Visioni

Green New Deal: l’agricoltura non stia in difesa

Alfonso Pascale

Queste sono le affermazioni della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, contenute nel suo discorso al Forum Economico Mondiale 2020 di Davos: «Il “Green New Deal” per l’Europa ha assunto la massima priorità. L’Europa sarà il primo continente neutro dal punto di vista climatico entro il 2050. E farà il possibile per sbloccare gli investimenti, l’innovazione e la creatività necessari. […] Il “Green New Deal” per l’Europa è la nostra nuova strategia di crescita. Ciò che è nuovo e diverso dal nostro modello basato sui combustibili fossili è che promuoveremo la crescita che non si basa sull’estrazione delle risorse, ma che dà al pianeta più di quanto ci vuole. Questo è ciò che gli economisti chiamano il modello di crescita rigenerativa. L’Europa gode del vantaggio del pioniere. E lo rafforzeremo. Il mondo ha sempre più bisogno di tecnologie e soluzioni pulite. Perché dovremo affrontare tutti gli stessi limiti di crescita basati sui combustibili fossili”.

Dunque, la signora Ursula ha usato termini molto espliciti: la sua intenzione è di promuovere la transizione da un modello di crescita basato sui combustibili fossili ad un modello di crescita generativo, mediante tecnologie e soluzioni pulite, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

In altre parole, la Commissione Europea vuole promuovere una fase di investimenti (in iniziative di sviluppo, in potenziamento della ricerca, in diffusione delle innovazioni, in formazione e consulenza, ecc.) per ottenere una maggiore crescita (più occupati, più lavoro dignitoso, più benessere delle persone, più prodotti di qualità, più tutela ambientale, più benessere degli animali, ecc.), passando da un modello di crescita basato sull’estrazione delle risorse naturali ad un modello di crescita generativa.

Come si può ben vedere, si tratta di obiettivi specifici, chiari a tutti e ben delimitati.

Potrebbe, dunque, essere una grande opportunità per l’agricoltura europea. Far propri questi obiettivi e concorrere in questa grande sfida che si aprirà nell’Unione Europea e sul pianeta è il modo per dimostrare di essere il settore più pronto e capace di conseguirli.

Invece, cosa fa l’agricoltura, in tutte le sue sfaccettature (integrata, biologica, biodinamica, alla “slow food”, ecc.) e in tutti i suoi ambiti (produttivo, tecnico-scientifico, accademico, ecc.)?

Accetta dalla Commissione Europea una proposta di Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2021-2027 che conferma un elemento fortemente critico: il 73% dei fondi della futura PAC sarà destinato ancora una volta ai “pagamenti diretti”. Uno strumento di intervento pubblico nell’economia che esiste solo in agricoltura e che questa volta ha come obiettivo dichiarato il “sostegno al reddito per la sostenibilità”.

Un percorso suicida

Ha scritto a questo proposito l’economista agrario Franco Sotte su“L’Informatore Agrario”:«Sarà difficile tradurre l’obiettivo “sostegno al reddito per la sostenibilità” in indicatori target: quale reddito? Quello agricolo, quello della famiglia o altro ancora? Quali indicatori per la sostenibilità? Quale sistema di pesi per tenere conto sia del reddito sia della sostenibilità? Siamo certi poi che esistano delle statistiche affidabili per tutto questo? Peraltro, come si insegna nel primo anno dei corsi di economia, un pagamento ad ettaro aiuta la rendita. Non il profitto, tantomeno la sostenibilità. Più sale la rendita, più il reddito si riduce, come sanno tutti gli affittuari che, come effetto indiretto dei pagamenti diretti, devono far fronte a canoni sopravvalutati».

Accettare la conferma dei “pagamenti diretti” ha una conseguenza nefasta per l’agricoltura: significa precludersi la possibilità di partecipare alla sfida lanciata dalla Commissione Europea con il “Green New Deal” se non per il 27% dei fondi della futura PAC (sviluppo rurale e interventi settoriali per le organizzazioni dei produttori). E questa scelta infelice si potrebbe addirittura rivelare suicida. Perché non so con quanta perfidia la Commissione questa volta ha introdotto il cosiddetto “new delivery model”. Le decisioni relative all’applicazione sia del Primo sia del Secondo pilastro saranno attribuite agli Stati membri, incaricati del Piano strategico nazionale (Psn). L’Unione Europea si limiterà a dettare le regole generali e la Commissione, una volta approvato il Psn, sarà incaricata di controllare che gli Stati membri adempiano agli impegni assunti. A questo scopo, sulla base di una serie di indicatori (di output, impatto e risultato), saranno prefissati dei target, ai quali saranno associati premi per i virtuosi e sanzioni per gli inadempienti.

Sempre Sotte scrive: «La voluta ambiguità della formula del «sostegno al reddito per la sostenibilità» renderà impossibile per la Commissione individuare indicatori e target adeguati per premiare i virtuosi e, peggio ancora, per sanzionare gli inadempienti. Nella consapevolezza a priori di questa impossibilità, è facile immaginare che ogni Stato membro andrà per la sua strada, interpretando le regole europee a proprio comodo, nella certezza che a ogni eventuale contestazione della Commissione (basata su indicatori inconsistenti perché è ambigua la natura dell’intervento) si potrà sempre obiettare, eccepire, contrapporre eccezioni e farla franca. Avremo così 27 politiche agricole nazionali».

Sarà a quel punto facile certificare non solo da parte della Corte dei Conti Europea (come ripetutamente in questi ultimi due decenni si è verificato), ma questa volta anche da settori diversi dall’agricoltura che parteciperanno alla gara del “Green New Deal” per l’Europa, un fallimento della capacità di indirizzo, controllo e sanzione nei confronti degli Stati membri responsabili della PAC. E apparirà in modo palese a tutti una cosa che finora non era chiara: il venir meno della motivazione a destinare a questa politica (di fatto non più comune) la fetta attuale del bilancio europeo.

Si verrebbero in questo modo a creare le condizioni perché Bruxelles recuperi fondi da destinare alle sue priorità più urgenti e combattere populismi ed euroscetticismo: crisi economica, occupazione, immigrazione, terrorismo, nuove fonti energetiche, inquinamento e cambiamento climatico, innovazione e capitale umano.

All’agricoltura europea non conviene questo sbocco

Ma per scongiurarlo ha solo una strada: dire con chiarezza agli Stati membri: «Volete erogare i “pagamenti diretti” per continuare a tenere in piedi gli apparati burocratici, pubblici e privati, edificati in questi decenni? Va bene, ma fatelo con le vostre risorse e assumetevi la responsabilità di tale scelta coi vostri elettorati e con le vostre opinioni pubbliche nazionali!».

L’agricoltura europea si ponga alla testa degli investitori europei nell’invitare l’Unione Europea a mettere in atto la neutralità climatica.

Chieda a gran voce l’attuazione del “Green New Deal” perché è nel DNA del settore primario plasmare con le proprie attività e la propria intelligenza la natura e ricostruire gli equilibri quando questi vengono sconvolti. È proprio questa la sua vocazione naturale!

È del resto già in atto nelle campagne questa nuova rivoluzione tecnologico-scientifica: con l’agricoltura di precisione, quella dei robot, dei droni, del digitale, della blockchain, della chimica pulita, delle nuove biotecnologie: transgenesi, cisgenesi, intragenesi, ZFN, Talen, CRISPR, Prime Editing, ecc.

Con il “Green New Deal” si potrà creare la fiducia, la responsabilità e l’affidabilità di cui hanno bisogno gli agricoltori innovativi e tutti quei settori economici disposti a fare investimenti a lungo termine per cambiare il modello di crescita.

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