Visioni

L’innovazione in Italia è molto debole

Alfonso Pascale

L’innovazione in Italia è molto debole perché le relazioni sociali, la fiducia negli altri, le reti di persone su cui poter contare si sono fortemente erose negli ultimi anni. Basta leggere il Rapporto Istat 2016 sul Benessere Equo Sostenibile (BES) per rendersi conto come tutti gli indicatori riguardanti i beni relazionali siano in discesa libera un po’ dappertutto. Ma nel Mezzogiorno in misura ancor più grave. E non a caso nelle regioni meridionali, il numero di imprese innovative è molto più contenuto rispetto a quello del Centro-Nord.

Insomma, se il BES non cresce, non si creano le condizioni per l’innovazione. E per aumentare i beni relazionali ci vogliono progetti che abbiano questa specifica finalità. Perché allora non sperimentare per due anni un sostegno al lavoro di cittadinanza che produca una crescita delle capacità relazionali? Un lavoro che sia anche formazione di capacità, abilità e competenze nella comprensione dei contesti socio-economici locali in cui innescare processi di sviluppo. Un lavoro svolto da giovani che abbiano concluso gli impegni scolastici, da affiancare a persone che stiano per andare in pensione e decidano di dedicare la parte conclusiva della propria carriera in un’attività di cittadinanza attiva. Un lavoro costruito sullo scambio intergenerazionale, in cui i giovani apprendono da chi ha alle spalle una lunga esperienza di vita come muoversi concretamente per creare lavoro produttivo. E chi sta per andare in pensione apprende, a sua volta, da chi esce dall’adolescenza e dall’età scolastica quanto è necessario per affrontare nel modo migliore la terza età.

Il grande pediatra e psicanalista britannico, Donald Winnicott, era convinto, già alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, che una società si possa reggere a condizione che i giovani e gli anziani interagiscano, in forme progettate di dialogo, inteso come empatia, ascolto reciproco, fare insieme, partecipazione. Una società come quella di oggi, che sconta un’erosione continua di beni relazionali, deve necessariamente porsi il problema di invertire la tendenza progettando un lavoro di cittadinanza, fondato sul dialogo intergenerazionale e costruito in ambiti di interesse generale: agricoltura sociale, manutenzione del territorio, valorizzazione del patrimonio culturale, ecc.

Chi dovrà predisporre e realizzare tali progetti? Sicuramente le organizzazioni del terzo settore, ma anche quelle piccole e medie imprese profit che intendono farsi carico di tale enorme problema sociale. Il tutto da organizzare come una grande operazione di incivilimento, mobilitando le risorse migliori del paese.

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