Vite parallele e direzioni opposte
Le vicende e le persone si ripetono. Si identificano gli stessi comportamenti e le figure tornano ciclicamente, in ogni punto del pianeta. Così la storia, in qualche modo, è destinata a proporre continue immagini che si susseguono da sempre
L’avventura intrapresa da un despota leninista per dare inizio alla ricostruzione dell’impero di Jossif Stalin, il cui ricordo, quale conquistatore dell’intera Europa centrale, trionfo che lo avvicinò alla gloria di chi vantò che “sul suo impero non tramontava mai il sole”, lo investiva travolgendolo in crisi paranoiche che placava solo la visione del filmato della tortura di un oppositore nei sotterranei della Lublianka, ha animato, sulla stampa e nella pubblicistica storico-politica, il dibattito più infuocato, e riflessioni non estemporanee sul radicale abisso, civile, culturale, economico, che separa le società dell’Occidente dalle tirannie dell’Oriente.
Riflettendo su quel divario chi scrive è giunto alla constatazione che la differenza capitale debba essere identificata nelle matrici di due filosofie etiche e politiche prive di qualunque punto di contatto: la prima costituita dal legato del Cristianesimo e da quello dell’Illuminismo, dichiaratamente opposto seppure del Cristianesimo ricalcasse un valore capitale, la dignità inviolabile della persona umana, la seconda nata dal Manifesto di un fanatico che proclamò che per instaurare, tra gli uomini, l’assoluta eguaglianza, fosse necessario imporne la schiavitù collettiva, sotto il dominio di un vertice di despoti, rigorosamente non elettivi, che sulle plebi in catene esercitasse il proprio, insindacabile potere. Genialmente, Eric Arthur Blair, in arte George Orwell, suggerì di attribuire quel potere ad un onnipotente, e onnipresente, Grande Fratello, nel romanzo di cui la Bielorussia, retrobottega dell’impero di Putin, ha provveduto, autentico revival della deprecata “caccia alle streghe”, a sequestrare, nelle biblioteche e nelle soffitte del felice paese, tutte le copie per darle alle fiamme nella Piazza Rossa della capitale.
L’autore di questa paginetta è pervenuto all’enunciazione constatando che nelle società occidentali, tra mille contraddizioni, non di rado clamorose, i valori essenziali della cultura europea sono oltremodo difficili da eradicare.
Vicenda emblematica, l’inarrestabile carriera del cavalier Berlusconi nel proprio sciagurato Paese, una carriera nel segno dell’interesse privato, fondata, con accortezza satanica, sulla diffusione dell’ottundimento, o instupidimento, attraverso la televisione, dell’intera plebe nazionale, un obiettivo che se non totalmente raggiunto, ha conseguito risultati di sicuro, difficilissimo, annullamento.
Nonostante i successi del sodale italiota del despota delle Russie, i valori essenziali di una coscienza in cui restano iscritti, magari in forma subconscia, i caposaldi di una civiltà fondata su assiomi etici, giuridici e religiosi, radicati in lunghi secoli, non sono stati cancellati: quando, per la benignità dell’Onnipotente, all’Italia è stata assicurata la guida di un uomo altrettanto lungimirante quanto moralmente integerrimo, paladino dei valori fissati dalla Costituzione, la parte non completamente instupidita della Nazione ha reagito positivamente, confermando che a quei principi, magari relegati nel subconscio, non aveva abiurato.
Ha confermato, a chi scrive, la fondatezza dell’assioma, la lettura di due biografie, che confutano, inequivocabilmente, la dignità etica della carriera di due protagonisti della tragica vicenda che ha scosso il Mondo.
Mentre lo scontro, da una parte del fronte, é condotto da un autentico mostro di crudeltà, convinto, dagli studi alla più prestigiosa accademia dell’assassinio del Pianeta, che il potere debba essere fondato, e consolidato, ogni giorno, dallo spietato impiego del terrore, inculcato con la detenzione in condizioni disumane, la tortura, lo stupro, di qualunque oppositore o oppositrice, era animato, dall’altra, da personalità politiche che chi scrive era indotto a considerare intemerati osservanti delle regole di una società fondata su principi etici inviolabili: nessuna supposizione avrebbe potuto rivelarsi, a che si sobbarcasse esami biografici rigorosi, più infondata: le biografie di due dei capitani che conducono le schiere occidentali impegnate al trionfo del diritto internazionale, dello scambio culturale, dell’imparzialità dell’azione degli organismi internazionali, propongono vicende che dimostrano entrambi essere giunti ai posti dai quali guidano la drammatica guerra usando le tattiche dei più spregiudicati arrivisti.
Ursula von der Lyen, la leonessa che ha saputo conservare, e consolidare, la compattezza dell’Europa e la sua coesione con gli Stati Uniti, evento straordinario dopo almeno cinque decenni di diffidenza, sotterranea slealtà, meno sotterranei ricatti economici, presenta una biografia di cui Google annovera, impietosamente, le tappe, dalla tesi in medicina, frutto di un epico plagio, sepolto nell’oblio usando mezzucci assolutamente indecorosi, alle cento e una prodezze di prodigiosa funambula, parlamentare e amministrativa, tra i due partiti tra i quali si dividono gli elettori teutonici, fino alla presidenza dell’Unione Europea, verosimilmente conquistata, incantatrice di serpenti, ammaliando, uno ad uno, in occasione delle sedute a Bruxelles, un ministro degli esteri belga, uno delle finanze olandese, uno dell’agricoltura italico, verosimilmente, per la “levatura” intellettuale del meschino, l’allocco di più facile cattura.
Del tutto parallela alla carriera di Frau Ursula deve riconoscersi quella di Luigi Di Maio, per ingigantire il numero dei devoti pronto ad affondare il bilancio statale, l’obiettivo assolto con il varo del “reddito di cittadinanza”, l’elargizione a favore di tutti gli italioti che aborrissero, nella lingua dell’ideatore, il fatigà, gli stulti il numero dei quali il versetto biblico proclama essere infinitus.
Due biografie esemplari, due prove, di singolare attendibilità, che in una società democratica, quindi evolutasi onorando, seppure praticando con assoluta incoerenza, non di rado irridendo i dettami della Magna Charta della civiltà, non è facile sradicare quelle fondamenta, che la comparsa, provvidenziale, di un leader che unisca, caso rarissimo ma non impossibile, statura etica e abilità politica ridesta dal subconscio collettivo accendendo, da ceneri che conservavano una minuscola brace, una fiamma che consente, al nuovo leader, di schierare la nazione di un multiforme consorzio continentale sul medesimo fronte in cui le nazioni libere si schierarono per scongiurare che le schiere del caporale Hitler conquistassero, come assicurava l’inno di marcia della Wehermacht, die ganse Welt, si sono schierate per impedire che le orde nei cui vessilli la falce e il martello hanno sostituito la svastica annullino quanto di razionale, di nobile, di umano pulsa tuttora nella società degli uomini.
In apertura, foto di Olio Officina©
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