Visioni

Intorno alla litigiosità degli italiani

Sossio Giametta

Questo articolo di Sossio Giametta è ispirato alla relazione che ha tenuto a Milano nell’ambito di Olio Officina Festival 2017, tema al quale lo abbiamo sollecitato proprio per avere una sua dotta interpretazione del fenomeno che caratterizza e contraddistingue sempre di più gli italiani, sin dal lontano mito di Romolo e Remo. Questo testo è stato anche pubblicato dal quotidiano “la Repubblica” il 9 agosto 2017. Lo riproponiamo a beneficio dei lettori e di quanti hanno avuto il piacere di ascoltarlo nell’intervento il 2 febbraio 2017 a Olio Officina Festival.

“Italians all primadonnas”. Così mi disse una volta il capo della divisione inglese. Non per offendermi, ma per rilevare una cosa secondo lui risaputa. Ci sambiavamo aiuto per leggere in originale Dante e Shakespeare. Tuttavia io me ne sentii umiliato, come dovette sentirsi lui quando, un’altra volta, mi trovai a dirgli che gli inglesi erano reputati flemmatici, cioè freddi. “Oh, how strange!”, si limitò a sospirare. Ma quanto a noi italiani, sì, troppi si comportano come primedonne, ahimè! Cioè in modo capriccioso e presuntuoso. E quindi litigano. Non fanno altro che litigare, a cominciare dai politici. Non affonda oggi l’Italia dei politici nei litigi?
Sì, ma non è cominciato né oggi né ieri, se Goethe, nel suo viaggio in Italia, è colpito dall’onnipresente litigiosità: “E’ incredibile come nessuno vada d’accordo con nessun altro. Le rivalità provinciali e cittadine sono accesissime, come pure la reciproca intolleranza”. E Stendhal: “La sera, i pomeriggi, nei caffè e sulle piazze tutti discutono dei programmi del governo. Ragionare di politica è un piacere per se stesso; i discorsi offrono uno sfogo al loro temperamento retorico; la conversazione politica costituisce una sorta di teatro i cui risultati pratici sono evanescenti, perché si appaga della propria recita. Non approfondiscono niente. Mai uno sforzo serio; mai dell’energia; nulla si concretizza”.

Non cominciò neanche al tempo dei Montecchi e dei Capuleti o dei guelfi e dei ghibellini. Già i romani, nostri grandi antenati, furono dilaniati per secoli dalle faide interne, ossia dalle guerre civili. Che cessarono solo, dopo più di tre secoli, con la pax romana, grazie all’uomo forte e riordinatore dell’impero Augusto. Ma come potette Roma – c’è da domandarsi – con tali feroci guerre intestine, non solo reggere, ma diventare il più grande impero conosciuto? Gioventù e carattere! Già, allora c’era la litigiosità, ma c’erano anche la gioventù storica del popolo e il carattere di ferro dei romani. Essi non si ritennero mai sconfitti, neanche dopo le più severe batoste. Per il carattere non ci sono che i romani, dice Nietzsche, che scarta i greci. Sì, quella fu l’epoca in cui gli italiani ebbero carattere e furono bellicosi, oggi solo gloriosi ricordi.

La gioventù, il carattere e la bellicosità non durarono, poi, se non nella Chiesa, che fu la vera erede dei romani e costruì, grazie a tali qualità primarie, però con mezzi diversi, un impero più potente, più vasto e più longevo dell’impero romano. Ma la Chiesa cattolica, cioè universale e non solo italiana, non rafforzò il carattere degli italiani; al contrario, lo frantumò, assumendosi il monopolio dell’etica, al punto che il perdurante genio del popolo subì, nei grandi secoli dell’arte italiana, una rotazione dell’etica verso l’estetica, sfornando capolavori a tutta forza (tra umanesimo e Rinascimento), ma collezionando sconfitte e invasioni sul piano politico. Perché si trattava appunto di genio teoretico, estetico, e non pratico, etico. Quindi questi secoli universalmente decantati sono un’ascesa a cui corrisponde d’altra parte una decadenza.

Ma oggi il popolo italiano non ha più nessuna forma imponente di genio, salvo cucina e moda, il primo dato alla Francia e il secondo preso dalla Francia. E poiché un vecchio non ridiventerà mai giovane, possiamo sperare poco dalla questione morale che ciclicamente viene agitata in politica, intanto che, quotidianamente, si scoprono direttori, presidenti, manager, alti funzionari, presunti purissimi, che tramano, rubano e imbrogliano a tutta forza per sé e per i loro.

Certo il nostro popolo non fa bella figura se paragonato ai popoli nordici europei, a cominciare dalla Svizzera e a finire con la potente, disciplinata ed efficiente Germania. Ma d’altra parte la Germania, popolo più giovane del nostro di qualche millennio, non ha solo lo slancio e la forza che la portano in quasi tutti i campi in testa alle nazioni europee. Proprio per la sua relativa gioventù, è poco protetta, interiormente, dalle irruzioni ed eruzioni della natura selvaggia, magmatica, violenta, che quando esplode produce gli orrori accaduti nella secondo guerra mondiale, che mai l’umanità potrà scordare.

Da questi eccessi mostruosi noi italiani siamo, grazie alla vecchiaia del nostro popolo, immuni sul piano collettivo, salvo sforzi e reviviscenze particolari durante la guerra, anche se poi “recuperiamo”, ahimè, prodigiosamente sul piano individuale della criminalità organizzata e disorganizzata, certamente uno degli attuali primati italiani con la cucina e la moda.

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