Il 25 aprile è la festa della liberazione dal nazifascismo. È la data simbolo della Resistenza e della fine della guerra in Italia. Una guerra che vede l’Italia dalla parte degli sconfitti. L’aspetto tragico della vicenda è, pertanto, la lotta armata fra gli italiani, una vera e propria guerra civile, fra i resistenti e coloro che hanno accettato di collaborare con il governo fascista di Salò.
La lotta si sviluppa in una lunga scia di violenze, atrocità e sofferenze. I resistenti non sono soltanto i combattenti che partecipano all’epopea partigiana del Centro-Nord e le popolazioni delle campagne che assicurano il sostegno logistico e i viveri alle formazioni partigiane. Sono anche i combattenti che prendono parte alle quattro giornate di Napoli e all’insurrezione di Matera. Sono anche i tanti soldati meridionali che, privi di guida e vagando “sbandati” per la penisola, vengono catturati dai tedeschi e, dopo aver opposto un netto rifiuto ad arruolarsi nell’esercito della repubblica di Salò, finiscono nei campi di concentramento nazisti. Stiamo parlando di un milione e duecentomila militari che resistono al nazifascismo. E sono per lo più contadini.
C’è poi un aspetto del 25 aprile fortemente contraddittorio che va sottolineato e chiarito. La guerra contro il totalitarismo fascista-nazista non è stata condotta (e vinta) da un fronte democratico. Il fascismo e il nazismo sono stati sconfitti da una coalizione antifascista, nella quale vi erano forze democratiche e forze totalitarie (come l’Urss e i partiti comunisti nazionali). La natura totalitaria del regime comunista, là dove si è realizzato, non è stata diversa dalla natura totalitaria del regime fascista o nazista, realizzatisi in Italia e in Germania.
È pertanto politicamente ingiustificato distinguere il regime fascista da quello comunista sul piano delle intenzioni di chi li aveva promossi (la superiorità razziale nel primo caso, l’eguaglianza di classe nel secondo caso). In entrambi i casi, si è trattato di totalitarismi basati sulla negazione dei diritti individuali, sull’affermazione di uno stato organico incompatibile con il pluralismo sociale ed economico, sull’uso sistematico della violenza per disciplinare il modo di pensare dei cittadini.
Sia l’aspetto tragico della guerra civile, sia quello drammaticamente contraddittorio e ambiguo della compresenza nel fronte antifascista di componenti democratiche e totalitarie, non tolgono nulla al valore del 25 aprile. Noi siamo liberi e abbiamo potuto costruire la democrazia perché il fascismo e il nazismo furono sconfitti.
L’aspetto, invece, di grande attualità è che il 25 aprile contiene tra i propri valori anche l’europeismo. Di cui nessuno parla. E il motivo di tale afasia è evidente. L’europeismo ci riporta, infatti, al presente e al futuro. Ma noi preferiamo guardare costantemente al passato e proiettare sul passato le contraddizioni dell’oggi.
Finita la guerra di liberazione, le élite di cultura liberale e democratica dell’Europa occidentale presero una decisione cruciale. Quella di creare sistemi di difesa, interna ed esterna, per proteggere le democrazie nazionali. Era, infatti, struggente la memoria di quello che era avvenuto dopo la prima guerra mondiale: le forze autoritarie (fasciste e naziste) avevano usato la democrazia contro se stessa ed erano andate al governo attraverso regolari elezioni. Nel secondo dopoguerra, tale possibilità non era affatto remota. Le forze comuniste erano imbevute di cultura autoritaria e anche la cultura cattolica non aveva assimilato fino in fondo il liberalismo politico. Di qui la necessità di introdurre, all’interno delle democrazie europee, controlli, bilanciamenti, difese per contenere le maggioranze politiche, senza impedire loro di governare.
Per quanto riguarda l’esterno, le forze liberali e democratiche convennero di avviare l’integrazione europea. E avviarono concretamente il processo proprio per contrastare le minacce autoritarie nazionali. Si andò così verso un bilanciamento delle maggioranze nazionali attraverso la costruzione di una rete di autorità e norme sovranazionali.
Se si approfondisce bene quel passaggio della nostra storia, si comprende come l’Europa sovranazionale sia stata pensata come un’entità necessaria per proteggere la democrazia nazionale.
Per questo, l’Unione Europea deve riscoprire questo suo carattere originario e contrastare oggi con fermezza l’autoritarismo promosso da Orban e Morawiecki e domani quello molto probabile di Mélanchon e Wissler. E deve difendere le nostre democrazie dalle minacce esterne provocate dalle autocrazie, come quella di Putin.
Il 25 aprile ci ricorda che la democrazia va perennemente difesa con istituzioni funzionanti nazionali e sovranazionali.
Ci ricorda che l’Unione Europea è oggi inceppata e va rilanciata mettendo mano alla riforma dei Trattati per costruire la democrazia oltre lo Stato.
Sovranazionalità e nazionalità sono due dimensioni che si reggono a vicenda. E se questo equilibrio si rompe è la democrazia a soccombere.
Buon 25 aprile con una Unione Europea più forte e più democratica!
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui
Commenta la notizia
Devi essere connesso per inviare un commento.