterminate, distruzione massiccia di una parte grande del patrimonio zootecnico, di quello boschivo, di colture anche ricche (dalla barbabietola ai frutteti); e distruzione, addirittura, dello stesso humus (per ricostruire il quale ci vorranno decine di anni)”.

Berlinguer si preoccupava che l’abbandono dell’agricoltura in vaste aree del paese potesse distruggere le basi stesse della vita. E con espressioni di rara sensibilità politica, culturale e morale richiamava l’esigenza di un impegno prioritario per riporre al centro il settore primario.

Nella foto di apertura l’autore dell’articolo, Alfonso Pascale, in compagnia di Enrico Berlinguer, a Tito, in Lucania, nel gennaio 1981

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