Saperi

Vai e scrivi di loro

E’ da leggere il nuovo libro di Daniele Cernilli. Apre lo sguardo sulla realtà del mondo del vino, ma le stesse riflessioni valgono per il mondo dell’olio, oltre che per tutto il settore alimentare. Basta non incappare nei fanatici. Ciò che conta, è raccontare, informando senza terrorizzare. Che poi è il senso profondo del comunicare in qualunque settore

Luigi Caricato

Vai e scrivi di loro

Si intitola I racconti (e i consigli) di Doctor Wine. Ne è autore Daniele Cernilli, ideatore, insieme a Stefano Bonilli, del progetto Gambero Rosso. Sia ben chiaro, giusto per fare chiarezza: ci riferiamo a quando il Gambero Rosso era il Gambero Rosso: altri tempi, altro respiro.

L’editore del libro è Einaudi, e il volume, fresco di stampa, compare nella celeberrima collana Stile Libero – si tratta tra l’altro del secondo volume di Cernilli per la stessa casa editrice. Così, per certi versi, il nuovo libro di Cernilli è un po’ il seguito di Memorie di un assaggiatore di vini (2006).

Il libro ha una sua orginalità: si suddivide in quattro parti e un epilogo, e lo si potrebbe definire nello stesso tempo un saggio, un memoriale, un manuale e, insieme, una guida. Ci sono infatti tutti e quattro i generi, ma non è un libro disorganico, merito anche dell’autore, che ha la capcità di scrivere in modo da attrarre il lettore, anche quello meno curioso di vini. E, in ogni caso, e lo dico a scanso di equivoci, il libro meriterebbe di essere letto anche se non ci si occupa espressamente di vini. Il motivo: il libro racconta un mondo, quello legato ai prodotti della terra, senza con ciò cadere, come accade di solito, nei toni celebrativi ed evanescenti con cui spesso e volentieri si caratterizza e contraddistingue il settore.

Il libro attrae perché offre una lucida lettura della realtà. Le osservazioni che l’autore riporta sono molto interessanti, e valgono anche per il mondo dell’olio, oltre che, in un senso più esteso, alla grande e affollata giungla che è diventato nel frattempo il mondo dell’agroalimentare.

La prima parte è la più avvincente, almeno lo è stata per me. Si intitola “Uomini, donne e vini” e indaga sulle origini del percorso compiuto da Cernilli. Si parte da Veronelli, talent scout riconosciuto, che ha dato a tanti l’opportunità di iniziare, tra i quali anche lo stesso autore: “Non mi consideravo il suo erede, non mi sono mai tale”, si schernisce. Si prosegue con Angelo Gaja, espressione della borghesia contadina: innovatore, promoter, commerciale nel senso nobile e alto del termine, carismatico. C’è un aspetto che mi sembra giusto evidenziare, a mo’ di lezione per molti imprenditori che mai potrebbero essere paragonati a un imprenditore illuminato come Gaja – e fa bene Cernilli a ricordare questo aspetto nobile di Gaja.
Scrive l’autore: La prima volta che lo andai a trovare mi disse: “Resta qui per qualche giorno, ti do’ la Renault 4 che uso per andare in campagna, e tu girati tutti i produttori che ti pare. Ce ne sono tanti che stanno comimciando a imbottigliare sia Barbaresco sia a Barolo, e sono il futuro di questa zona. Vai e scrivi di loro. Pure di me se vuoi, ma sono loro che hanno bisogno di essere conosciuti. Correva l’anno 1983. Dite un po’ voi se non è un grande personaggio Gaja, fossero tutti così saggi.
Interessante anche il modo di raccontare dell’autore. Così, sempre a proposito di Gaja: Lui si faceva corteggiare, come una bella donna, ma non si è sposato mai con nessuno, attento agli equilibri e anche alla sua indipendenza.
Interessante anche, in chiusura di capitolo, la riflessione di Cernilli, sempre a proposito di Gaja: ha svolto “brillantemente un compito che tanti, pagatissimi funzionari pubblici non sarebbero in grado di fare”.

Avete capito perché il volume è intrigante, perché attraverso anni e anni di esperienza in presa diretta l’autore ha davvero tanto da raccontare. Come per esempio mi sembra giusto riportare la chiudsa di un altro capitolo-ritratto, quello di Prompi, ovvero Silvano Prompicai, con il suo modo di considerare il vino lontano dalla retorica autoreferenziale e dalla gergalità tecnicistiva.
Scrive Cernilli: Piace anche a me sdrammatizzare, raccontare, informare senza terrorizzare. Che poi è il senso profondo del comunicare, in qualunque settore lo si eserciti.

Non poteva mancare, tra i personaggi in evidenza, il “marchese di vino” Piero Antinori: è stato forse la più lucida “testa pensante” del mondo vitivinicolo nazionale. Con il Tignanello – scrive l’autore – era “nato il primo vino realizzato come un progetto, e non frutto di una tradizione familiare o aziendale. Il primo vino moderno in Italia”.

Centrali alcune figure, come per esempio Giacomo Tachis, tanto che l’autore confessa senza alcuna reticenza di aver “imparato di vino più in quelle tre o quattro ore passate con Tachis che nel resto della mia vita”. O Josko Gravner, produttore di vini che all’inizio “scatenarono polemiche e proteste”. Cernilli riporta una sua affermazione, che rilancio: “Avevo solo smesso di fare i vini per il mercato e inziiato a farli perché piacessero a me”.

Ci sono tanti nomi che meriterebbero di essere ciati, ma l’elenco sarebbe lungo. Per questo sarebbe bene leggere il libro. Vale la pena citare Gianni Zonin (“parla poco, e sempre in maniera appropriata”). Scrive di lui Cernilli: Le sue prese di posizione sono molto apprezzate da chi fa vino da professionista, meno dai romantici del vino, ma quest’ultimi non vivono normalmente di quello. A un famoso industriale edile che produceva anche vino e che gli disse: “Io il vino lo faccio buono perché per me è un hobby”, Zonin rispose un po’ seccato: “Beato lei. Io invece lo faccio buono perché ci devo vivere”’. Una lezione di concretezza oltre che di marketing.

La seconda parte si intitola “Inizi ed esordi”, ed è divertente, anche questa tra uk saggio e la memoria, si elencano anche i vari “tipi umani” che si occupano di vino: il primo della classe, il professionista, il criptoalcolista, il contestatore, l’addetto ai lavori e l’immancabile fanatico (“Dopo la seconda lezione del primo corso si sente già un grande esperto. (…) Silenziosi durante le lezioni, diventano delle vere schegge impazzite appena escono dall’aula”). Andando oltre, pagina dopo pagina, le memorie affiorano e chiariscono con il passaggio degli anni aspetti che magari sono stati presi poco in considerazione o non affrontati per varie ragioni, per esempio la storia di Carlin Petrini (ilome Slow Food lo inventò Bonilli) o del Gambero Rosso (l’originale, non l’attuale versione).

La terza parte ha per titolo “Si fa presto a dire vino”, dove si entra in dettagli che sfiorano alle volte la manualistica, ma sempre in una versione narrata. E così si parla di vino “contadino” (partirono tutti contadini: alcuni sono rimasti tali, altri avviarono percorsi che li hanno portati a fare vini più aderenti alle richieste di determinati mercati), “aristocratico”, “borghese” (sono il Tignanello di Antinori, tutti i rossi di Angelo Gaja, molti fra i supertuscans), “industriale” (Nella storia del vino italiano … c’è stata una singolare ma spesso efficace alleanza tra industria e viticoltori. Grandi cantine cooperative hanno fornito le basi per la produzione a grandi gruppi industriali, oppure hanno operato in proprio con una logica industriale. Il caso Tavernello ne è un esempio emblematico…). E si scorre con temi di ampio respiro: vini varietali, deriva acidistica, anidride solforosa, vino nel legno o legno nel vino, delocalizzazione.

Infine, buona ultima, la quarta sezione, intitolata “Trent’anni di assaggi”, laddove i vini vengono raccontati in modo convincente e avvincente. Insomma, un buon libro – dalle quattro anime, di saggio, memorialistica, manuale e guida – che vale la pena leggere. Serve per capire che per affrontare certi temi meglio dare spazio a riflessioni, anziché alle vane parole che si odono e si leggono in giro. Lo stesso vale per il mondo dell’olio, e per il mondo dell’agroalimentare nel senso più esteso e inclusivo del termine.

La foto di apertura, di Luigi Caricato, ritrae un quadro esposto al Moma di New York

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