Visioni

Il futuro dell’Europa

Alfonso Pascale

Giovedì scorso, i leader dei principali partiti parlamentari europei hanno approvato la Dichiarazione congiunta (sottoscritta tre giorni prima dai presidenti del Consiglio dei ministri, della Commissione europea e del Parlamento europeo) che promuove la Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFuE).

Una volta che tale Dichiarazione verrà approvata da tutti i ministri dei governi nazionali (avverrà nei prossimi giorni), la macchina della CoFuE si metterà in moto. Per un anno, i cittadini europei verranno coinvolti in una discussione pubblica, organizzata in conferenze plenarie e panels nazionali e locali, su “come costruire un’Europa più resiliente”.

Fu Emmanuel Macron, all’indomani delle elezioni europee, a proporre una conferenza per definire le riforme necessarie a rendere l’Unione europea “più vicina ai cittadini” e più funzionante, comprese eventuali modifiche ai Trattati. C’è voluto più di un anno perché i capi di governo approvassero formalmente la proposta. Poi, dopo l’estate scorsa, è calato il silenzio. Sicché, il tacito accordo tra la Merkel e Macron di lanciarla sotto la presidenza tedesca nell’autunno 2020 e concluderla sotto la presidenza francese nel 2022 è saltato.

In realtà, dietro le quinte si è consumato in questi mesi uno scontro molto duro sulla scelta della “personalità” che avrebbe dovuto guidare la CoFuE. Il Parlamento europeo aveva indicato, con un’ampia maggioranza, l’ex premier belga Guy Verhofstadt, eurodeputato liberale. Ma la proposta è stata bocciata dal Consiglio. Il blocco sovranista di Visegrad e la “Lega anseatica” dei Falchi del Nord lo consideravano troppo europeista e temevano una fuga in avanti nel processo d’integrazione.

Alla fine il compromesso è stato di affidare la presidenza formale ai capi delle tre istituzioni: Parlamento, Commissione e Consiglio. Ma per quest’ultima istituzione, non il presidente Charles Michel, liberale belga, (forse ritenuto anche lui troppo europeista e vicino a Macron), ma il capo del governo che assumerà di volta in volta la presidenza semestrale della Ue. Fino all’estate, dunque, il portoghese Costa.

Il consiglio direttivo della CoFuE sarà pletoricamente e burocraticamente composto da tre membri effettivi per ogni istituzione, più quattro membri supplenti (per rappresentare tutti i gruppi politici). In totale 21 persone. Altro che snellezza, come auspicato dagli stessi capi di governo! Come se non bastasse, i 21 membri dovranno decidere all’unanimità come condurre la CoFuE. Insomma, il massimo dell’impervietà.

Sarà dunque vero quello che sostiene il “Financial Times” e cioè che l’interesse dei governi per una riforma dei Trattati sia ormai evaporato? È probabile che la CoFuE si risolverà nella celebrazione dello statu quo. Dunque, molto rumore per nulla? Non necessariamente. Infatti, gli europeisti potrebbero utilizzare la CoFuE come l’occasione per aggregare, intorno alla proposta di un “political compact”, una “coalizione di volenterosi” (copyright di Sergio Fabbrini) disposta ad avanzare verso l’ulteriore integrazione. Si tratta di affrontare il nodo decisivo di dare gambe alla Democrazia oltre lo Stato nella e della Unione. La quale ha già personalità giuridica ai sensi dell’articolo 47 del Trattato sull’Ue (TUE), ma è scarsamente dotata di personalità politica, della quale la forma di governo e il profilo delle istituzioni sono la componente essenziale.

La costituenda “coalizione di volenterosi” dovrà impegnare il Parlamento europeo eletto recentemente a suffragio universale – dove “i cittadini sono direttamente rappresentati” (art. 10/2 del TUE) – a fare quello che il Trattato già prevede (art. 48 del TUE): predisporre il Progetto di revisione dei Trattati e “imporlo” politicamente – con un negoziato duro e trasparente – agli Stati membri.

Finora il Parlamento europeo ha giocato la partita al ribasso (affidare ad un proprio membro la guida della Conferenza) e ha perso. Agli occhi dell’opinione pubblica europea, la vicenda è apparsa come uno scontro tra burocrazie su questioni di lana caprina. E i cittadini sono rimasti indifferenti. Per vincere la sfida il Parlamento deve prendere finalmente coscienza che il Trattato di Lisbona già oggi gli affida il compito di guidare il processo della Integrazione europea. Lo riaffermi solennemente e chieda il sostegno dell’opinione pubblica europea con l’autorevolezza del mandato elettorale ricevuto nemmeno due anni fa.

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