La verità è necessaria per orientarci nel mondo, per poterci muovere. Sui fatti che accadono nel mondo noi abbiamo bisogno di prendere posizione, adottando un criterio di verità. La verità la si ricerca, senza tuttavia possederla mai. Se vogliamo agire con avvedutezza e in modo consapevole, dobbiamo frequentemente fare i conti con la verità.
Siamo infatti costretti, per poterci muovere, a formulare continuamente giudizi pratici: questi sono verità che ci permettono di realizzare il bene ed evitare il male. La verità non è un’astrazione, qualcosa che semplicemente si dice. È un comportamento, un realizzare concretamente quel che si afferma. Cogliamo aspetti di un oggetto e ci muoviamo per coglierne altri continuamente, ma nel frattempo agiamo.
Per dire verità gli antichi romani utilizzavano la parola latina “verum” che deriva dalla radice indogermanica “ver” (difesa, barriera) e dall’osco “veru” (porta, vestibolo). L’espressione tedesca “Ver fur” significa “difesa per”, “affermazione”: l’affermazione non è soltanto un asserto logico, è una “difesa per”. Il “verum” si oppone al “falsum”, la cui radice latina “fal” significa “perdere l’equilibrio, cadere”. C’è chi sa difendersi e si sa affermare e c’è chi invece cade. Heidegger sostiene che la nozione di verità costruita su queste etimologie nasce dentro un contesto imperiale, in cui il “verum”, la difesa, si afferma attraverso un comando, una decisione.
La verità, dunque, si decide con un atto necessario per vivere. Rispetto al mondo, la verità è una presa di posizione inevitabile, pena la paralisi o il delirio. Alla fine, o si sceglie tra opzioni diverse o si sceglie di non scegliere. Il dilemma è sciolto mediante la saggezza. Scrive il filosofo Salvatore Natoli: “La saggezza permette di selezionare l’ampio spazio delle possibilità ragionando su cosa conviene di più, su quali buone ragioni si hanno per prendere l’una o l’altra decisione, su ciò in cui ci si realizza meglio e che si può portare a compimento. Sta qui la ragione del bene. Alla fine, avendo ampiamente comparato, si pondera e si decide. Si delibera”.
In questo senso la verità diventa diritto con le sue violenze. Per questo ci vuole senso della misura, spirito laico, tolleranza, rispetto reciproco. Ma il decidere della verità non è sempre inevitabilmente una forma di violenza, bensì una necessità per vivere bene.
Le scienze vanno distinte dalle filosofie di vita perché hanno percorsi diversi. Le scienze attingono sempre e inevitabilmente verità parziali. Godono della prerogativa dell’esattezza. Sono un sapere cumulativo, suscettibile sempre d’implementazione. Le scienze non hanno mai fretta. Sono necessarie per vivere bene. Da sole però non sono nelle condizioni di risolvere tutti i problemi che troviamo lungo i nostri percorsi individuali e che ci impongono decisioni non rinviabili.
C’è, pertanto, bisogno anche di un “sapere dell’esistenza” per decidere qualità e valore relativamente alle nostre vite e a quelle degli altri. Verrà un tempo in cui la tecnica ci saprà dare delle informazioni anche su questo, ma per il momento non è nelle condizioni di farlo.
Le scienze vanno promosse difendendo la libertà di ricerca e investendo in conoscenza, istruzione e competenze. Accanto a questo sapere c’è un sapere della vita che è parimenti essenziale. Esso consiste nel saper cogliere, di volta in volta, le ragioni del bene. Per farlo è necessario sapere cosa dobbiamo fare, cosa è lecito sperare. Guadagnando, attraverso l’educazione, la meditazione e l’agire filosofici, la verità su noi stessi.
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