Visioni

Il mio design olistico

Mauro Olivieri

Prendo in prestito una citazione di Enzo Mari – “l’artista è colui che da’ forma a un valore collettivo in cui tutti si riconoscono” – e penso che sia proprio qui l’essenza del design, o, meglio, del design olistico.

Si tratta di una nuova visione che non appartiene solo al presente, perché in realtà c’è sempre stata, seppure soltanto nei grandi design, nascosta ma sempre intimamente viva e vitale.

Il design olistico è l’opera di una mente che crede fortemente e semplicemente nel dover essere ricco di “tutto”, affinché questo tutto diventi ricchezza per gli altri, diventando valore collettivo.

“L’artista da’ forma a un valore collettivo”, dice Mari, ma la forma in questo caso è espressione delle tre dimensioni. Dunque è design, design di un’opera che deve necessariamente entrare a far parte di noi perché generata dalla gente, dalle sue abitudini, dal suo essere, dal suo esserci.

Il design olistico è quel design capace di compenetrarsi per ricercare in profondità i contenuti di un segno che sia comprensibile e diventi un valore collettivo.
E’ proprio dentro la comprensione che cresce l’olistic design, ovvero: quel lavoro, quella mente, quell’oggetto, quel prodotto in grado di esprimere una piena libertà da costrizioni di forme, colori, definizioni e pensieri codificati e consolidati, operando così senza confini.

L’artista è oggettivamente-soggettivo.
Il design è oggettivamente-oggettivo.
L’olistic design è soggettivamente-oggettivo.
Mi spiego. L’opera d’arte di un artista, così come oggi viene ancora definita, è assoggettata al ruolo di piacere personale, ed è quindi soggettiva, pur se inserita nell’ambito della ricerca di un insieme di consensi più ampi.
Il design, dal canto suo, rivendica un ruolo supremo nella società, ritenendosi necessario e legittimato a creare quel dato valore “oggettivo” che si definisce e si connota nel suo ruolo di portatore di verità assoluta, condizionando e indirizzando tanti soggetti diversi.

Philippe Stark, noto designer, con il suo lavoro ha fissato un linguaggio che si può leggere a partire dai suoi stessi lavori, portando nuovi segni, rileggendo e rivisitando, con grande intelligenza, ciò che già abbiamo tra noi. E forse c’è bisogno anche di questo: creare nuovi ideali per nuovi stili che poi diventino il nostro stile, costruito e descritto da tanti oggetti che bisogna assolutamente avere, affidandogli così il ruolo di rappresentarci e raccontarci. Ma lo stile non ha niente a che vedere con il design olistico proprio perché è nella sua definizione che esprime il concetto di “fuori dagli schemi”, frutto di una crescita e di un linguaggio che si trasforma e modifica, quanto più costruisco e ricerco negli altri e per gli altri.

Lo stile, si forma e prolifera su se stesso imbrigliandosi in un percorso che lo chiude senza scampo, così come si può fare in una lettura di alcuni prodotti ricchi di espressione solo estetica e non interiore, senza anima.
Diventa pertanto fondamentale ritrovare i contenuti di una collettività vera, a cui il maestro Mari ci riporta, operando, attraverso quella libertà che è espressione di un ambito che è “senza confini”, e che solo la visione olistica è in grado di mettere in campo per approdare a un prodotto-oggetto sempre più vero.

Fare design olistico equivale a operare ponendo la massima attenzione all’uomo, offrendo prodotti che non lo rinchiudano in visioni imposte o obbligandolo a contenuti meno liberi.
Il design olistico non lavora per se stesso, ma usa se stesso affinché diventi di tutti, e, il tutto, anche con un po’ di poesia.

Il testo qui riportato riprende integralmente un articolo che l’Autore ha pubblicato sul numero 1 della rivista trimestrale OOF International Magazine, periodico edito da Olio Officina. Quanti interessati possono acquistare o abbonarsi alla rivista cliccando QUI

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