Visioni

Evoluzione

Alfonso Pascale

Giuseppe Montalenti è stato uno zoologo, embriologo, genetista, oltre che uno storico della scienza, ed ha contribuito alla diffusione della teoria dell’evoluzione in Italia. Il volume Storia della biologia e della medicina (1962), di Montalenti nella “Storia delle scienze” coordinata da Nicola Abbagnano, resta uno dei testi di consultazione più importanti sullo sviluppo del pensiero biologico.

L’interesse dello scienziato per la teoria di Darwin si è manifestato in un’epoca di scetticismo sulla validità del darwinismo da parte di sociologi, filosofi e anche di molti biologi. Era il periodo in cui Benedetto Croce affermava che “l’immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell’umanità non solo non vivifica l’intelletto, ma mortifica l’animo” (“La natura come storia senza storia da noi scritta”, 1938, pp. 141-47). In questo clima culturale, l’adesione di Montalenti al darwinismo andava invece rafforzandosi, nella speranza che proprio la genetica potesse recare sostegno alla fondatezza della teoria.

Al tema dell’evoluzione il Montalenti dedicò numerose pubblicazioni, tra cui un volume per la ERI – Edizioni RAI (L’evoluzione, 1953), che raccoglieva una serie di lezioni tenute dall’autore alla radio. Il libro ebbe un grande successo tanto da avere nuove edizioni ampliate presso Einaudi (1965, 1967, 1972, 1975). Lo studioso curò anche le traduzioni di On the origin of species (1859; trad. it. 1967), The descent of man, and selection related to sex(1871; trad. it. 1982) e altri scritti di Darwin, tra cui Autobiography (1887; trad. it. 1962).

Attraverso questa intensa attività culturale, il Montalenti tentava di combattere il pregiudizio, diffuso in Italia, di considerare l’evoluzione – come ebbe a scrivere nella prefazione alla prima edizione einaudiana di Evoluzione– “una teoria biologica antiquata, ormai superata dall’indirizzo sperimentale della scienza moderna, una teoria di cui non è stato possibile dare una dimostrazione definitiva”.

Da cosa nasceva tale pregiudizio? Fin dai primi decenni dell’800, Franco Andrea Bonelli, professore di zoologia all’Università di Torino e custode del museo di storia naturale, aveva introdotto, con le sue lezioni, le idee di Jean-Baptiste de Lamarck. Il botanico francese era stato il primo a formulare in modo completo e coerente una teoria evoluzionistica in una sua opera famosa, dal titolo “Philosophie zoologique” pubblicato nel 1809.

A quei tempi si parlava di “trasformazione” e “trasformismo”: il termine “evoluzione” fu usato, nell’accezione oggi corrente, da Charles Darwin nel libro L’origine della specie per opera della selezione naturale pubblicato nel 1859. Ed è lo stesso Darwin a citare Herbert Spencer, che aveva descritto il principio evoluzionistico nel saggio Ipotesi dello sviluppo, pubblicato nel 1852.

Bonelli era morto nel 1830 e, come altrove, le idee lamarckiane si erano poi sopite. È Filippo De Filippi, professore di zoologia all’Università di Torino, la sera dell’11 gennaio 1864 a tenere nella città sabauda una lezione rimasta celebre, dal titolo L’uomo e le scimmie, che ebbe in breve tempo tre edizioni.

La prima parte di questa conferenza è dedicata alla spiegazione della teoria darwiniana; poi viene l’esposizione dell’affinità dell’uomo con le scimmie, dimostrando come tutti i caratteri morfologici differenziali messi in campo da vari autori non abbiano quel valore che s’è voluto attribuire. Poi il De Filippi dice della immensa differenza che esiste tra le scimmie e l’uomo riguardo alla facoltà intellettuale, al senso religioso, e alla speciale missione. Egli era dunque convinto della discendenza delle specie animali più alte dalle più basse, e quindi anche dell’uomo dalle scimmie, in favore della quale opinione – egli sostiene – militano opinioni fortissime. Ma precisa che questo modo di vedere non conduce necessariamente all’ateismo. E questo perché, secondo il De Filippi, si può ammettere che il Creatore abbia fatto sorgere una o poche forme organiche e le abbia dotate della facoltà di generare le altre per lenta e graduale evoluzione.

De Filippi si presenta quindi come credente, e cerca una via di conciliazione tra fede ed evoluzionismo. Ma non è compreso. Anzi, è aspramente criticato, accusato di ateismo e considerato come un uomo pericoloso. È un’infamia – molti affermano – che il governo tenga in cattedra un uomo così empio.

Ma pochi anni dopo, nel 1867, lo studioso, che è un eccellente naturalista ed esploratore, intraprende un viaggio di circumnavigazione sulla fregata della Regia Marina “Magenta”, si ammala di colera e muore a Hong-Kong.

Tra i primi intellettuali ad avversare in Italia le idee darwiniane è Niccolò Tommaseo. Il grande scrittore, ormai cieco da molti anni, pubblica nel 1869 (Editore Agnelli, Milano) un libello dal titolo L’uomo e la scimmia, in cui, in dieci lettere, si propone di mettere in ridicolo e di demolire la “lieta novella” che avrebbe messo gli italiani “alla pari non solamente coi russi e cogli ottentotti ma con le scimmie”. Scriverà, a proposito di questa opera, il suo biografo Raffaele Ciampini (Vita di Niccolò Tommaseo, Sansoni Editore, Firenze 1945): “Su tutto egli vuole e deve dire la sua, e gli accade talvolta di sentenziare su cose che non ha capito e che non conosce, come quando pretende di giudicare, soltanto per sentito dire, le teorie darwiniane, e anche fare su di esse dello spirito”.

A tradurre e diffondere alcune opere di Darwin provvedono Michele Lessona, successore del De Filippi sulla cattedra torinese, e Giovanni Canestrini, professore di zoologia all’Università di Padova. Tale dottrina viene così fatta conoscere in larghi circoli anche in Italia, ed è ampiamente discussa da zoologi, botanici, antropologi e sociologi. Tra questi, basta ricordare Paolo Mantegazza, Cesare Lombroso, Giacomo Cattaneo, Giuseppe Sergi. Nel 1875 il Darwin è nominato socio straniero dell’Accademia nazionale dei Lincei, da poco ricostituita per opera di Quintino Sella.

Ma sul finire dell’800 e all’inizio del secolo successivo, la critica aspra al positivismo, al naturalismo e al materialismo da parte delle filosofie tomista e idealista coinvolse anche la teoria darwiniana. In Italia, Benedetto Croce è il massimo esponente della filosofia antinaturalistica, e perciò antievoluzionistica. E il male che questa fa con la sua incomprensione della scienza della natura è incalcolabile. Nel sistema idealistico crociano non vi è posto per le scienze naturali: esse sono degradate al rango di tecnica e, in questa posizione ancillare di fronte alle scienze dello spirito, sono private di ogni valore filosofico e interpretativo. “Le scienze naturali – scrive Benedetto Croce (“Logica”, parte II, cap. V) – non sono altro che edifici di pseudoconcetti e propriamente di quella forma di pseudoconcetti che abbiamo denominati empirici o rappresentativi”.

Per quanto riguarda in particolare l’evoluzione, ci si poteva attendere che il Croce l’apprezzasse in quanto processo storico. Ma invece egli nega all’evoluzione il carattere di storia, perché definisce come storia soltanto il processo in cui è attiva l’azione dello spirito umano.

Il Montalenti attribuisce all’atmosfera di diffuso scetticismo che si crea intorno alla teoria darwiniana, anche negli ambienti dei biologi e degli scienziati naturalistici, l’avvio di un lavoro critico da parte degli studiosi darwiniani, volto a fondare su sicuri dati sperimentali la conoscenza della variabilità e della ereditarietà. “È questo certamente – scrive lo scienziato – il risultato più importante di quell’intenso lavoro, che condusse intorno 1910 alla creazione di un nuovo ramo della biologia, la genetica o scienza dell’ereditarietà biologica, destinata a rigoglioso sviluppo nei decenni successivi, e che infine riprese in esame il problema evoluzionistico”.

La teoria dell’evoluzione oggi non è propriamente quella di Darwin, anche se i meccanismi fondamentali sono ancora quelli darwiniani, che sono stati confermati nel tempo. Questa teoria è soggetta a revisioni e aggiornamenti continui. Come afferma il filosofo Telmo Pievani, “Darwin si è sbagliato su molte cose e le sue ipotesi sono state riviste e corrette: come ogni teoria scientifica, anche l’evoluzionismo è in continua trasformazione”.

Mentre la ricerca scientifica ha preso atto da tempo del grande potenziale epistemologico e interdisciplinare che la teoria dell’evoluzione racchiude, la scuola in Italia appare ferma ai tempi di Croce e Gentile. Come scrive Simone Chiusoli sulla rivista on line “Il Tascabile”, “le indicazioni relative all’insegnamento della biologia nei licei (perché solo per l’insegnamento della biologia viene menzionato l’evoluzionismo) esplicitano solamente la parola ‘evoluzione’ e non riportano nemmeno il nome di Darwin”. Si parla genericamente di “introduzione allo studio dell’evoluzione”, risolvendo la questione in una riga scarsa di testo. “Inutile sottolineare – continua Chiusoli – che il tema non appare in nessun altro punto, né all’interno del paragrafo dedicato a storia, né a quello di filosofia o, per i licei preposti, a quello di scienze umane”.

Eppure, l’evoluzionismo è un paradigma il cui perimetro d’indagine supera abbondantemente quello della biologia e delle scienze naturali. Comprende la gran parte delle scienze e delle discipline che si occupano di studiare i problemi dell’umanità, nelle sue varie declinazioni. Un’analisi approfondita delle grandi questioni della contemporaneità (come la crisi climatica e la perdita di biodiversità) è impossibile senza l’approccio evoluzionistico.

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