Ogni società, come tale, non può esistere senza una sua cultura. La cultura di una società è costituita dall’insieme delle conoscenze (scientifiche ed esperienziali) e i modi (individuali e di gruppo) di vivere, pensare, esercitare la propria creatività, relazionarsi con gli altri e con la natura, utilizzare le risorse per la propria sopravvivenza, lavorare e commerciare.
Ma allora cos’è la cultura?
Come scrive il sociologo Franco Ferrarotti, la cultura è un processo, lento, di coltivazione. La cultura è “agricultura”. Si fa cultura, innanzitutto, seminando. Poi bisogna attendere, con pazienza, che il seme, gettato dall’ampio gesto del seminatore, sedimenti e marcisca nelle viscere profonde e misteriose del terreno per dare, eventualmente, il suo frutto. La cultura è il prodotto finale di una lunga sedimentazione, di una protratta concentrazione e di una paziente, umile, attesa.
Occorrerebbe tornare alla vita interiore, ma con una nuova disposizione, non élitaria, non solipsistica, non chiusa in sé, ma aperta, pronta ad accogliere e a dialogare con il diverso da sé, in nome della comune umanità degli esseri umani e con la profonda convinzione che nessuno si salva da solo.
Se è il dialogo la forma con cui si dovrebbe fare cultura, allora il luogo più appropriato non è l’eremo ma la piazza. Fra la gente comune, nella quotidianità delle persone.
Nella piazza, nella comunità, bisognerebbe trovare il modo per creare momenti da dedicare alla memoria e alla meditazione.
Secondo il filosofo e storico delle idee, Remo Bodei, la nostra memoria rappresenta il filo di continuità dell’io, indispensabile per orientarci nel presente e proiettarci nel futuro. Per utilizzare bene la memoria, il filosofo suggerisce di imparare a staccarci periodicamente dalla quotidianità e dedicarci alla riflessione, individuale e collettiva.
Se la politica non vuole ridursi a mera gestionalità e tecnica procedurale, deve recuperare la sua dimensione culturale. Che non significa tornare alle ideologie finalistiche otto-novecentesche. Ma concepire la politica come pratica civilizzatrice e promotrice della democrazia oltre lo stato. Una politica che non offre certezze ma accende la speranza. Una politica come autocoltivazione, cioè capacità di seminare e, poi, attendere che il terreno risponda con il dono del frutto.
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