Visioni

Cosa non funziona nel sistema Italia

Piero Nasuelli

Il Direttore nel suo La grave colpa di Coldiretti del 14 aprile 2015 ha scritto con il “cuore in mano” quello che pensa della Organizzazione agricola alla quale aderisce il maggior numero di agricoltori italiani, del suo ruolo e della sua “mission” che negli ultimi tempi si colloca ambiguamente tra produttori e consumatori.
Tutto ciò alimenta un dibattito, a mio parere, inopportuno. Da un lato gli agricoltori “buoni”, quelli piccoli che producono per la vendita diretta, il km 0, i mercatini, le fiere eccetera, e dall’altro quelli “cattivi” altamente specializzati le cui produzioni devono competere in un mercato globale.

La nostra agricoltura deve confrontarsi con ciò che avviene in Europa, estraniarsi da questo contesto è fuorviante e nel lungo periodo politiche campanilistiche e conservative ci porteranno a “soccombere” proprio su quelle produzioni che riteniamo di qualità, ma che non riusciamo a supportare con gli strumenti e i mezzi che la globalizzazione impone.
A supporto di quanto sopra è bene commentare due aspetti, il primo si riferisce alla ripartizione dei sussidi (PAC) erogati dalla Unione Europea in tre paesi assai differenti tra di loro: Italia, Germania e Francia; il secondo prende in considerazione la capacità di trasformare i prodotti agricoli e potenziarne l’esportazione che è la principale fonte di risultati economici significativi.

Nel 2013 l’ammontare dei pagamenti diretti è stato di poco meno di 4 mld di Euro (3,97) per l’Italia, poco più di 5 mld per la Germania (5,25) e quasi 8 mld per la Francia (7,96).
Ai pagamenti diretti vanno sommati i contributi per il sostegno del mercato per alcuni prodotti, per l’Italia e la Francia si tratta di circa 700 mln di Euro, per la Germania l’importo è molto inferiore a circa 100 mln di Euro.
Sono cifre importanti che sono influenzate dalle diverse caratteristiche strutturali delle agricolture dei tre paesi considerati.

L’analisi deve però tener conto anche del numero dei beneficiari che è rispettivamente di 1,2; 0,32; 0,36 mln per L’Italia, Germania e Francia. In Italia gli agricoltori che percepiscono pagamenti diretti sono quattro volte quelli tedeschi e francesi. L’ammontare medio è quindi notevolmente differente pari a € € 3.341,79 in Italia, € 16.216,99 in Germania e € 22.002,83 in Francia.

Un altro elemento di forte differenziazione si osserva quando si analizzano i pagamenti diretti degli agricoltori per classe di contributo. In Italia il numero di beneficiari fino a Euro 2.000,00 sono il 73% che percepiscono il 13% dell’ammontare dei contributi. L’ammontare medio del contributo per 870 mila agricoltori è di appena Euro 608,89. In Germania ben il 53 % dei beneficiari è compreso nella classe di contributo compresa tra i 2.000 e i 20.000 Euro, e l’ammontare dei contributi è pari al 27% del totale. In Francia si rileva che i beneficiari compresi nella classe tra 20.000 e 50.000 Euro sono ben il 30,46 % e percepiscono il 44,15 % di contributi. Il contributo medio dell’agricoltore francese che si trova nella classe da 20.000 a 50.000 Euro ne percepisce quasi 32.000 e quindi può utilizzare tale risorsa in una prospettiva di investimento e miglioramento della produttività aziendale con ben altra valenza.
In Germania la distribuzione dei pagamenti diretti è ulteriormente diversificata, 3.750 beneficiari appartenenti alla classe con ammontare superiore ai 150.000 Euro ricevono contributi per 1,4 mld di euro (23 % sul totale), pari ad un contributo medio di oltre 210.000 Euro.
Questa situazione merita una considerazione.

Il modello italiano – voluto soprattutto da Coldiretti, ha un futuro?
Queste “aride” cifre ci devono far riflettere. In Italia che “effetto” può avere un contributo di 600,00 Euro sulle attività aziendali? A mio parere nullo. È una sorta di aiuto a fondo perduto: è ben difficile immaginare che l’agricoltore realizzi un qualsiasi tipo di investimento con una risorsa di tale entità, ci paga si e no l’IMU. La considero una sorta di “elemosina” con l’unico scopo di ottenere da un lato consenso e dall’altro giustificare l’enorme apparato burocratico necessario per l’erogazione dell’aiuto.
Si tenga presente che chi redige la domanda per il “pagamento unico” riceve un compenso in funzione del numero di domande e dell’importo della stessa. Più domande si compilano e meglio è.
Tante fonti scrivono di “semplificazioni” in atto e con la riforma 2014-2020 si farà tutto con un click ma oggi quanto costa agli agricoltori italiani questo sistema faraonico. Io non lo so, qualcuno ha informazioni al riguardo?

L’industria agroalimentare tedesca ha esportato nel 2013 prodotti per 48 mld di Euro, la Francia ne ha esportato per un valore di 39 mld e l’Italia per 27 mld.
Che fine ha fatto il made in Italy dell’agroalimentare?
Un analisi sull’export dei prodotti italiani confrontato con quello di Francia e Germania merita un approfondimento e non è certo questa la sede per farlo, ma ragioniamo sui grandi numeri. Dobbiamo chiederci cosa non funziona nel sistema Italia. Se riteniamo di produrre il meglio dell’alimentare perché non riusciamo a esportalo? Non nascondiamoci dietro la concorrenza sleale delle produzioni “taroccate”, si corre il rischio di ripetere banali e stantii luoghi comuni.

La governance del sistema agricolo italiano deve rinnovarsi radicalmente. Le migliori forze dell’agricoltura italiana devono diventare più consapevoli e promuovere un cambiamento in grado di fare “piazza pulita” di quelle strutture che hanno come unico interesse quello di mantenere posizioni di potere a discapito del progresso, dell’innovazione e del benessere.

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