Visioni

Il web, la parola, il giornalismo che non c’è

Alfonso Pascale

Le nostre intelligenze sono oggi contese da due criteri di razionalità: il criterio della parola scritta che è analitico ed esalta la memoria, e il criterio dell’audiovisivo che colpisce con la fulmineità dell’immagine sintetica.

Con il prevalere dell’immagine audiovisiva la realtà viene derealizzata, banalizzata, fagocitata in una quantità di messaggi di fronte ai quali l’individuo non è in grado di filtrare razionalmente quelli più importanti da quelli meno.

La televisione poi, pur essendo uno straordinario mezzo di documentazione, schiaccia tutto sul presente senza alcun rapporto con il passato, con la tradizione. I programmi televisivi che riguardano la storia forniscono reperti di età passate senza alcun rapporto con il presente.

Ma la memoria è la base dell’identità. Allora solo il libro, cioè la parola scritta riparata e protetta in un luogo dove si può tornare in ogni momento, può difendere la memoria e restituirci l’identità.

Dopo l’invenzione della scrittura e della stampa, le tecnologie audiovisive e digitali rappresentano la terza innovazione nell’ambito dei media. Siamo dinanzi ad una immissione massiccia di informazioni e messaggi che, tuttavia, non produce necessariamente un progresso nella sfera pubblica.

Quando esistevano solo i libri e i giornali di massa, c’erano editori e giornalisti capaci di “concentrare” l’interesse di un numero ampio di lettori su poche questioni politicamente importanti da regolare.

Oggi il web mette a disposizione un’infinità di portali, le cui comunità digitali sono chiuse in se stesse senza quelle competenze del buon vecchio giornalismo: quelle che sapevano esprimere la forza inclusiva, interpretando e commentando temi, contributi e informazioni davvero utili per il dibattito pubblico.

Se si vogliono formare giornalisti di questo tipo, bisogna costruire competenze non limitate alla comunicazione digitale. Ci vorrebbe una formazione che riguardi la parola, l’immaginazione letteraria, il senso critico delle cose, una capacità di leggere e scrivere libri. Si tratta di formare giornalisti che dovrebbero essere degli educatori di coscienze consapevoli e vigili. Dovrebbero costituire dei collanti inclusivi.

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