Il cammino verso la consapevolezza delle potenzialità del mondo dell’extravergine è iniziato un po’ in ritardo rispetto a comparti come quello del vino, ma piano piano si sta facendo strada progressivamente l’idea che l’Italia gode di numerose e sfaccettate produzioni di qualità. Disponiamo di una miriade di cultivar e di territori ad alta vocazione olivicola, caratteristica che rende il nostro Paese vivacemente vario, agli occhi del mondo, e invidiato. Certo, di pari passo, in un’ottica comunitaria e ancor più globale, molto va fatto per “fare squadra”, forti di questa consapevolezza positiva.
L’incontro la scorsa settimana all’Informatore Agrario con Paolo De Castro, presidente alla commissione agricoltura del Parlamento europeo, lo ha ribadito, numeri alla mano. Cito: “Le produzioni agroalimentari italiane spiccano per l’eccellenza qualitativa ma per farci strada in Europa e, più ancora, nel mondo, occorre migliorare capacità organizzativa, impostare efficienti sistemi a rete e una più capillare distribuzione per aumentare la presenza sui mercati internazionali. Le prospettive di crescita media per i prossimi 5 anni sono di 9 punti”.
Come nell’agroalimentare, anche nel mondo dell’olio manca la consapevolezza che questo nostro tesoro vada trattato come una vera e propria attività economica, con un occhio alle esportazioni e ai volumi – fatto, quest’ultimo, che comporta la capacità di fare aggregazione, coalizzando realtà territoriali simili o amiche o complementari nell’offerta ai buyer, per attivare una valida promozione e una rete distributiva efficiente che aumenti la redditività per gli olivicoltori.
Nella “rete” tra imprenditori olivicoli e nel dare valore alle produzioni di valore risiede il futuro della nostra olivicoltura. Senza piagnistei ma soprattutto individualismi che troppo spesso bloccano le sinergie in Italia – oltre alla stessa possibilità di acquisire fondi e risorse per l’olio dall’UE – e ci penalizzano a livello internazionale.
Quello che non sopporto più è, conoscendo le numerose realtà di eccellenza italiane, vedere che all’estero spesso si fanno strada produzioni meno caratteristiche ma più forti sul piano della comunicazione e del marketing, che le frodi olearie, scimmiottando produzioni italiane, drenano soldi e ingannano il consumatore, a dispetto dell’ottimo lavoro svolto dalle autorità.
La domanda che vorrei porre al comparto è: vogliamo, finalmente, uscire dall’individualismo che ci rende ridicoli nel mondo, e invertire la tendenza? La domanda vera è però: vogliamo veramente, superando i nostri limiti, fare un salto di qualità per essere presenti con forza sui mercati internazionali?
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