Manca ancora uno studio approfondito della breve esistenza di Rocco Scotellaro e, soprattutto, dell’ultimo periodo. Nei primi mesi del 1950 egli decide di abbandonare la politica attiva e avviare un’attività di studio e ricerca condotta in modo scientifico. Avverte la complessità del clima politico indotto dal nuovo ordine mondiale e dalla Guerra fredda. E intuisce che l’approccio alla politica – movimentista e tattico – praticato dalla sinistra nei primi anni della democrazia repubblicana, è del tutto inadeguato. Comprende che la battaglia per affermare i valori e i diritti dei contadini nella società non si può vincere con lo scontro frontale, muro contro muro.
In particolare, Rocco rileva una insufficiente elaborazione teorica nella sinistra sui temi dell’agricoltura e, in generale, su quelli dello sviluppo. E matura una posizione critica, realistica e combattiva, molto diversa dalla posizione ufficiale sia dei comunisti che dei socialisti.
Non condivide, ad esempio, il modello di organizzazione che la Cgil pratica nelle campagne e che mette insieme braccianti e coltivatori, impedendo, di fatto, a questi ultimi, di battersi per i propri diritti e per le proprie esigenze particolari. Una posizione che proprio in quegli anni, per impulso di Ruggero Grieco e di Rodolfo Morandi, porta a qualche iniziativa correttiva: si scioglie la Federterra e si costituisce la Confederterra, che, essendo una Confederazione, poggia sulle attività di Associazioni specifiche, che mantengono una propria autonomia, come, nel Sud, l’Associazione dei contadini del Mezzogiorno d’Italia.
La nascita di questa Associazione – presieduta da Pietro Grifone e Giuseppe Avolio – costituisce una svolta nell’orientamento del movimento operaio italiano rispetto ai problemi dei coltivatori, piccoli proprietari o affittuari, considerati fino ad allora – in teoria e in pratica – come forze subalterne.
Avolio era solito ricordarci la schematica divisione – allora in voga nella sinistra – del mondo contadino in tre componenti: contadini poveri, alleati; contadini medi, da neutralizzare; contadini ricchi, da avversare. Questo schema manicheo ha impedito – per lungo tempo – di considerare con la dovuta attenzione le trasformazioni strutturali che si andavano realizzando nelle campagne italiane, anche per effetto delle lotte condotte dal movimento operaio e dalle forze di progresso.
Scotellaro resta colpito dalla unilateralità e dai pregiudizi dei partiti della classe operaia e dal conseguente atteggiamento dei sindacati di avversione verso i coltivatori diretti o piccoli proprietari, considerati più “esosi” dei “padroni”. E comincia a capire, come pochi altri, ad esempio, che la primitività e la scarsa padronanza dei complessi problemi dell’impresa, sono gli elementi negativi che impediscono di accostare strati numerosi di lavoratori imprenditori con linguaggio e metodo appropriati. Le radici dei limiti e, perciò, degli insuccessi delle lotte del primo dopoguerra, nel Mezzogiorno come in tutto il Paese, sono individuati soprattutto nella rigidità degli schemi dei partiti della classe operaia e nella insufficiente conoscenza della irta materia dei contratti agrari.
Per questo Rocco si convince che la battaglia politica ha bisogno di strumenti scientifici e culturali nuovi. Sceglie, dunque, di andare a studiare economia agraria e sociologia rurale con Manlio Rossi-Doria a Portici e prepara per l’editore Laterza un libro sulla cultura dei contadini del Sud.
C’è una bella pagina del libro autobiografico di Angelo Ziccardi, La politica come impegno collettivo, in cui l’autore racconta gli anni del suo impegno nel movimento contadino napoletano e i suoi incontri frequenti con Scotellaro:
“Nel 1953 fui chiamato a Napoli. Questi trasferimenti erano agevolati dal fatto che Giorgio Amendola era responsabile della commissione per il Mezzogiorno e segretario regionale della Campania, della Basilicata e del Molise. A Napoli fui eletto, in una riunione del suo comitato direttivo, presidente dell’Associazione provinciale dei Coltivatori Diretti. A via Medina c’era il comitato regionale di questa Associazione, presieduta dal parlamentare Mario Gomez, e l’Associazione dei Contadini del Mezzogiorno.
[…] Rocco Scotellaro, che stava a Portici per svolgere studi di sociologia rurale, tutte le settimane veniva a via Medina. Rocco riteneva che i suoi studi potevano essere utili al nostro lavoro e in effetti era così, perché di aiuto a capire meglio certe novità che verificavano nelle campagne già in quegli anni. La passione politica di Scotellaro e le sue confidenze sulla sua sofferenza per la mancanza di un diretto impegno politico già svolto negli anni precedenti, come sindaco di Tricarico e dirigente del partito socialista in provincia di Matera, fecero ipotizzare ai dirigenti dell’Associazione dei Contadini del Mezzogiorno un suo diretto impegno nell’organizzazione. Questa ipotesi prese consistenza e si cominciò a discutere del ruolo che avrebbe potuto svolgere Rocco, ruolo per certo rilevante. La sopraggiunta morte di Rocco impedì di realizzare un proponimento fortemente perseguito dai dirigenti dell’organizzazione e il suo confidato desiderio di riprendere la piena attività politica su una problematica a lui cara”.
Questa testimonianza è importante perché ci fa comprendere come si formavano, in quel periodo, i gruppi dirigenti. E ci parla anche del futuro di Rocco Scotellaro se fosse rimasto in vita: quello di un intellettuale e, nello stesso tempo, di un dirigente del movimento contadino, come lo sono stati Grieco, Sereni, Grifone, Avolio e Ziccardi.
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