Visioni

Il cosmopolitismo democratico

Alfonso Pascale

Se vogliamo affrontare il diffuso disagio che pervade le nostre società, dobbiamo rilanciare il cosmopolitismo democratico come uno dei pilastri su cui rifondare la politica.

Le democrazie europee si poggiano su fondamenti nazionalistici che costituiscono un fattore identitario che non è mai stato sciolto o almeno emendato.

Le nazioni hanno svolto per un lungo periodo una funzione democratica ed emancipatrice. Ma adesso assistiamo a una rinascita delle nazioni in chiave non politica. Si riaffacciano pregiudizi tra nazioni etniche e forti (quelle del Nord Europa) e nazioni considerate “incivili” (quelle del Sud Europa). I diritti sono associati a un patrimonio etnico, cioè al possesso del suolo, della cultura, della lingua, della religione, dell’etnicità, e perfino del “civismo”. Riemerge un’Europa divisa tra i paesi in surplus, che lamentano i costi eccessivi dell’integrazione europea e il “moral azard” della solidarietà nei confronti dei paesi “cicala”, e i paesi indebitati, sempre meno propensi a sopportare l’imposizione del rigore finanziario da parte di chi nega uno sforzo comune per la crescita. Nella vita quotidiana di molte nostre città assistiamo alla rinascita del comunitarismo etnico. Riaffiora l’idea che “i diritti appartengono a noi” anche se gli immigrati che vivono nei nostri paesi, lavorano, rispettano le leggi e pagano le tasse.

Oggi milioni di persone godono della libertà e di eguali diritti, sono eguali per opportunità di scambio e ricerca del benessere. Ma pensano di esser parte di un progetto fatto di individui “più eguali” di altri. Il loro universalismo si chiude agli altri, si trasforma in un’affermazione di potenza e privilegio, e diventa particolarismo.

In Italia, è emerso ad esempio un neonazionalismo autarchico che pretende di tutelare una malintesa italianità che esclude ogni collaborazione tra la nostra agricoltura e quella degli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La cultura della tipicità, da strumento di affermazione del pluralismo delle identità, viene esasperata fino al punto di trasformarla in arma con cui tentare di difendersi nella competizione globale.

È penoso e ignobile che s’insinui nei nostri ragazzi – così come sta accadendo mediante programmi di comunicazione e promozione impropriamente finanziati dal pubblico – un odioso pregiudizio: l’idea che l’olio e le olive del Marocco o della Tunisia siano di per sé scadenti. E che lo stigma sia inculcato magari in presenza di ragazzi i cui genitori sono originari proprio di quei paesi. Un’umiliazione inflitta senza una qualche plausibile giustificazione.

I particolarismi si sono manifestati in vario modo nella nostra storia nazionale.

Uno dei pilastri ideologici del fascismo era proprio il primato della specificità vitalistica della nazione sopra e contro le altre. La “battaglia del grano” era una campagna propagandistica che aveva questa valenza. Ma anche per le altre produzioni il regime fascista adottava parole d’ordine dello stesso tenore. L’annullo sulle buste affrancate si faceva con un timbro che riportava la scritta: “L’olio d’oliva italiano è il migliore del mondo”.

Nell’Italia repubblicana, i particolarismi si sono manifestati con le appartenenze politiche e le ideologie dogmatiche e sorde al dialogo. Settarismo e spirito da “guerra santa” hanno prevalso sul confronto tra programmi politici. Nadia Urbinati scrive che la lotta politica ha assunto il carattere di “odium theologicum”, una pratica che gode ancora oggi di consenso.

Norberto Bobbio ha molto insistito nel dire che partecipare al dialogo politico con la premessa che alcune idee non potranno subire trasformazioni, cioè essere oggetto di vero dialogo, significava ipotecare a priori l’esito del discorso e quindi menomare la libertà politica. Ma non c’è stato verso: la Guerra fredda è stata vissuta da noi da “separati in casa” e questa condizione, indotta in modo consapevole dai principali partiti della prima Repubblica, ha costituito per molti cittadini un ridimensionamento della libertà politica. E successivamente, benché il Muro di Berlino fosse caduto da quasi un quarto di secolo, abbiamo continuato a comportarci da “separati in casa”, limitando la libertà politica.

Il pluralismo, il rispetto delle idee altrui, la capacità di ascolto, lo spirito di apertura e di collaborazione con chi è diverso da noi e con chi ha convinzioni diverse dalle nostre sono gli ingredienti indispensabili di una politica all’altezza delle sfide contemporanee. Non devono, però, rimanere meri principi astratti ma informare i comportamenti politici quotidiani, le regole della vita civile e quella delle istituzioni. Altrimenti saremo inesorabilmente sospinti al declino non solo dell’economia ma della stessa cultura dell’eguaglianza e della dignità della persona.

E’ questa la grande mutazione che si sta profilando all’interno dei paradigmi sociali e politici della contemporaneità. Ed è il motivo di fondo del grande disagio che attraversa le nostre società.

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