Visioni

Dov’è finita la scuola?

Sante Ambrosi

In questi ultimi giorni si sono manifestati fatti gravi all’interno della realtà scolastica. I giornali hanno fotografato situazioni incredibili che si sono ripetute in diversi luoghi del nostro Paese, sempre all’interno della scuola, e per le motivazioni più svariate che non è il caso che le ripetiamo ora, qui.
Avendo passato molti anni all’interno della scuola come insegnante nei licei statali di Milano, ed essendo da qualche anno in pensione, ascolto con meraviglia e stupore i fatti che stanno accadendo: genitori che insultano o picchiano gli insegnanti, ragazzi che schiaffeggiano docenti per un voto brutto, ecc.
Resto allibito e mi chiedo come sia possibile tanto sfregio nei confronti di una istituzione che tanto ho amato e che era considerata il luogo di eccellenza per il futuro della nostra società.

Sul tema sono usciti articoli di approfondimento e anche saggi della critica che cercano di individuare le cause profonde di un tale malessere che ha coinvolto le nostre scuole.
Il mio ricordo di tanti anni passati a insegnare, certamente materie non facili come letteratura latina e greca, oppure filosofia, è estremamente positivo, non privo, certo, di difficoltà e, qualche volta, anche di incomprensione, ma, sostanzialmente, entusiasmante. Anche il ricordo degli alunni è sostanzialmente fantastico, perché li ho visti interessati e collaborativi, salvo sempre eccezioni che, però, non inquinano il giudizio.
Certo, sono stato fortunato, forse, per i tempi diversi, d anche per le classi di liceo che ho sempre, o quasi sempre, viste altamente motivate a leggere e comprendere pagine e grammatiche del tutto lontane.
Ora, ascoltando le notizie che raccontano episodi di insofferenza per un voto di insufficienza, o per correzioni di vario genere, resto stupito e mi faccio domande che non trovano in me risposte immediate, anche perché le motivazioni di un tale stato di cose, senza, ovviamente, generalizzare, sono complesse e hanno origine da molti fronti.

In questi giorni ho letto tanti giudizi e tante motivazioni nelle quali molto spesso mi sento profondamente concorde. Tutte le parole che si sforzano di spiegare e ragionare le sento opportune e preziose.
Io non penso di avere risposte su un problema tanto complicato, anche perché il rischio che corro è di essere troppo condizionato dal mio passato, quando tento di formulare giudizi e soluzioni. E poi, molte cose sul tema sono state dette con autorevolezza da molti critici competenti.
Eppure, pur condividendo molte delle cose che leggo su giornali e saggi critici, mi sento di sottolineare due considerazioni che, in qualche modo, ritengo siano alla base della crisi da molti sottolineata.

UNO. La scuola così come è percepita e vissuta dalla stragrande maggioranza degli studenti e dei genitori, oggi,è specchio di un sapere che si deve raggiungere in modo veloce e immediato. Il tutto subito e a portata di mano, con un semplice clic sullo smartphone, divenuto ormai una specie di alter ego sempre pronto a offrire immediatamente i dati richiesti. Non più la fatica del concetto, come diceva il grande Hegel, e neppure la fatica di leggere e comprendere i testi in modo analitico.
Non si tratta di condannare la tecnica che ci ha consegnato strumenti sempre più sofisticati e utili, che più o meno tutti adoperiamo. Ma è la mentalità che questi strumenti instaurano nel nostro modo di avvicinarci alla cultura e al sapere in quanto tale. La facilità di avere tutto a nostra disposizione, con l’immediatezza che un semplice smartphone ci offre, a lungo andare fa perdere la consapevolezza che la cultura solida e vera si costruisca attraverso uno studio serio delle pagine di un autore. Ho l’impressione che i nostri giovani, a livello generale, abbiamo perso l’interesse e il gusto di apprendere il linguaggio di un testo, la sua struttura stilistica, la ricchezza delle immagini e delle stesse parole usate dall’autore. Tutte cose che hanno bisogno di tempo, di elaborazione, che non si danno se non attraverso il rigore di un insegnamento.
Forse è proprio l’insegnamento che è scomparso e, di conseguenza, anche la stessa figura del maestro e dell’insegnante è diventata la grande assente. E non si sente più neppure il bisogno di ritrovarli o di cercarli, e questo è ancora più grave.

DUE. La seconda osservazione che mi sento di suggerire riguarda la scuola. In linea con quanto ho appena evidenziato, noto che in questi ultimi tempi la scuola ha perso quel rigore che aveva un tempo. Certamente aveva l’urgenza di perfezionarsi, di aggiornarsi inserendo elementi e discipline importanti dentro le vecchie strutture didattiche, ma mi sembra che si sia fatta una grande confusione e così gli istituti tecnici sono diventati licei e i licei sono diventati un po’ scuole di tecnica. Tutto doveva diventare omnicomprensivo. Così le scuole omnicomprensive hanno oscurato le varie specializzazioni che le erano proprie, con la conseguenza che molte discipline tradizionali si sono evaporate in qualcosa di generico e, quindi, di poco fruttuoso.
E questo vale, a mio parere, non solo per certi licei, un tempo famosi per il loro rigore, ma anche per tante scuole tecniche di vario genere, anch’esse evaporate in un vago sapere che non prepara veramente al lavoro specifico di loro competenza.
Anche da qui, sono convinto che si debba ripartire per ritrovare nuova linfa per la nostra scuola.
Dopo vengono tante altre questioni, senza dubbio importanti come il reclutamento degli insegnanti, il riconoscimento adeguato della loro figura, le strutture anche logistiche e gli strumenti necessari, e tante altre cose necessarie. Su questo tanto è stato detto, ma tanto è ancora da dire.

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