Si parla tanto di rigenerazione del Salento con l’invito a diversificare ricorrendo a specie arboree diverse dall’olivo.
Tali sollecitazioni, si sprecano. Nulla da eccepire. È certamente corretto cercare di diversificare, aumentando la biodiversità, ma: attenzione!
A immaginare impianti isolati di altre specie arboree, senza programmare e creare una filiera vera, si rischia solo di porre la pietra tombale per le imprese e il territorio in cui queste operano.
Immaginare il paradiso terrestre nel Salento, con l’impianto di tantissime specie arboree è solo romanticismo e utopia, oltre che il segno evidente di tanta superficialità.
Vorrei dunque porre all’attenzione di chi ci legge la mia personale riflessione rispetto alla odierna moda di ritenere urgente diversificare il paesaggio salentino con specie alternative all’olivo.
Ebbene, fermo restando la legittimità e l’opportunità di iniziare a guardare anche oltre la specie olivo, non è assolutamente giustificata questa eccessiva pressione, anche mediatica, con l’intenzione di spingere a impiantare altre specie non collaudate, a scapito dell’olivicoltura, quasi a voler denigrare l’attività dei tanti olivicoltori.
Questo modo di pensare, di pancia e non di testa, rischia di far sperperare le poche risorse a disposizione per la rigenerazione del territorio.
A sostegno della diversificazione colturale a tutti i costi, si sventola lo spauracchio del rischio della monocoltura, qualora si continuasse a piantare l’olivo.
Tutto ciò è falso, perché non vi è alcun rischio. Il motivo è anche semplice. Si fa riferimento alla provincia di Lecce, dove sono 85 mila gli ettari olivetati. Ebbene, di questi sono da sostituire circa 80 mila ettari distrutti dal batterio.
Ad oggi, sono stati reimpiantati solo 2 mila ettari, all’incirca. Praticamente solo il 2,5%, cioè nulla! Forse arriveremo al reimpianto di 20/30 mila ettari tra più di vent’anni, ma, paradossalmente, lo spauracchio della monocoltura è ormai un mantra che sta condizionando il mondo agricolo, me compreso, e sta facendo danni incalcolabili.
Aggiungo che in Salento una filiera olivicolo-olearia strutturata esiste ancora. È fatta di una miriade di aziende agricole che confezionano e vendono il proprio olio con un proprio marchio, di frantoi e confezionatori che hanno investito tanto in innovazione e qualità negli ultimi anni. Strutture, queste, che sono pronte a ripartire, se ci fossero politiche agricole lungimiranti, ma sono ancora ferme, soprattutto per la mancanza di quest’ultime.
Morale della favola? Abbiamo una specie, l’olivo, e la sua filiera, che hanno garantito reddito per secoli alle generazioni passate, e che hanno tutt’ora le carte in regola per garantirlo alle generazioni future, ma noi pensiamo a cercare l’eldorado che non esiste, anche perché tutte le filiere agricole hanno in comune “lacrime e sangue”.
Infine, va pure precisato che la maggior parte delle aziende agricole non ha ancora potuto accedere ai bandi, e sono convinto che la gran parte di esse vorrebbe essere messa nelle condizioni di reimpiantare olivo.
In ultimo, se non dovesse bastare, l’Italia è deficitaria per l’olio extra vergine. L’olivo, è bene rammentarlo a quanti vivono di ideologia, è tra le coltivazioni più sostenibili dal punto di vista ambientale. E allora? Perché questa resistenza?
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui
Commenta la notizia
Devi essere connesso per inviare un commento.