Arrivano in silenzio, ti colpiscono, invadono il tuo corpo, il tuo cervello, la tua mente.
Lavorano dentro lasciando tracce di speranza, te li porti dietro con l’affanno dell’anima e pensi: ne uscirò?
Amore e Cancro sono molto simili, nelle sensazioni, nei timori che si oppongono: starà con me? Se ne andrà?
Ecco, che comincia una dialettica intima, con te stesso, fatta di alti e bassi di gioie e di insidie, e questa è la strana storia che mi accingo a raccontare.
Tutto comincia nel lontano 1972, quando il caso mi fa incontrare quella splendida donna che poi, dopo pochissimo, diventerà mia moglie, con la quale condivideremo 21 anni che si snodano in un lampo, senza respiro, come in una corsa frenetica contro il tempo.
Sono, questi 21 anni, densi di emozioni, di contrasti, di ogni cosa concessa e vivibile a noi terreni.
Poi, all’improvviso ecco che Amore e Cancro colpiscono. Un terribile indizio mi fa capire che è successo qualcosa di devastante e irrimediabile, già la speranza rimane sempre nelle tue illusioni, ma non sempre riesci a cambiare il corso degli eventi.
40 giorni in una stanza, noi soli, nella penombra, nell’attesa dell’atto finale. Esco da quella stanza e il sole, timidamente novembrino, mi colpisce gli occhi e stento a fare i pochi metri che mi separano da quel luogo di dolore a casa.
Lei era, o, meglio, è figlia spirituale di Padre Pio, perché è un “titolo” che non conosce fine e questa storia con quel Padre Pio che incideva profondamente su tutta la sua famiglia mi lasciava dentro una sensazione quasi di disagio. Non lo conoscevo, non ne percepivo la profondità di fede, non riuscivo, con suo grande dispiacere a condividere con Lei quella fede profonda che le stava dentro.
Poi succedono alcuni fatti che mi lasciano profondi solchi: Padre Pio, quasi in modo “burlonesco”, si fa beffe di me, misero umano, con un alternarsi di situazioni che si ammantano del fascino dell’irreale.
Lei non c’è più e, dopo poco, a un risveglio senza motivo e senza rumori, me lo ritrovo ai piedi del letto come a dire: guarda che tu non capisci ma io ci sono!
Sconvolto mi alzo e con mia figlia assonnata, giro per la grande casa a cercarlo, azione improbabile per uno come me che era ed è tuttora uso alle regole della ricerca scientifica, quindi a produrre una logica dei fatti, che può sì sbagliare, ma che deve cercare di trovare, sempre, un brandello di verità.
Padre Pio è scomparso da quella grande casa e le poche persone alle quali riferisco l’episodio, forse mi prendono per pazzo, forse mi credono, forse mi compatiscono.
Passerà altro tempo e, al mio ritorno, inevitabile nella casa di mia madre, davanti alla finestra che affaccia sulla Basilica di Sant’Antonio, per i più nota come l’Antoniano di Bologna, il mio sguardo, mentre sorseggio il caffè, cade su un piccolo pezzetto di carta ai miei piedi, sul pavimento palladiano tirato a lucido e stona questo pezzetto di carta, per cui mi chino a raccoglierlo per gettarlo, tuttavia, non resisto a non aprire quello straccetto grigiastro e, per poco, non mi viene un colpo: quello straccetto è la copia del telegramma che mio suocero, che non ebbi la fortuna di conoscere, inviava a Padre Pio in punto di morte, di una giovanissima morte, chiedendogli di“perdonare il suo buon ladrone”. Lui aveva un legame molto stretto con Padre Pio.
Ancora una volta, ci sarà un altro episodio: Padre Pio mi batteva una mano sulla spalla a chiedermi: cosa devo fare ancora per convincerti che ti seguo passo passo…?
Dopo alcuni anni, ritornando da Roma passai da San Giovanni Rotondo per consegnare, in accordo con un mio amico, i nostri curricula alla segreteria dell’Ospedale della Sofferenza, al fine di essere a disposizione, ovviamente gratuitamente, con le nostre competenze.
Di quella consegna non ho avuto mai più notizia, probabilmente non considerata dagli uffici – si sa che non tutti sono illuminati, e certamente cestinata.
Tuttavia, non finisce lì la storia, perché, dopo alcuni anni mio fratello Roberto, famoso e valente chirurgo maxillo-facciale, viene chiamato a prestare la sua opera nell’ospedale di Padre Pio.
I casi sono due: o Padre Pio si è confuso o, forse, nella sua acutezza ha “chiamato” mio fratello perché lui era utile ai pazienti, non io che, modesto biochimico, facevo solo ricerca scientifica.
Certamente anche questa poteva essere utile, certamente lo era molto di più l’alleviare le sofferenze e salvare vite umane.
Poi, improvvisamente, Amore e Cancro, tornano di nuovo, dopo un lungo percorso di vita, laddove ti abitui a non considerare più entrambe le cose.
Nel deporre un mazzo di rose in una minuscola cappella dedicata a Sant’Antonino da Po, sperduta nel basso rovigotto non lontano dal grande fiume, guarda caso, mi trovo di fronte l’immagine di Padre Pio che incombe in quella piccola cappella.
Ecco che Amore e Cancro, sono di nuovo insieme, nella devastante complessità delle sensazioni che imperversano dentro, quando ne hai consapevolezza, ed ecco che quel “burlone” di Padre Pio, non me ne voglia di questo affettuoso appellativo: mi ricompare davanti.
Arriva, di nuovo, nel momento in cui l’accavallarsi confuso di immagini cliniche che nessuno di quelli che le hanno rilevate sembra essere in grado di darne spiegazione compiuta, affidabile, o capire esattamente cosa si materializza sotto quello strumento che va su e giù, da una parte all’altra, con un ritmo ossessivo, sul tuo corpo: nel mio pensiero, Padre Pio.
Ieri ho capito che quel burlone di Padre Pio se la ride a vedere tutti questi affanni. Ho capito che, per l’ennesima volta sta cercando di farmi capire che lui c’è, e, ora, anch’io, finalmente ci sono.
Per la prima volta, caro Padre Pio, ci sono.
Non importa cosa accadrà, la cosa importante è che sono svanite quelle sensazioni contrastanti che per tanti anni mi hanno accompagnato, che dentro di me si è fatta chiarezza e serenità, cosa che mi mancava da tanto tempo e, per quel che può rimanere, un tempo corto o lungo, non importa, se non affrontarlo in pace.
Amore e Cancro hanno colpito, ancora. In silenzio, e con dolcezza.
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