Da alcune settimane l’Unione europea è invasa dai trattori e c’era da aspettarselo. Gli agricoltori sono esasperati perché non sanno più con chi discutere i loro problemi. Ogni istituzione, dal comune alla regione, dallo stato alla commissione di Bruxelles ha un pezzo di competenza nella materia “agricoltura”. Ma non è questo il punto. È che le competenze spesso si sovrappongono a più livelli.
Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, la materia “agricoltura” è attribuita all’Ue come competenza concorrente. La politica agricola europea continua a chiamarsi PAC ma non è più una politica comune. Ci sono 27 politiche agricole nazionali. Solo che queste vengono decise attraverso regolamenti unionali che sono il frutto di lunghe e defatiganti mediazioni tra Parlamento europeo e governi nazionali. Pertanto, sono corresponsabili delle decisioni parlamentari europei e ministri nazionali. Ma se parlate con loro ogni istituzione scarica la colpa sull’altra. E allora l’esasperazione dell’agricoltore rischia di diventare violenza.
Ma non è finita qui. Se un agricoltore si rivolge ad un parlamentare europeo per sottoporgli un problema che deve affrontare l’Unione, gli viene risposto che non c’è soluzione. Il parlamentare europeo (udite, udite!!!) non ha l’iniziativa legislativa. Tutti i parlamentari di questo mondo hanno l’iniziativa legislativa altrimenti perché i cittadini dovrebbero eleggerlo. Solo il Parlamento europeo può al massimo fare un ordine del giorno o una risoluzione per supplicare la commissione di predisporre una proposta di regolamento. Solo a quel punto, il parlamentare a cui si rivolge il nostro povero agricoltore potrà dire la sua.
Ma anche quando siamo arrivati qui, il calvario non è finito. La commissione non invia la proposta di regolamento solo al Parlamento, ma la deve inviare anche al consiglio dei ministri dei governi degli stati membri. E solo quando i due organismi troveranno un’intesa quel regolamento sarà approvato. Allora voi immaginate il povero agricoltore, sballottato tra i ministeri nazionali e i gruppi parlamentari di Bruxelles, come sarà inviperito.
Gli agricoltori europei sono infuriati e girano coi trattori lungo le strade per un motivo molto semplice: in questa Unione europea non si sa chi governa. Questo è il grande problema che abbiamo. E che si può affrontare solo modificando i Trattati.
L’art. 10 del TUE recita: «I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo». Questo significa che se il 7 giugno prossimo l’agricoltore incazzato andrà a votare, vuole essere certo che il suo voto servirà a qualcosa. I parlamentari che eleggerà devono avere l’iniziativa legislativa, devono eleggere, a loro volta, un esecutivo che governi l’Unione con un presidente che sia l’unico presidente dell’Unione. I candidati sono avvisati. Avranno il voto se s’impegneranno pubblicamente che, una volta eletti, nella prima seduta, reclameranno il diritto di legiferare senza aspettare l’imbeccata della commissione o dei governi nazionali.
Sulle competenze non si può continuare a scherzare, altrimenti gli agricoltori si inferociscono. Storicamente, nelle unioni di stati, all’unione sono state assegnate le competenze relative alla sicurezza collettiva (dalla politica estera e militare a quella alimentare, dalla politica monetaria e fiscale a quella energetica, dalla politica ambientale a quella migratoria), mentre gli Stati membri hanno trattenuto per sé tutto il resto.
L’Ue non è stata coerente con questa impostazione e dovrebbe procedere ad un bilanciamento delle competenze. Ma una volta stabilite quelle che formano la sovranità europea, gli stati membri non devono poter interferire sulle decisioni che spettano alle istituzioni unionali. La stessa cosa deve valere per le competenze rimaste o restituite alla sovranità nazionale: l’Unione non deve metterci becco. Solo così l’agricoltore esasperato potrà calmarsi. Saprà con chi prendersela se il suo problema nessuno glielo risolve.
Bisognerebbe riflettere su un’eventuale ricalibratura delle competenze in materia di “agricoltura”, per distinguere in modo razionale ed efficace le materie che dovrebbero rimanere nella competenza esclusiva dell’Ue e le materie che dovrebbero tornare nella competenza degli stati membri.
Sarebbe opportuno che la materia “sicurezza alimentare” diventasse una materia di esclusiva competenza unionale, senza più interferenze da parte degli stati membri. Così come già è per la politica commerciale.
Non così dovrebbe essere per i “pagamenti diretti”: i quali già sono attribuiti di fatto alla competenza degli stati membri e andrebbero assegnati ad essi anche formalmente. Quanto tempo speso in inutili e faticose discussioni si risparmierebbe se si facesse questa piccola grande riforma. E quanta burocrazia in meno ci sarebbe.
L’Ue potrà essere protagonista nello scacchiere mondiale e potrà contribuire a delineare un nuovo ordine globale se completerà rapidamente il suo processo di integrazione e se si doterà di una governance.
Gli agricoltori sono arrabbiati e manifestano il proprio disagio perché non c’è un governo dell’Unione, non c’è la democrazia oltre gli stati nazionali. Non già perché sarebbero reazionari come si vuole, invece, farli apparire.
C’è un altro aspetto fondamentale di questa protesta e che va preso in seria considerazione: la frustrazione, soprattutto dei più giovani, data dalla scarsa considerazione che la società dei paesi ricchi dà agli agricoltori. Le zone rurali e le loro popolazioni, in tutto il mondo, stanno subendo le idee green dei cittadini delle aree più ricche del pianeta che essendo in numero nettamente superiore, votando, dettano legge sulla gestione dell’agricoltura, degli allevamenti,della fauna e del territorio anche dei paesi più poveri considerando solo il punto di vista ideologico della questione .