Saperi

Vivere la Vita e vivere la Morte

Cosa voglia dire vivere la vita rimane, per molti, un mistero. È più facile riconoscere la morte, perché quando si palesa lo fa con arroganza, ed è impossibile confonderla con altro. Questo non significa che la si accetti, ma una volta conosciuta, paradossalmente, è capace di fornire gli strumenti per comprendere in modo più profondo il senso di quello che riempie i momenti, le emozioni, della quotidianità

Massimo Cocchi

Vivere la Vita e vivere la Morte

Sembrano due concetti antitetici, che si elidono a vicenda, in realtà non ne sono proprio sicuro.

Io ho vissuto, come tanti, la vita, di corsa, roso da un’unica ambizione che è cominciata dopo gli anni felici trascorsi in quel pugno di terra bastarda (ndr: premio letteratura dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli) da fanciullo-adolescente e dopo il noioso cursus studiorum fino alla laurea in medicina.

A quel punto, con una decisione irrevocabile decisi che la “corsia” non era la mia vocazione, nonostante il giuramento di Ippocrate, e decisi per una vita di ricerca, ecco, lì si scatenò un’ambizione irrefrenabile, diventare Professore e intuire, nel cosmo scientifico, qualche cosa di straordinario, il sogno.

Trascorrono molti anni fra viaggi e carriera che culmina con la nomina di Professore conferitami dalla gotica e prestigiosa università di Glasgow, trasformatasi poi in “Professor in Perpetutity” quando per gravi eventi familiari fui costretto a rientrare in Italia a casa.

Altri anni di corsa durante i quali non avevo chiara la percezione e il senso di cosa volesse dire vivere la vita, tanto ero preso dal mio lavoro che, a un certo punto, ebbe una svolta decisiva con quella che, molti, oggi, ritengono una scoperta che dopo tanti anni di sudate meditazioni ha trovato riscontro nelle pagine di alcune prestigiose riviste scientifiche.

Era veramente questo vivere la vita?

Non lo so ancora, ma ho ben chiara la percezione che non avevo vissuto una vita normale, se vogliamo anche banale finché un grave incidente di percorso mi colpì come una sassata quando arrivò quella che sembrava una sentenza irreparabile.

Ma, ancora, tornai a combattere senza meditare su ciò che sarebbe potuto accadere se le cose non si fossero messe al meglio e, con arroganza, accolsi la risoluzione del problema come un atto dovuto per consentirmi di continuare a vivere una vita della quale ben poco avevo compreso.

Potevo continuare nelle mie ricerche, anni entusiasmanti trascorsi a discutere con personaggi di grande caratura scientifica su questioni che ai più sembravano deliqui di onnipotenza della parola ma che, per me, per noi, portavano al convincimento di essere molto vicini a qualche cosa di estremamente importante nella comprensione di certe funzioni del cervello.

Ecco, ancora una volta, nonostante quel terribile evento che mi aveva colpito e che poteva arrestare la corsa, facevo fatica a comprendere cosa significava vivere la vita se non da un punto di vista di estremo egoismo.

Poi, arrivò un giorno in cui tutti i castelli, come spesso è accaduto durante le guerre, franavano le mura con i massi che si spargevano sul terreno circostante e, lontano da ogni pensiero di sfortuna e da ogni pietismo, fui messo di fronte a un nuovo evento al quale non credo vi sia soluzione.

In quel momento mi si sono chiarite molte cose, se fino a quel punto non avevo compreso cosa volesse dire vivere la vita, ora, invece, sapevo cosa voleva poter dire vivere la morte e decisi di non fuggire più ma di accettare quanto mi si presentava davanti, circondato dall’affetto di tutti i miei cari, già, nel delirio di un’inconsapevolezza che via via diveniva sempre più consapevolezza, capii il senso dell’amore, di quell’amore che avevo percepito solamente nel piacere pagano del soddisfacimento più del corpo che della mente.

È strano come il cervello Newtoniano, al confine con quello quantico, a volte, non ti consenta percezioni ineluttabili fino a che non si apre la grande porta del sentimento e della ragione.

Oggi, 3 aprile 2022, sono rientrato a casa dopo un veloce intervento ospedaliero, due ore di meditazione trascorse nella sopraggiunta consapevolezza di una strada senza ritorno, un intervento palliativo che mi ha spiegato il significato del sollievo dalla sofferenza, un momento catartico di pace interiore, di benessere profuso fino al prossimo appuntamento.

Sono tornato a casa accompagnato da mio fratello e ho trascorso un po’ di tempo con Bianca nel grande giardino e sulle poltrone che avevano per tanti anni, appunto, assistito a “chiacchere” cosmiche, per gran parte trascorse anche con l’amico Kary Mullis che spero di incontrare in un altro giardino, laddove, forse, non ci occuperemo più dei massimi sistemi.

Con grande fatica ho salito le scale di casa, mi sono sdraiato nel letto, ho reclinato il capo sul cuscino accartocciato, come da abitudine, cogliendo la luce che filtrava dalla finestra socchiusa, ho chiuso gli occhi e, per la prima volta nella vita ho sentito salire una grande serenità, un grande senso di pace, via l’ambizione, via l’angoscia di arrivare, via il desiderio di competizione.

In quel momento, per la prima volta nella mia vita, ho capito cosa è importante e che nessuno mai ti insegna, ho compreso cosa vuol dire vivere la morte.

La foto di apertura è di Olio Offcina ed è un particolare di un’opera esposta al Museo della Follia di Lucca, Cavallerizza di Piazzale Verdi, mostra a cura di Vittorio Sgarbi, 27 febbraio-22 settembre 2019

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