Visioni

La connotazione agricola della strage di Piazza Fontana

Alfonso Pascale

Quando si ricorda la tragica strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, quasi nessuno si chiede perché i terroristi scelgono di attaccare a Milano, tra le tante, proprio la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Allo scoppio della bomba, ci sono infatti decine di agricoltori che perdono la vita o restano gravemente feriti. Lo storico Emanuele Bernardi, nel suo libro La Coldiretti e la storia d’Italia (Donzelli editore, 2020), rievoca l’episodio e rileva un particolare su cui riflettere. Mentre immediata e unanime si leva la condanna da parte del mondo politico e sindacale, solo il 27 dicembre il potente capo della Coldiretti, Paolo Bonomi, reagisce dalle colonne del giornale confederale con un lungo appello pacificatore. Evita di lanciare accuse alle sinistre – sebbene si pensasse alla matrice anarchica – e invita invece all’unità nazionale, alla luce dei valori cristiani.

Oggi, acclarata la matrice neofascista nell’ambito della cosiddetta “strategia della tensione”, Bernardi formula alcune domande: perché si sceglie la Banca dell’Agricoltura? È un messaggio alla Coldiretti perché rinneghi l’apertura fatta al centro-sinistra e assuma una posizione intransigente verso la Dc? La provenienza dei neofascisti dal Veneto – poi individuati quali esecutori dell’attentato -, regione roccaforte della Dc e della Coldiretti, è casuale? È una spinta eversiva perché quell’area politico-sindacale, già attraversata a più riprese in passato da rigurgiti destrorsi, faccia leva sulla Dc perché abbandoni ogni velleità riformatrice e dia vita ad un governo spostato a destra?

Quando si costituì la Coldiretti, nel 1944, Bonomi pregiudicatamente si era avvalso dell’apporto determinante di dirigenti e tecnici della Federazione fascista dei coltivatori diretti, in alcuni casi germanofili e antisemiti, garantendo così alla nuova struttura una base di continuità tra fascismo e post-fascismo. E tale caratterizzazione è rimasta per lungo tempo in quella struttura sindacale. Alla luce delle verità processuali e della storia raccontata nel libro, lo storico ritiene plausibile l’ipotesi che dietro quell’attentato vi sia una scelta precisa: provocare la reazione di quei ceti sociali delle campagne particolarmente allergici, dopo vent’anni di guerra fredda, all’ascesa delle sinistre al governo del Paese, colpendo al cuore uno dei centri economico-finanziari dell’agricoltura italiana.

È significativo che solo nel 1975, alla Conferenza di Montecatini, per tentare di uscire dall’isolamento in cui la sua organizzazione era piombata agli inizi degli anni Settanta, Bonomi affidi ad una personalità di rilievo istituzionale come Brunetto Bucciarelli-Ducci, magistrato, parlamentare Dc e già presidente della Camera dei deputati, nonché vice presidente confederale dal 1949, il compito di svolgere la relazione introduttiva e di dirigere i lavori. E così tutti gli osservatori sono colti di sorpresa nell’ascoltare, per la prima volta in un’iniziativa della Coldiretti, l’affermazione dell’identità antifascista della Confederazione, nel ricordo della morte dei “fratelli Cervi”. Ormai gravemente ammalato e messo di fronte alla possibilità di una mozione di sfiducia, nel 1980 il fondatore è finalmente indotto a farsi da parte. Ma la Coldiretti non perderà i suoi caratteri di fondo e non farà mai i conti con le luci e le ombre di quel suo passato. Né più, né meno come l’Italia.

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