Visioni

Il pregiudizio e il timore del confronto

Felice Modica

La tragica morte di Salvatore Rinaudo, il pensionato di 77 anni aggredito e sbranato da un branco di cinghiali nelle campagne di Cefalù, in provincia di Palermo, all’interno del Parco delle Madonie e il ferimento della moglie Rosa, 73 anni, intervenuta per difenderlo, hanno innescato una serie di prevedibili polemiche, che sembrano ripetere un collaudato gioco delle parti.

Ci sono i sindaci dei Comuni dei Parchi siciliani che denunciano la “tragedia annunciata”, avendo da tempo segnalato i rischi derivanti dal numero crescente di cinghiali e chiesto senza esito interventi di contenimento dei selvatici.

Ci sono i dirigenti dei Parchi che si definiscono vittime anch’esse e fanno appello alla Regione. Né manca il Governatore Crocetta il quale, mentre promette un immediato piano di messa in sicurezza da definire coi direttori dei Parchi, sottolinea come i Parchi stessi godano di gestione autonoma e quindi, sottintende che potrebbero/dovrebbero cavarsela da soli…

Puntuale arriva inoltre la precisazione dell’etologo di turno, a tutela dei cinghiali che hanno legittimamente agito per difendere il territorio. Perfino il WWF sostiene però la necessità di abbattimenti selettivi. Mentre si distingue Coldiretti che, dopo aver denunziato i gravissimi danni causati dai suidi all’agricoltura, cade forse vittima di un empito buonista e annuncia su Mediaset che no, uccidere le bestie non serve, perché farebbe disperdere i branchi favorendone così l’irradiamento.
Come spesso accade in tali discussioni, un po’ di ragione ce l’hanno probabilmente tutti, ma sembra perduto di vista l’obiettivo principale.

Intanto, nessuno si è chiesto cosa ci facciano i cinghiali in Sicilia, che ne era del tutto priva fino a pochi decenni orsono. Visto che non hanno costruito il ponte sullo Stretto, possiamo senza tema di smentite rispondere che ce li ha portati la Forestale, nell’isola Azienda Regionale per le Foreste Demaniali, anche al fine di sperimentare incroci allo stato brado con il locale suino nero dei Nebrodi. Qualcuno potrebbe osservare che pure i cacciatori, in seguito, hanno effettuato dissennati ripopolamenti. E’ vero, ma quando il cattivo esempio viene dalle istituzioni pubbliche è poi davvero difficile arginarne la diffusione. Non sarebbe male ricordarlo, proprio mentre in tanti si stracciano le vesti all’idea del ventilato scioglimento del benemerito Corpo e del suo confluire nell’Arma dei Carabinieri.

Come fauna alloctona i cinghiali andrebbero completamente eradicati. Poiché questo però sarebbe difficile e costoso, occorre allora programmarne un serio contenimento.
A tale proposito, l’Università di Palermo, in collaborazione con Regione, Istituto Zooprofilattico e varie Ripartizioni Faunistico Venatorie ha di recente realizzato un filmato in DVD, dal titolo “La Coturnice di Sicilia. Azione urgente per la conservazione”. Si tratta di uno studio eseguito all’interno di un’area protetta del trapanese, estesa 16mila ettari, che affronta il problema dei cinghiali (che, tra l’altro, distruggono i nidi delle coturnici e si cibano dei piccoli). Sulla scena, quasi come in un film di James Bond, si vedono atletici osservatori, muniti di sofisticati strumenti a raggi infrarossi e rilevatori di calore, che identificano le zone battute dai cinghiali. Quindi, dopo mesi di appostamenti, costruiscono trappole/gabbie, piazzandole in luoghi strategici. Attratti dal cibo, i suidi cadranno in trappola per essere successivamente giustiziati (la scena è, ovviamente, censurata) e devoluti in beneficenza. Gli autori del filmato commentano che il metodo sarebbe “molto meno invasivo e quindi preferibile alla caccia”.

Trascurando che l’operazione è stata possibile grazie ad un finanziamento europeo e solo in una piccola area. Non si dice come affrontare l’emergenza cinghiali per tutto il resto del territorio.
E allora lo dico io, che non temo di apparire politicamente scorretto: l’unico modo possibile è col fucile. Si può scegliere tra due opzioni: 1) sparano gli agenti forestali pagati dal contribuente; 2) sparano i cacciatori privati, che non sono pagati ma, al contrario, sono disposti a pagare fior di quattrini per andare a caccia, facendo coincidere l’interesse generale col godimento personale (cosa imperdonabile in Italia…).

Chiaro che, in quest’ultimo caso, si dovrebbero organizzare battute sotto il controllo e la supervisione delle forze di polizia, con modalità e tempi programmati in maniera tale da interferire il meno possibile con la fruizione turistica delle aree interessate. In altre parole, un coinvolgimento del mondo venatorio, pagante, non solo avrebbe costo zero, ma apporterebbe addirittura nuove, preziose risorse da destinare alla tutela dell’ambiente.

Perché non si discute anche di questo? Evidentemente il pregiudizio e il timore del confronto sono più forti del buon senso.

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