Visioni

Il vento populista italiano contro il cambiamento

Alfonso Pascale

La dura sconfitta di Matteo Renzi e del Pd al referendum costituzionale è stato commentata da alcune testate della stampa estera come una “vittoria populista nel cuore dell’Europa”. Condivido questo giudizio. Dopo la Brexit e la vittoria di Trump, il vento populista ha raggiunto anche l’Italia. So bene che non tutti coloro che hanno votato No alla riforma costituzionale proposta dal governo e approvata dal Parlamento sono anti-europei o euro-scettici, o addirittura xenofobi e protezionisti. Ma anche coloro che hanno votato No e, tuttavia, vogliono restare in Europa e costruire istituzioni e regole per cogliere le opportunità della globalizzazione, comprese le migrazioni, hanno di fatto espresso un voto di conservazione, un’adesione al mantenimento dello status quo. Milioni di italiani che in precedenti elezioni non si recavano alle urne per esprimere così la propria protesta contro i partiti, questa volta sono andati a votare in misura impressionante e si sono pronunciati in modo convinto contro il cambiamento.

Non c’è una distinzione netta tra il giudizio negativo verso la riforma costituzionale e quello riguardo all’insieme delle riforme socio-economiche proposte dal governo e approvate dal Parlamento. Non c’è un voto di sfiducia al renzismo del tutto scisso dal voto contrario alla riforma costituzionale.
L’impressione che si ha – guardando ai risultati per regioni e per città – è di trovarci dinanzi ad un paese perlopiù impaurito, desideroso di vivacchiare e galleggiare nella stagnazione e nell’immobilità, guardingo e sospettoso dinanzi a qualsivoglia innovazione. Che questa condizione fosse la causa del blocco in cui l’Italia si trova da anni, impedendo al nostro sistema paese di superare la crisi economica, ne eravamo ben consci. Ma che fossero così numerosi gli italiani ad esprimere siffatte pulsioni è una spiacevole sorpresa.

Ci sono alcune regioni come Emilia-Romagna, Toscana e Trentino Alto Adige che fanno eccezione. Ed è un bene. Da qualche parte bisognerà pur ricominciare a ricostruire un senso del cambiamento. Ma in tutte le altre regioni l’affermazione dei No è stato netto. Non c’è nemmeno la differenziazione tra aree urbane e territori rurali che ha caratterizzato il referendum sulla Brexit nel Regno Unito e le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. In questi paesi il voto populista è stato prevalente nelle campagne. Da noi, non si sono registrate diversità significative. La prevalenza dei Sì a Milano è in qualche modo assorbita dalla vittoria dei No nel territorio della Città Metropolitana. Nel resto delle grandi città i Sì hanno mantenuto la stessa soglia del dato generale. Davvero in Italia città e campagna ormai si sovrappongono in tutto.

Si apre adesso una fase molto complicata per la vita del paese. Il discorso di Matteo Renzi è stato ammirevolmente onesto. Una volta approvata la legge di Stabilità, il governo confermerà le dimissioni. E nessuno è in grado di fare delle previsioni più o meno sensate su quanto avverrà nelle prossime settimane. Gli appuntamenti internazionali previsti nel 2017 e che vedranno l’Italia protagonista sono molteplici. A marzo a si celebreranno a Roma i sessant’anni del Trattato europeo. A maggio è previsto a Taormina il G7. A novembre spetterà al nostro governo la presidenza del consiglio di sicurezza dell’Onu. Sono tutte scadenze che dovrebbero spingere la classe dirigente ad esprimere un forte senso delle istituzioni e comportamenti improntati alla responsabilità. Ma su questi temi da tempo circolano bugie e si soffia sulle paure e i sospetti per impedire una consapevolezza diffusa dei nuovi compiti che spettano alle istituzioni e alla società civile.

C’è dunque di che riflettere sull’esito del voto referendario nell’attuale contesto della post-verità, cioè nell’epoca in cui le menzogne sono costruite ad arte per nascondere la realtà dei fatti. Ne ha accennato anche Renzi nella parte conclusiva del suo discorso di ieri notte, rivolgendo ai giornalisti un appello ad “essere fedeli e degni interpreti della missione importante” di cui sono portatori e richiamando la loro “laica vocazione” allo smascheramento della menzogna.

Tuttavia, va detto con chiarezza che questo discorso riguarda tutti e non solo la stampa. Solo educandoci ad un approccio laico, ad un dialogo tra convinzioni diverse che rinunciano ad imporre le proprie intransigenze, ad una ricerca di genuinità e di verità nella relazione interpersonale, possiamo diventare innovativi e, nel contempo, non credere alle bufale. In una società dove l’informazione scorre in modo impetuoso, continuo e disordinato, il compito fondamentale delle persone che vogliono fare del bene al paese è quello di promuovere senso critico e disvelamento della menzogna come nuova frontiera dell’incivilimento.

Solo su gruppi sociali e classi dirigenti governanti e influenzanti, che si educano alla relazionalità rispettosa, reciprocante e cooperante, è possibile lo sviluppo democratico della società e delle sue forme di rappresentanza. Nella menzogna non si costruisce né la libertà, né l’eguaglianza. Solo la fraternità permette l’intimità della relazione tra le persone e la rende vera.

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