La parola “clima” deriva dal greco “klīma” che significa inclinazione, sia della superficie terrestre, sia del cielo sull’equatore. Secondo la definizione del meteorologo austriaco Julius von Hann (1839-1921), il clima è l’insieme dei fenomeni meteorici che caratterizzano lo stato medio dell’atmosfera in una determinata zona della superficie del globo. Ma siccome il clima è un fattore e un regolatore dei fenomeni vitali, appare più opportuna la definizione del geofisico italiano Luigi De Marchi (1857-1936), secondo la quale, il clima di una regione è il complesso di condizioni atmosferiche, caratteristiche di quella regione, che la rendono più o meno confacente ai bisogni ed al benessere dell’uomo ed allo sviluppo delle piante ad esso utili.
Da sempre le diverse regioni del globo hanno avuto condizioni climatiche mutevoli che sono state motivo di migrazioni e adattamenti per le comunità umane. Anche oggi siamo in presenza di cambiamenti rilevanti che riguardano il riscaldamento globale. Le temperature sono diventate mediamente più alte. E le emissioni CO2 si sono intensificate. Tutti lo riconoscono perché sono dati di fatto incontrovertibili.
Ma allora su cosa si discute? Si discute sulle cause del warming e sul fatto che possano essere solo le emissioni CO2 di origine antropica a determinarlo. Si discute sulle previsioni e sull’ipotesi che il warming sia irreversibile. Su questi elementi non ci sono certezze ma solo ipotesi. Gli scienziati dell’ Ipcc (Intergovernamental Panel dell’Onu sul climate Change) si limitano a confezionare modelli matematici in cui si delineano previsioni di risultati numerici sulle temperature a determinate date nel futuro. Fanno un lavoro di previsione. I modelli Ipcc sono, tra l’altro, vari e numerosi e contengono ( a seconda delle assunzioni iniziali) vari esiti sui gradi ipotizzati di aumento ( si va da + 1,5 a + 6 gradi di ipotesi) delle temperature “future”. La forbice indica che, ovviamente, gli stessi esperti Ipcc assumono l’estrema variabilità dell’evoluzione del clima.
Anche quei settori della comunità scientifica e della società civile che mostrano forti perplessità sulla misurazione dei cambiamenti climatici e sulla valutazione della loro reale portata, spaziale e temporale, concordano sulla necessità di intervenire per mettere in sicurezza il territorio e promuovere l’efficienza energetica.
Ma per fare questo, non c’è bisogno di fomentare paure. Anche le variazioni delle temperature che si stanno verificando in queste settimane non hanno nulla di straordinario da allarmarci. Semmai, dovrebbero risvegliare l’attenzione su problemi atavici che già discutevamo quaranta anni fa.
Le politiche necessarie per fronteggiare la situazione sono note. Non dobbiamo inventarle. Ci vogliono sicuramente investimenti per introdurre tecnologie che permettano un risparmio della risorsa acqua negli utilizzi irrigui. Oggi disponiamo di soluzioni ancor più sofisticate di quelle che avevamo nel passato. Ma dobbiamo essere consapevoli che un paese collinare e montano come il nostro possiede risorse idriche che altri paesi meno fortunati non hanno. Dobbiamo solo predisporci a raccoglierle, distribuirle e utilizzarle in modo efficiente e sostenibile. In che modo? Mediante l’attuazione di programmi per la costruzione di una rete di migliaia di piccoli bacini collinari da affiancare ad alcuni nuovi invasi di maggiore dimensione.
Sarebbe assurdo che i cambiamenti climatici debbano obbligarci a smettere di coltivare prodotti agricoli che richiedono sì molta acqua, ma costituiscono anche la parte preziosa della nostra agricoltura e, dunque, della nostra economia. Ci sono vecchie idee e progetti da rispolverare e rilanciare quando nuovi bisogni premono.
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